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Nicolas Bargi, Save the Duck: salviamo gli animali, salviamo le oche, questo è quello che facciamo
Un grande papero arancione sospeso a due metri da terra come una sorta di idolo, al quale conduce un percorso di luce, lungo il quale si snoda la collezione Save the Duck: dai classici piumini senza piuma a nuovi capi di abbigliamento realizzati con materiali cruelty-free senza prodotti di origine animale, né piume, né lana,
Un grande papero arancione sospeso a due metri da terra come una sorta di idolo, al quale conduce un percorso di luce, lungo il quale si snoda la collezione Save the Duck: dai classici piumini senza piuma a nuovi capi di abbigliamento realizzati con materiali cruelty-free senza prodotti di origine animale, né piume, né lana, né pelle. Così si presenta il negozio di Milano, primo monomarca del brand italiano, un spazio che è anche un concentrato di spunti interessanti su cui riflettere. “Nella nostra proposta creativa la marca è diventata un movimento, la giacca un costume da supereroe, il commesso un ambasciatore e il cliente un agente segreto”, spiega Antonio Pisanò, visionario architetto dello studio Marcel Mauer che ha lavorato al progetto insieme all’agenzia di comunicazione Futerra, entrambi con una lunga esperienza di sostenibilità.
Da sempre Save the Duck fa dell’ironia un ingrediente fondamentale per comunicare il proprio messaggio, a partire dal logo che rappresenta un papero che se ne va fischiettando, con una goccia di sudore sulla fronte dopo essere scampato alla spennatura.
La sostenibilità per Save the Duck
“Noi salviamo gli animali, salviamo le oche, questo è quello che facciamo”, ha spiegato Nicolas Bargi, ad di Save the Duck, parafrasando il nome del brand. “Ovviamente non è possibile pensare di salvare gli animali inquinando l’ambiente, quindi cerchiamo di lavorare al meglio anche in questo senso”. Ma le riflessioni di Bargi rivelano che il lavoro è tutt’altro che semplice: “In maniera trasparente ci piace raccontare cosa c’è dietro ai nostri prodotti”, spiega. “La sostenibilità è un concetto complesso e al suo interno si trovano delle contraddizioni, quindi una persona deciderà quale prodotto preferisce e perché”. La collezione di Save the Duck, infatti, ha diverse linee, ognuna con un’anima diversa. Accanto a quella classica con il logo arancione, che ricicla il Pet vergine per realizzare l’imbottitura, ci sono i capi con il logo verde, realizzati per il 95 per cento utilizzando bottiglie di plastica riciclate. Si tratta di un livello più elevato di sostenibilità, che guarda a una ideale società senza petrolio nella quale non troveremmo il Pet vergine, che è uno scarto di raffinazione e una delle materie prime della collezione base”. Si sta lavorando anche a un prodotto tutto bio vegetale, mentre c’è già una linea per gli amanti del mare, identificata con il bollino azzurro, che utilizza un tessuto prodotto con le reti da pesca recuperate in mare. “Lasciamo che il consumatore scelga, secondo la propria sensibilità, in una rosa di prodotti che sono sempre e comunque animal-free”.
La sostenibilità come obiettivo etico e di business
Come spesso accade tutto è nato in un momento di difficoltà. Venendo a termini con la crisi, Bargi ha cercato una nicchia in cui non ci fossero concorrenti. Ha ripensato a un articolo che aveva letto sulle nuove tendenze, sul fatto che i giovani consumatori avevano iniziato a pretendere sostenibilità. Grazie alla sua esperienza in montagna sapeva anche che la piuma teneva caldo ma non era traspirante, che serviva ricerca e tecnologia per avere un buon prodotto. Su una cosa non aveva dubbi, non voleva un prodotto con materiali di origine animale.
“È stato tutto abbastanza difficile, perché andavo in una direzione opposta rispetto a quella in cui andavano gli altri e non era affatto detto che avrei avuto fortuna”, spiega Bargi, cresciuto in una famiglia con una lunghissima tradizione nel tessile. “Però pensavo che ci fosse una percentuale di persone che la pensavano come me e alla fine ho creato un prodotto alternativo che oggi è unico sul mercato”, aggiunge. “È stata dura, allora più di adesso: ora finalmente sto surfando la mia onda”.
Il bollino arancione, ben visibile sui capi di abbigliamento è anche una dichiarazione di impegno: “Io sono tendenzialmente no-logo ma mi sono reso conto che gli unici loghi che resteranno sono quelli che rappresentano un messaggio in cui una persona si rispecchia”, spiega Bargi raccontando come è iniziato il suo percorso con il brand. “Quindi con questo bollino che sembra quasi un cartello stradale vado a colpire proprio chi come me ha un certo tipo di coscienza”.
I prodotti Save the Duck sembrano soddisfare tutti i criteri desiderabili: sono cruelty-free, hanno un prezzo non eccessivo, sono realizzati con un occhio di riguardo per l’ambiente, con materiali tecnici e resistenti, che rispettano la filosofia del produrre un capo che duri a lungo anche se questo si traduce in meno pezzi acquistati. “Non è vero che i materiali puliti siano esageratamente più cari degli altri”, spiega Bargi. Per questo viene da chiedersi come questo sia possibile e perché non seguano tutti il suo esempio. “Certo ci vuole la volontà di guadagnare il giusto e mettere sul mercato un prodotto che abbia il giusto prezzo”. E serve anche una forte dose di organizzazione. Save the Duck produce in Cina, perché ritiene che lì ci siano le migliori fabbriche, le più innovative, in grado di soddisfare determinati quantitativi di produzione e qualità. “A chi ci critica per questa scelta rispondiamo dicendo che sappiamo come produciamo e quanto consumiamo, perché abbiamo tutto profilato”.
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