Cooperazione internazionale

Giornata per l’igiene mestruale. Le donne nepalesi discriminate durante il ciclo si ribellano

Il 28 maggio è la Giornata internazionale per l’igiene mestruale, che mette in luce anche come molte donne vengono discriminate durante il ciclo. Il racconto dal Nepal, dove l’ong Apeiron lavora con le donne che vogliono liberarsi da un’usanza sessista e pericolosa.

Isolate come impure. Imprigionate come streghe. Morte per incidenti nelle baracche in cui erano state rinchiuse. Dalle prime mestruazioni, nel remoto ovest montagnoso del Nepal, bambine, ragazze, donne sono sottoposte alla chaupadi. “È una credenza ancestrale, rurale, che non ha alcun fondamento nei libri sacri induisti. Una superstizione dal contorno vago tramandata oralmente”, racconta dalla capitale Kathmandu, Barbara Monachesi, responsabile di Apeiron onlus nel Paese asiatico.

“Secondo questa imposizione patriarcale – continua –, nei giorni del ciclo le femmine sono contaminate e portatrici di sventure per i loro famigliari e la loro comunità. Perciò, vengono allontanate e costrette a rimanere in una capanna detta chaugoth. Non possono vedere i maschi adulti, neppure i mariti, i padri e i fratelli. È vietato loro entrare in cucina, toccare i cibi, le fonti d’acqua. Un’altra donna può stare con loro, ma deve dormire in un luogo separato”.

Bambina nel villaggio di Ripi, distretto di Jumla, Nepal occidentale
Bambina nel villaggio di Ripi, distretto di Jumla, Nepal occidentale © Riwaj Rai per Apeiron onlus

Lo scorso inverno si sono verificati due tragici episodi. Una madre, Amba Bohora, i suoi due bambini e qualche settimana dopo una ragazza, Pravati Bogati, sono stati ritrovati senza vita nelle chaugoth. Tutti e quattro hanno inalato fumi tossici dopo aver acceso dei fuochi per riscaldarsi. Ogni anno delle donne muoiono nelle capanne in cui sono “esiliate” durante il ciclo, ma non esiste una stima di questi eventi. Capita, in queste zone selvagge del Nepal, che le chaugoth siano anche attaccate da tigri o altri animali feroci.

Nella Giornata internazionale sull’igiene mestruale, che cade il 28 maggio, l’italiana Monachesi ricorda che in alcune parti del mondo, le più povere, il ciclo è ancora un tabù. Avvocato di formazione, 45 anni, dal 2005 dirige in Nepal vari progetti sull’empowerment femminile, cioè a favore della parità di genere, e contro la violenza contro le donne che è endemica nella repubblica himalayana.

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In Nepal le mestruazioni sono un tabù e una condanna

Il 25 per cento della popolazione femminile dai 15 anni in su ha subito violenza dal partner, ma il numero delle donne violate e che non hanno denunciato potrebbe essere più alto, secondo un’indagine delle Nazioni Unite del 2018. L’ultimo censimento del 2011 stima che fra le spose nepalesi 750mila abbiano un’età compresa fra i 10 e 14 anni, e circa la metà di esse fra i 15 e i 19.

Apeiron accoglie nella sede Casa Nepal di Kathmandu una quarantina di persone tra donne fuggite da abusi e i loro bambini. Qui offre corsi di formazione che possano renderle indipendenti economicamente: cucina, ristorazione, sartoria, estetica, artigianato. Lontano dalla capitale, in zone impervie, senza ospedali, scuole, cerca invece di avviare e supportare la micro-impresa di casalinghe, contadine e allevatrici.

Nel distretto occidentale di Jumla, a Ripi, la squadra di Apeiron, che è formata da personale nepalese con l’eccezione di Barbara, ha scoperto che era in vigore la chaupadi un po’ per caso. “Quando ci siamo recati lì nel 2017 per rendere più produttiva la coltivazione locale dei fagioli, le donne hanno cominciato a parlarci di questa usanza”, continua Monachesi . “Una precisazione: non le abbiamo ‘convinte’ ad abbandonare questa pratica discriminatoria. Mentre le aiutavamo a vendere i prodotti dei loro orti e i loro polli, le mogli che prima erano in tutto dipendenti dai mariti si sono sentite più sicure, forti. Nelle riunioni si confrontavano sempre di più sui danni subiti durante le mestruazioni fino a volersi dichiarare libere da ogni credenza dannosa. Si è avviato un processo di auto-consapevolezza tuttora in corso”.

All’inizio di maggio, infatti, 88 donne del villaggio di Ripi hanno rinunciato pubblicamente alla chaupadi. Anche gli uomini e le autorità locali hanno partecipato a questo evento, mentre le ragazze intonavano un canto sulla loro storia di liberazione.

In una casa nel villaggio di Ripi, distretto di Jumla, Nepal occidentale
In una casa nel villaggio di Ripi, distretto di Jumla, Nepal occidentale © Riwaj Rai per Apeiron onlus

L’utilizzo di assorbenti usa e getta, dato per scontato in occidente, è inaccessibile nelle aree più disagiate del Pianeta. In Nepal solo le donne benestanti di città possono spendere circa un euro per una confezione. Le altre usano panni lavabili, spesso di scarsa qualità e di impedimento agli impegni quotidiani. Nel documentario indiano Il ciclo del progresso, lo scorso febbraio vincitore del premio Oscar 2019 come miglior cortometraggio, si vedono alcune bambine delle medie abbandonare la scuola perché non riescono a cambiarsi e per l’estremo imbarazzo. Monachesi aggiunge che succede anche nel vicino Nepal, dove le ragazzine si arrangiano addirittura con degli stracci o sovrapponendo più indumenti. Infezioni e gravi carenze di ferro sono all’ordine del giorno. La comunità le respinge anche per il loro aspetto sporco e non igienico.

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Barbara Monachesi responsabile di Apeiron onlus in Nepal durante il terremoto del 2015
Barbara Monachesi in Nepal durante il terremoto del 2015 © Apeiron onlus

“Ho contattato Muruganantha, l’ideatore di Pad project di cui si parla nel film indiano, ambientato fuori Delhi. Volevamo anche noi produrre i nostri assorbenti – spiega la responsabile di Apeiron – come riescono a fare le protagoniste del cortometraggio, ma in Nepal l’approvvigionamento delle materie prime è complicato. Finora questa piccola nazione ha importato quasi tutto dall’India con costi elevati di trasporto.

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Inoltre, le vie di comunicazione interne sono insufficienti e sarebbe quasi impossibile raggiungere lo sperduto Ripi sull’Himalaya. Ci vogliono almeno tre giorni per arrivarci, sia in aereo che in auto, contando in aggiunta sei ore di cammino dall’ultima città”. Apeiron è attenta all’ecosostenibilità. Monachesi spera che un giorno si possa trovare una soluzione efficace, sicura e con un minor impatto sull’ambiente per tutte le nepalesi.

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Festa di liberazione dalla chaupadi a Ripi
Festa di liberazione dalla chaupadi a Ripi © Riwaj Rai per Apeiron onlus

La pratica del chaupadi diventa illegale

Dal punto di vista politico, è già un grande traguardo che il governo di Kathmandu nel 2017 abbia definito un crimine la pratica della chaupadi, sebbene la nuova legge non sia ancora rispettata ovunque. In effetti, il Nepal ha intrapreso un percorso di rinnovamento negli ultimi dieci anni. Dopo la guerra civile tra guerriglieri maoisti ed esercito (1996-2006), 19mila vittime, e la fine di una monarchia autoritaria, nel 2008 è stata proclamata la repubblica federale. Una nuova costituzione che prevede anche quote rosa in politica è stata adottata un po’ più tardi, nel 2015.

Il terremoto di quello stesso anno, che ha causato oltre ottomila morti, ha rallentato il cammino democratico e di sviluppo economico, ma non lo ha bloccato. Monachesi ricorda che, visitando i campi per i terremotati, incontrò una madre che le disse di non avere con sé la figlia: “Le erano arrivate le mestruazioni e lei l’aveva allontanata chissà dove. Persino in una circostanza come quella… Io che abito qui con le mie bambine non avrei mai potuto pensare di non averle vicino”.

La legge non basta quando la mentalità impedisce alle donne di vivere in modo dignitoso. Le autorità hanno fatto distruggere molte chaugoth, ma altre sono state ricostruite dagli abitanti dei villaggi. Qui il vento del movimento #Metoo che rompe il silenzio sulle violenze non è arrivato come in India, dove ci sono più aree di emancipazione e maggiore ricchezza economica. “Un problema sociale non può essere esaminato come elemento a sé stante”, conclude Monachesi, mentre si sentono i canti religiosi provenire da Casa Nepal.

Si avvicina il tramonto, il saluto induista alla giornata trascorsa: “In Nepal le donne lavorano come schiave, da mattina a sera nei campi, nelle stalle, in casa, ma non ricevono alcun compenso. Ogni guadagno va al marito o al capo famiglia. E anche fra le istruite, ‘borghesi’, alcune mi dicono che l’isolamento della chaupadi è una tregua dalle fatiche domestiche. Qui affonda le radici il patriarcato: alle donne non è permesso neppure di sentirsi stanche e di riposarsi”.

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