Una storica risoluzione dell’Onu ha chiesto alla Corte penale internazionale di esprimersi sugli obblighi ambientali dei governi, specie i più inquinanti.
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una storica risoluzione sulla giustizia climatica. In una seduta tenutasi ieri, mercoledì 29 marzo, oltre 130 stati hanno votato un’iniziativa promossa da Vanuatu affinché la Corte internazionale di giustizia fornisca ai governi il proprio parere sugli obblighi climatici che i paesi del mondo sono tenuti a rispettare, con l’obiettivo di “proteggere le generazioni future”. In parole povere, la risoluzione per il clima chiede al principale organo giudiziario dell’Onu di fornire delle indicazioni sulla responsabilità legale per gli stati, specie quelli che inquinano di più, nel tentativo di portare anche i governi più recalcitranti verso posizioni compatibili con gli obiettivi climatici globali.
Vanuatu promotore della risoluzione dell’Onu
Il principale promotore della risoluzione è stata Vanuatu, nazione insulare dell’oceano Pacifico che rischia di scomparire a causa dell’innalzamento del livello degli oceani e che da anni è in prima fila per denunciare gli effetti devastanti del riscaldamento globale: “Abbiamo assistito a una vittoria di proporzioni epiche per la giustizia climatica”, ha dichiarato Ishmael Kalsakau, primo ministro del Paese. “La risoluzione di oggi è l’inizio di una nuova era nella cooperazione multilaterale sul clima, un’era che si concentra maggiormente sul rispetto del diritto internazionale e che pone i diritti umani e l’equità intergenerazionale in prima linea nel processo decisionale sul clima”.
A spingere la risoluzione sono stati anche molti giovani attivisti provenienti proprio dalle isole del Pacifico. Cynthia Houniuhi, presidente degli studenti del Pacifico impegnati nella lotta al cambiamento climatico, ha dichiarato: “Siamo estasiati dal fatto che il mondo ci abbia ascoltato. Non è colpa nostra se stiamo assistendo a cicloni tropicali devastanti, inondazioni, perdita di biodiversità e innalzamento del livello del mare. Abbiamo contribuito in misura minima alle emissioni globali che stanno affogando la nostra terra”.
Su cosa potrà esprimersi la Corte internazionale di giustizia
In base alla risoluzione, la Corte sarà tenuta a verificare se il mancato rispetto degli accordi climatici, come ad esempio quelli degli Accordo di Parigi del 2015 o quelli che si siglano al termine delle Cop, le conferenze sul clima, possa comportare conseguenze legali sui paesi che li “violano”. In particolare, le valutazioni dei giudici si baseranno sulle politiche adottate dai governi per contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali entro la fine del secolo, restando comunque ben al di sotto dei 2 °C che rappresentano la soglia del non ritorno. Accanto all’obiettivo globale, saranno poi presi in considerazione i cosiddetti Ndc, acronimo che sta per National Determined Contributions, e cioè le promesse di riduzione delle emissioni fatte dai governi di tutto il mondo e più volte disattese.
Come stabilisce la Carta delle Nazioni Unite, il trattato istitutivo dell’organizzazione, il parere espresso della Corte in tali circostanze non è vincolante, non comporta cioè obblighi giuridici per gli stati, ma potrebbe costituire un elemento di forte pressione politica e diplomatica per i paesi meno inclini a rispettare i risultati degli accordi internazionali. Un spiegazione in tal senso è arrivata direttamente dal segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che ha dichiarato ai delegati che il parere della Corte potrebbe aiutare i leader mondiali a intraprendere un’azione climatica più forte e coraggiosa di cui il mondo ha bisogno: “Per alcuni Paesi le minacce climatiche sono una condanna a morte. In realtà, è l’iniziativa di questi paesi, a cui si sono uniti molti altri, insieme agli sforzi dei giovani di tutto il mondo, che ci unisce. E, insieme, state facendo la storia” ha detto Guterres.
L’Italia è tra i firmatari, ma il grande assente sono gli Stati Uniti
Anche il nostro paese rientra tra i gli oltre 120 stati che hanno promosso la risoluzione. Ma a smorzare l’entusiasmo su un provvedimento di tale portata è l’assenza degli Stati Uniti, che non figurano tra i tra i firmatare dell’iniziativa. Un segnale che va letto soprattutto alla luce della recente decisione dell’amministrazione Biden di avviare il Willow Project, un imponente progetto di trivellazione petrolifera da 7 miliardi di dollari che riguarderà un’area di oltre 90 milioni di ettari del North Slope, regione settentrionale dell’Alaska, il più grande tratto di suolo pubblico incontaminato negli Stati Uniti. In questo senso, la risoluzione si configura come un atto dal grande impatto simbolico che vuole generare ricadute nell’operato politico di Paesi che, al pari degli Stati Uniti, hanno tenuto sino a ora posizioni fortemente ambigue sul clima, ridimensionando se non rinnegando nei fatti gli impegni presi ai tavoli negoziali. E come spesso accade, quegli stessi Paesi sono spesso tra i maggiori responsabili delle devastazioni ambientali che accadono ogni giorno sotto i nostri occhi, tracciando il confine tra la vita e la morte di interi ecosistemi e di tutte le forme di vita che li abitano.
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