Dal mischiglio della Basilicata alla zucca malon del Friuli al cappero di Selargius, in Sardegna: i presìdi Slow Food che valorizzano prodotti dimenticati, ma di fondamentale valore per la biodiversità, il territorio e le comunità.
La salute della Terra e quella delle persone sono la stessa cosa
Nutrire o avvelenare la Terra, qual è il ruolo della produzione alimentare? Oggi, la risposta non è più così semplice. La presidente di Navdanya, Vandana Shiva, sarà a Firenze per un manifesto contro i pesticidi.
Nutrire o avvelenare? Qual è il ruolo del cibo nei nostri sistemi produttivi, sociali ed economici? Una domanda dalla risposta apparentemente semplice. Eppure la sua stessa formulazione evidenzia una deriva a cui stiamo assistendo in tutto il mondo. “L’alimentazione sta emergendo come elemento centrale per il benessere. Stiamo assistendo a un’epidemia di malattie croniche come il cancro e il diabete, malattie cardiovascolari e neurologiche, a un aumento della infertilità e dell’ipertensione”, ha spiegato Vandana Shiva in vista del prossimo evento organizzato da Navdanya International a Firenze. “Nuove ricerche dimostrano come la nostra salute sia strettamente collegata al modo in cui il nostro cibo viene coltivato e trasformato. La salute della terra e la salute delle persone sono da considerarsi una sola cosa”.
Le grandi multinazionali sembrano, però, guadagnare un controllo sempre maggiore dell’intera catena di produzione e distribuzione massimizzando i profitti privati senza tenere in conto gli evidenti, e ormai accertati, danni per l’ambiente, per i lavoratori del settore e per i consumatori.
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E gli allarmi lanciati dagli scienziati, o almeno gli studi che non dipendono dai finanziamenti dell’agribusiness, fanno tremare i polsi. Secondo le ultime ricerche, molte delle recenti crisi sanitarie, da quelle legate alla salute mentale fino ad arrivare all’emergenza tumori, sarebbero correlate in maniera diretta alla contaminazione ambientale e alimentare dei modelli di produzione industriale.
I dati allarmanti dell’Ispra sui pesticidi
L’ultimo allarme è stato lanciato dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che ha presentato il Rapporto nazionale pesticidi nelle acque evidenziando la presenza di ben 259 agrotossici nelle acque italiane. Residui di pesticidi sono stati rintracciati nel 67 per cento delle acque superficiali monitorate e nel 33,5 per cento delle acque sotterranee. Una tendenza in aumento rispetto al 2003: il rapporto Ispra rileva infatti come sia il numero delle sostanze presenti nelle acque che i punti contaminati siano in crescita, con un aumento del 20 per cento nelle acque superficiali e del 10 per cento in quelle sotterranee. È in particolare il glifosato, insieme al suo metabolita Ampa, a far notare la sua presenza nelle acque italiane: entrambe le sostanze risultano superiori agli standard di qualità ambientale per le acque (Sqa) previsti dalla norma rispettivamente nel 24,5 per cento e nel 47,8 per cento dei siti monitorati per le acque superficiali.
“Il rapporto Ispra rappresenta l’ennesima conferma delle preoccupazioni espresse da Navdanya e da molte organizzazioni della società civile rispetto ai sistemi produttivi dell’agricoltura industriale ad alti input chimici”, ha commentato la direttrice di Navdanya International, Ruchi Shroff. “Dal rapporto Ispra si evince come gli agrotossici permangano nel suolo e inquinino le acque superficiali e sotterranee. Dobbiamo interrogarci sull’iter di approvazione dei pesticidi, ciò che viene effettivamente valutato e come è possibile che l’uso di questi agrotossici possa essere considerato sicuro per l’ambiente e la salute umana. Dobbiamo reclamare investigazioni scientifiche indipendenti anche sull’interazione di un singolo pesticida con gli altri e sui coformulanti: su questi aspetti deve esserci molta più attenzione da parte delle autorità preposte ai controlli. Non possiamo accettare di veder contaminare l’ambiente e mettere a rischio la nostra salute per i profitti delle aziende dell’agribusiness. Dobbiamo lavorare per creare regioni e città libere dai veleni delle multinazionali”.
Vandana Shiva a Firenze
Ed è proprio per discutere e proporre alternative al modello di produzione industriale, che il Gruppo di esperti su alimentazione e salute, che comprende alcuni dei più noti esponenti internazionali del settore fra cui Vandana Shiva, presidente di Navdanya, Hilal Elver, relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’alimentazione, Patrizia Gentilini, membro del comitato scientifico di Isde (Associazione medici per l’ambiente), si riunirà a Firenze il prossimo 16 maggio. L’obiettivo dell’incontro è quello di stilare un manifesto per mettere in evidenza l’inscindibile legame fra alimentazione e salute, elaborare strategie globali per superare il modello di agricoltura industriale, favorire la convergenza e l’azione dei movimenti per l’agroecologia e per la salute pubblica intorno a una visione comune di sviluppo sostenibile, equo e inclusivo.
Una nuova strategia globale è dunque necessaria per superare un sistema ormai insostenibile e rilanciare il modello agroecologico attraverso l’innovazione scientifica. Ma come siamo arrivati a questa situazione? La produzione agricola industriale ha conosciuto la sua età dell’oro durante la cosiddetta rivoluzione verde che si basava su un paradigma produttivista, a sua volta sostenuto dalla retorica della necessità di sfamare la crescente popolazione mondiale. A oltre cinquant’anni di distanza, possiamo affermare, supportati dagli stessi dati delle Nazioni Unite, che la rivoluzione verde ha fallito i suoi obiettivi. Il numero di affamati nel mondo non è diminuito e i risultati di pratiche agricole ad alti input chimici hanno contribuito all’inquinamento ambientale mettendo a rischio la salute di milioni di persone nel mondo. Il direttore generale della Fao Graziano da Silva ha parlato, nell’ambito del recente simposio sull’agroecologia, di un modello “esaurito” che non ha risolto il problema della fame nel mondo, sofferta ancora da 815 milioni di persone nel 2016. Ma non solo. Il mantra della produttività ad ogni costo ha presentato un conto insostenibile dal punto di vista ambientale a causa del massiccio uso di fertilizzanti chimici e pesticidi che hanno contribuito alla contaminazione dei suoli, all’inquinamento delle falde acquifere e alla perdita di biodiversità.
Il mito sui pesticidi
Le conclusioni della Fao rappresentano il sigillo finale sul mito secondo il quale l’utilizzo di agrotossici sia necessario per sfamare la popolazione mondiale. Un mito già smentito dal commissario speciale delle Nazioni Unite, Hilal Elver, che aveva rilevato come i problemi relativi alla fame siano maggiormente legati alla povertà, all’iniquità e alla distribuzione piuttosto che alla produzione. Al contrario, aveva denunciato Elver, l’utilizzo indiscriminato di pesticidi è da mettere in relazione alla morte di circa 200mila persone all’anno per avvelenamento.
Dati preoccupanti ma che non devono sorprendere considerando come sia ormai accertato che i problemi di salute associati alle sostanze chimiche presenti negli alimenti coprano l’intera catena del valore, dai campi alla tavola dei consumatori. L’esposizione ai pesticidi può infatti avvenire in molti modi, compresa l’esposizione diretta, in particolare tra gli operai che lavorano alla produzione di pesticidi, tra i venditori e tra gli agricoltori che li applicano nei campi. L’esposizione avviene inoltre attraverso i residui nelle acque superficiali da deflusso agricolo, la contaminazione di pozzi e acque sotterranee, la dispersione del vento a seguito di irrorazione aerea, e attraverso i residui presenti su frutta e verdura. La fase di lavorazione tra i campi e la tavola è apparentemente il momento in cui la maggior parte delle sostanze chimiche sintetiche entrano nei nostri alimenti: materie plastiche, conservanti, solventi organici, ormoni, esaltatori di sapidità e altri additivi alimentari sono tutti comunemente introdotti nella nostra dieta in questa fase.
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Le prove scientifiche ed empiriche confermano che i tempi sono maturi per un cambio di paradigma, come sostiene Vandana Shiva: “Dopo anni di sistemi di produzione di alimenti chimici industriali che producono prodotti tossici e nutrizionalmente vuoti, stiamo assistendo a sempre più a malattie legate alla carenza di micronutrienti mentre malnutrizione, fame e obesità continuano ad aumentare. Abbiamo bisogno di un nuovo paradigma un nuovo modo di pensare alla salute, che sia ecologico, basato sul pensiero sistemico e non sul riduzionismo meccanicistico”.
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