Grazie alla tecnologia lidar sono state scoperte migliaia di strutture maya in Messico. Ci sono ancora molte rovine sepolte nella giungla.
Nicaragua, perché gli studenti si rivoltano contro la dinastia Ortega
Ong e Nazioni Unite hanno stigmatizzato la dura repressione del presidente del Nicaragua Ortega contro gli studenti che da mesi ne chiedono le dimissioni.
Nella scorsa primavera, sembrava di essere tornati indietro di quarant’anni nel quartiere di Monimbo della città di Masaya, in Nicaragua. Qui, ad una trentina di chilometri dalla capitale Managua, nel febbraio del 1978 è nata la prima insurrezione popolare a sostegno della rivoluzione sandinista. La rivolta che portò al potere Daniel Ortega, attuale presidente della nazione latino-americana.
Il governo rivoluzionario sandinista del Nicaragua da 39 anni al governo
Da allora, il governo non è mai cambiato. Dopo quattro decenni, però, comincia a scricchiolare. Il 19 luglio il leader sudamericano ha festeggiato il 39esimo anniversario della “Revolución”. Ma i suoi pensieri, così come quelli della moglie Rosario Murillo, sua vicepresidente, erano rivolti soprattutto al movimento sociale che da mesi chiede la destituzione dei dirigenti di un regime giudicato “autoritario” e “corrotto”.
La rivolta è cominciata all’inizio di aprile. All’epoca, un immenso incendio aveva da poco devastato, in meno di una settimana, circa 5mila ettari di una delle principali foreste tropicali del continente: la riserva di Indio Maiz, nel sud del Nicaragua. Un nutrito gruppo di studenti dell’università centroamericana di Managua (semi-privata e di ispirazione gesuita) ha deciso di scendere in piazza per protestare contro la “scarsa preparazione” del governo di fronte al disastro naturale. E la scelta di non accettare l’aiuto internazionale offerto dalla Costa Rica.
Un mega-incendio e la riforma del welfare hanno scatenato le proteste
Si è trattato tuttavia semplicemente di un casus belli (o di un pretesto, secondo i sostenitori di Ortega). Prova ne è il fatto che, qualche giorno dopo, l’approvazione di una riforma delle pensioni e dello stato sociale nicaraguense ha convinto altri giovani (e non solo) ad unirsi alla protesta. Ragazzi di altre università sono scesi in piazza e in breve il movimento si è esteso alla maggior parte degli atenei, contagiando anche il resto della società.
Police in Nicaragua detain 26 protesters gathering for a march against the government of President Daniel Ortega pic.twitter.com/XQMK0FP3b6
— TRT World Now (@TRTWorldNow) 15 ottobre 2018
Ne sono nati i primi scontri in strada con gruppi che invece difendono Ortega. Quest’ultimo, vista l’ampiezza e la determinazione del movimento di protesta ha dapprima deciso di ritirare la riforma, sperando che ciò potesse attenuare la rivolta. Quindi ha organizzato degli incontri con i leader della rivolta, al fine di tentare una mediazione. Ma puntando il dito contro la corruzione, il verticismo del potere e il deteriorarsi delle condizioni di vita della popolazione, gli studenti hanno deciso di mantenere la richiesta di dimissioni.
La repressione e i morti nel movimento che Ortega definisce “terroristico”
Le posizioni della coppia presidenziale si sono allora fatte ben più dure. Le rivendicazioni del movimento giovanile – che sfila ogni settimana scandendo “El pueblo unido, jamás será vencido” (Il popolo unito non sarà mai battuto) – sono state definite “un tentativo di colpo di stato”. Gli studenti dei “terroristi”. E gli Stati Uniti una nazione che ha lavorato per fomentare la rivolta. Quindi, alla polizia è stato dato l’ordine di attuare una durissima repressione, stigmatizzata anche da Zeid Ra’ad al-Hussein, capo dell’ufficio Diritti Umani delle Nazioni Unite.
Leggi anche: Nicaragua, il governo tradisce le promesse fatte agli indigeni di Awas Tingni
Nella piccola nazione da sei milioni di abitanti, nel giro di pochi mesi, i morti tra gli studenti sono stati più di 300, secondo quanto denunciato da Amnesty International. L’organizzazione non governativa ha accusato Ortega e la moglie di aver seminato il terrore nel paese: “Hanno scelto la strada di una strategia repressiva e persecutoria”. L’associazione ha inoltre parlato di arresti arbitrari, uso di armi letali, spari sulla folla, ricorso massiccio all’esercito, minacce alle famiglie dei manifestanti morti o imprigionati. Di violazioni e abusi parla anche un rapporto delle Nazioni Unite.
#Nicaragua ??: thousands of Nicaraguans gathered in the capital of #Managua to march against, violence by #Ortega‘s riot police. #SOSNicaragua pic.twitter.com/dV8amEke7t — Thomas van Linge (@ThomasVLinge) 23 aprile 2018
Studenti in clandestinità. Amnesty denuncia sospette “esecuzioni sommarie”
I feriti sono migliaia. E alcuni dei leader della protesta vivono attualmente in condizioni di clandestinità. Come riferito da un reportage della televisione pubblica franco-tedesca Arte, hanno affittato alloggi sotto falso nome e vivono nascosti per il timore di essere arrestati o uccisi. Altri sono fuggiti in Costa Rica, chiedendo di essere riconosciuti come rifugiati. Amnesty parla d’altra parte anche di cinque presunte “esecuzioni sommarie”, tra le quali quella di un’adolescente di 16 anni, Leyting Chavarria. “Le prove in nostro possesso – ha aggiunto la ong – indicano che nessuna delle vittime rappresentava una minaccia. Sono stati uccisi in modo deliberato”.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Per molte minoranze il dritto a scegliere tra Harris e Trump alle elezioni presidenziali Usa resta un percorso a ostacoli.
Il partito Sogno georgiano confermato con il 53,9 per cento dei voti. Ma piovono accuse di brogli e interferenze. L’Ue chiede di indagare. Intanto la presidente del Paese invita alla protesta. I vincitori: “Questo è un colpo di Stato”.
Due leggi approvate da Israele a larga maggioranza renderanno di fatto impossibile per l’Unrwa operare a Gaza e in Cisgiordania. La comunità internazionale insorge.
Continua ad aumentare il numero di sfollati nel mondo: 120 milioni, di cui un terzo sono rifugiati. Siria, Venezuela, Gaza, Myanmar le crisi più gravi.
Continua l’assedio israeliano su Gaza nord, dove per l’Onu l’intera popolazione è a rischio morte. Nuovi missili contro l’Iran, mentre in Libano uccisi tre giornalisti.
Nel bacino di Kariba, in Zambia, c’è poca acqua a causa della siccità. Questo non permette di produrre elettricità e il paese è in balia dei blackout.
Dopo tredici anni di conflitto, la crisi umanitaria in Siria è una delle più gravi. Grazie anche al lavoro di WeWorld insieme alla cooperazione italiana, si cerca di dare strumenti agli studenti con disabilità per professionalizzarsi.
María Corina Machado ed Edmundo González Urrutia premiati “per la loro lotta per libertà e democrazia in Venezuela” e contro il regime di Maduro.