Il giorno dopo la manifestazione di Cutro, Alarm Phone accusa l’Italia per un naufragio in acque internazionali in cui sono morti 30 migranti.
- Dopo Cutro, un altro naufragio, questa volta in acque internazionali: 30 le vittime.
- Alarm Phone accusa l’Italia: ha ritardato i soccorsi.
- Sabato a Steccato di Cutro in 5mila per chiedere soccorsi e accoglienza.
È successo di nuovo. Solo poche ore dopo che almeno cinquemila persone sono scese sulla spiaggia di Steccato di Cutro per rendere omaggio ai 76 corpi recuperati in mare dopo la tragedia di due settimane sulla costa calabrese, un’altra barca carica di migranti ha fatto naufragio in acque internazionali, rovesciandosi e causando 30 vittime, morte annegate prima di poter essere soccorse, il 12 marzo.
E anche in questo caso si sta cercando di risalire all’esatta dinamica della vicenda, per capire se i migranti a bordo, 47 in tutto, potevano essere salvati in tempo, e come.
La ricostruzione del naufragio in acque internazionali
Alarm Phone, il noto network di attivisti che da qualche anno ormai si occupa di fare “da centralino” alle richieste di soccorso da parte di persone in situazione di difficoltà nelle barche di migranti nel Mediterraneo, nella sua ricostruzione torna ad accusare l’Italia in maniera molto diretta del naufragio in acque internazionali.
Alarm Phone spiega di essere stata allertata “da 47 persone su una barca in difficoltà, che cercavano di fuggire dalle condizioni disumane in Libia” e di aver trasmesso la posizione Gps alle autorità italiane, maltesi e libiche alle 2:28 del mattino dell’11 marzo. Dodici ore dopo, a Steccato partiva la manifestazione per le vittime del naufragio di Cutro, e contro il nuovo decreto varato il giorno prima dal governo italiano.
Una situazione subito critica
Già a quell’ora, segnala il network, “la situazione era critica. La barca era alla deriva. Le condizioni meteorologiche erano estremamente pericolose. Le persone a bordo gridavano al telefono che avevano bisogno di aiuto”. Sia tramite e-mail che tramite telefonate, prosegue Alarm Phone, “abbiamo più volte informato di questa situazione il Centro italiano di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc), segnalando il deterioramento delle condizioni delle persone e della barca e richiesto più volte interventi di soccorso immediato”. Mezzora dopo il primo allarme, alle 3, Alarm Phone avrebbe poi chiesto alla Mrcc di ordinare a una nave mercantile di passaggio, di intervenire: il suggerimento sarebbero però stato disatteso: “Se istruito dal Mrcc di Roma, il mercantile sarebbe potuto intervenire“, sentenza Alarm Phone. Suggerendo che la tragedia, già a quel punto, si sarebbe potuta evitare.
Il secondo allarme
Solo nove ore dopo il primo allarme, l’asset aereo Seabird 2 di Sea-Watch ha avvistato dal cielo l’imbarcazione in difficoltà, informando anche le autorità dell’urgenza della situazione. Tuttavia, solo le navi mercantili – non gli asset italiani o gli asset dell‘operazione Irini, la task force dell’Unione europea che solca il Mediterraneo non per i soccorsi per la protezione delle frontiere – hanno raggiunto la scena dell’emergenza dopo molte ore. Addirittura, Sea Watch pubblica un audio che documenta una chiamata alle autorità italiane, per avvisare della presenza del barchino dopo che la Libia si era dichiarata indisponibile a intervenire. La risposta italiana è frettolosa e quasi irridente: “grazie dell’informazione, bye bye”. Nessuna decisione verrà presa di lì a breve.
“Questo ritardo, uno dei tanti ritardi sistematici che Alarm Phone ha documentato nel corso degli anni, si è rivelato mortale. Per molte ore le navi mercantili si sono limitate a monitorare la situazione senza intervenire. Chiaramente, le autorità italiane stavano cercando di evitare che le persone venissero portate in Italia, ritardando l’intervento in modo che le cosiddette guardie costiere libiche arrivassero e riportassero forzatamente le persone in Libia, riportandole alle condizioni di tortura da cui avevano cercato di fuggire”.
Accuse pesanti, dettate dal fatto che, nonostante si sia trattato di un naufragio in acque libiche, a capo dell’operazione Sar (ricerca e soccorso) vi fosse proprio l’Italia. Che, secondo la ricostruzione di Alarm Phone, avrebbe chiesto alla Guardia costiera libica di intervenire per evitare il naufragio in acque internazionali, ma senza ottenere alcun risultato: si tratta di quella Guardia costiera finanziata e formata dall’Italia, annualmente, sulla base del contestato Memorandum d’intesa da poco rinnovato fino al 2026.
L’ultima comunicazione
L’ultima comunicazione tra Alarm Phone e le persone a bordo c’è stata alle 6:50 del 12 marzo. “Erano esausti e disperati, urlavano e chiedevano aiuto. Subito dopo quella telefonata, abbiamo inviato alle autorità la loro posizione gps, chiedendo loro nuovamente di intervenire con urgenza. Alle 07:20 hanno chiamato un’ultima volta, ma non si è sentito nulla”. Poco dopo, la barca si è capovolta. Solo 17 persone sono sopravvissute, salvate dalla nave mercantile Froland, mentre altri 30 hanno perso la vita. I sopravvissuti, che hanno visto gli amici morire accanto a loro, rischiano ora di tornare nei lager delle carceri libiche.
Quelle domande da porsi
Le domande che si pone oggi Alarm Phone sono le stesse di chi sabato era a Steccato di Cutro: perché, data l’urgenza della situazione, le autorità italiane non hanno inviato immediatamente adeguati mezzi di soccorso sul luogo dell’emergenza? Dov’erano i mezzi dell’operazione navale UE Irini e, se disponibili, perché non sono intervenuti? Perché le cosiddette guardie costiere libiche non erano disponibili per l’intervento? Perché, sapendo che le forze libiche non potevano intervenire, le autorità italiane continuano a riferirsi a loro come alle autorità responsabili? E soprattutto: perché, dopo il mortale naufragio di Crotone e le innumerevoli morti e sparizioni nel Mar Mediterraneo negli ultimi anni, l’Ue sta ancora militarizzando i suoi confini, scoraggiando le persone in movimento e lasciando annegare migliaia di persone?
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