L’ultimo bilancio di sostenibilità di Gruppo CAP, Sorgente di connessioni, ricorda l’importanza di fare rete per rendere concreta la transizione ecologica.
Nel mondo si pesca molto di più di quanto si pensi
Secondo uno studio tra il 1950 e il 2010 le quantità reali di pescato sarebbero superiori del 50 per cento a quelle dichiarate dai vari stati.
I mari e gli oceani, laddove la vita ha avuto inizio, si stanno gradualmente trasformando in aridi deserti d’acqua a causa della pesca dissennata e dell’inquinamento. Secondo un recente studio del Wwf negli ultimi quarantacinque anni la quantità di fauna ittica nei nostri oceani si è dimezzata.
La situazione potrebbe però essere perfino peggiore, secondo un nuovo studio pubblicato questa settimana su Nature Communications le stime ufficiali sottovaluterebbero notevolmente i dati globali relativi alle quantità di pesce pescato. I ricercatori dell’università della British Columbia, in Canada, hanno scoperto che tra il 1950 e il 2010 i dati effettivi delle catture sarebbero superiori del 50 per cento a quelli che i paesi membri hanno riferito volontariamente all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao).
Questo fenomeno, secondo i ricercatori, riguarda i dati relativi alla pesca su scala industriale, le stime delle catture su piccola scala, come la pesca di sussistenza, non vengono infatti generalmente segnalate alla Fao. Le statistiche ufficiali della Fao, di conseguenza, sottovalutano il reale impatto globale della pesca e l’effettiva quantità delle catture.
Lo studio sostiene che ai dati forniti dalle Nazioni Unite bisogna aggiungere circa 32 milioni di tonnellate di pescato non dichiarato ogni anno. “La Fao non ha il mandato per correggere i dati che le vengono forniti – ha spiegato Daniel Pauly, autore principale dello studio. – I paesi hanno la cattiva abitudine di riferire solo quello che vedono”.
Avviene di conseguenza una sottovalutazione sistematica delle attività di pesca, che può però riguardare percentuali considerevoli, “fino al 30 per cento nei paesi sviluppati e dal 200 al 300 per cento nei piccoli stati insulari”, ha affermato Pauly. Per capire l’effettiva entità di questa sottovalutazione, Pauly e Dirk Zeller dell’università della British Columbia, in collaborazione con la ong The Pew Charitable Trusts e con il supporto di una rete internazionale di quattrocento scienziati, hanno stimato le catture di oltre duecento paesi tra il 1950 e il 2010.
Dopo aver analizzato una vasta gamma di fonti dirette e indirette i ricercatori le hanno confrontate con i dati rilasciati dalla Fao. Secondo i dati ufficiali, a partire dal 1950, a livello mondiale la quantità di pescato è aumentata costantemente fino ad arrivare a 86 milioni di tonnellate nel 1996, dopodiché è rimasta stabile, diminuendo lievemente, di quasi 0,40 milioni di tonnellate all’anno. Nel 2010, sempre secondo la Fao, la quantità di animali marini catturati è scesa a 77 milioni di tonnellate.
I dati ricavati da Pauly e dal suo team parlano invece di cifre molto più elevate, si è passati dai 130 milioni di tonnellate nel 1996, ai quasi 109 milioni di tonnellate del 2010. Le nuove stime evidenziano come i dati delle catture fossero valutati estremamente al ribasso, secondo Pauly e Zeller i loro dati potrebbero contribuire alla formulazione di politiche migliori e più oculate per disciplinare la pesca nel mondo.
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