La ventisettesima Conferenza mondiale sul clima della Nazioni Unite – la Cop 27 che si terrà a Sharm el-Sheikh, in Egitto, dal 6 al 18 novembre prossimi – è in qualche misura già cominciata. Lo ha fatto il 23 settembre scorso, giorno che rappresentava una scadenza cruciale per la credibilità del summit e dei governi del mondo intero. Entro quella data, infatti, avrebbero dovuto essere presentate le nuove Ndc (Nationally determined contributions), ovvero i piani di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra che ciascuna nazione è chiamata a dichiarare alla comunità internazionale.
Le Ndc attuali non bastano per centrare gli obiettivi sul clima
Si tratta di impegni che erano già stati avanzati dapprima in occasione della Cop 21 di Parigi, quando fu approvato l’Accordo che porta il nome della capitale francese. Ma che erano risultati clamorosamente insufficienti: se la scienza ci ha indicato la necessità di non superare i 2 gradi centigradi di aumento della temperatura media globale, rispetto ai livelli pre-industriali, quelle Ndc ci avrebbero portati a superare abbondantemente i 3 gradi. Rimanendo il più possibile vicini agli 1,5, poiché la differenza – anche di mezzo grado – sarebbe enorme in termini di impatto su esseri umani, biodiversità, economie e territori.
I thank the governments of
Indonesia🇮🇩 the United Kingdom🇬🇧 the United Arab Emirates🇦🇪 and Uganda🇺🇬
who have recently submitted updated national climate plans, #NDCs.
As agreed in Glasgow last year, we need all countries to increase ambition before #COP27 to keep 1.5°C alive.
Per questa ragione le Nazioni Unite hanno chiesto ai governi di rivedere gli impegni. Cosa che è stata fatta, parzialmente, negli anni scorsi. Ma la situazione è migliorata soltanto di poco: i dati indicano che ora si dovrebbe rimanere al di sotto della soglia dei 3 gradi, ma che si è ancora lontanissimi dall’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi, fissato appunto a 1,5 gradi.
Solo 23 paesi hanno presentato nuovi piani. E non sempre più ambiziosi
Di qui la richiesta da parte dell’Onu, e in particolare dell’Unfccc – la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si occupa tra le altre cose di organizzare le Cop – di rifare nuovamente i compiti a casa. Perché senza impegni seri e coerenti da parte degli stati, anche gli stessi summit internazionali cominciano ad apparire come stucchevoli passerelle di presidenti, ministri e amministratori delegati.
Così si è giunti alla scadenza dello scorso 23 settembre. Che è stata bellamente ignorata dalla stragrande maggioranza delle nazioni del mondo. In particolare da quelle più ricche, le cui economie sono più energivore e dunque a maggiore impatto in termini di emissioni climalteranti. Le nuove Ndc sono state presentate soltanto da 23 paesi, sui quasi 200 che hanno ratificato l’Accordo di Parigi. E non si tratta neppure di comportamenti così virtuosi, poiché chi ha rispettato la scadenza si è limitato a dettagliare le politiche attraverso le quali intende centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni già indicati in passato, anziché proporne di nuovi e più ambiziosi.
Il caso clamoroso del Brasile di Jair Bolsonaro
Ciò detto, tra chi ha inviato le nuove Ndc figurano nazioni come l’Egitto (i padroni di casa della Cop 27), l’Indonesia o gli Emirati Arabi Uniti (dove si terrà la Cop 28, nel 2023). Il primo immagina di raggiungere una produzione di energia da fonti rinnovabili pari al 42 per cento del totale entro il 2035. La seconda ha innalzato il proprio obiettivo di riduzione delle emissioni, al 2030, dal 29 al 32 per cento. I terzi, allo stesso modo, hanno modificato gli impegni passando dal 23,5 al 31 per cento.
I welcome the updated NDCs from Indonesia 🇮🇩 UAE 🇦🇪 & Uganda 🇺🇬 and Gambia’s Long Term Strategy 🇬🇲
23 parties including UK 🇬🇧 have submitted new or strengthened NDCs to @UNFCCC since COP26
I encourage all countries, and especially major emitters, to do so ahead of #COP27
Anche Australia e Brasile, paesi che emettono grandi quantità di CO2, hanno rivisto i propri obiettivi al rialzo: la prima dal 26-28 al 43 per cento (al 2030, rispetto al 2005) e il secondo dal 37 al 50 per cento (con le stesse scadenze e punti di riferimento). Ma nel caso della nazione ad oggi governata dal climatoscettico Jair Bolsonaro si potrebbe trattare di un’illusione: per aumentare i dati, secondo un’analisi di Climate action tracker, sarebbe stato modificato il metodo di calcolo delle emissioni di riferimento, quelle al 2005 appunto. Nel complesso, il piano brasiliano attuale sarebbe perfino meno ambizioso di quello precedente.
Altri impegni sono arrivati da paesi come Uganda e Gambia, le cui emissioni sono tuttavia marginali rispetto al totale globale.
Nessun nuovo piano da Cina, India, Russia, Stati Uniti e Unione europea
Soprattutto, non sono arrivati nuovi piani dalle grandi potenze economiche e industriale del Nord del mondo. Cina, India, Russia e Stati Uniti hanno mancato la scadenza indicata dalle Nazioni Unite. Così come l’Unione europea, che tuttavia starebbe valutando un miglioramento delle proprie Ndc, ancorché non ancora discusso né dal Parlamento, né dagli stati membri.
Finanza climatica, carbon credit, gender, mitigazione. La Cop29 si è chiusa risultati difficilmente catalogabili in maniera netta come positivi o negativi.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.