Circa 40.000 persone hanno sostenuto le richieste indigene, che si oppongono a un progetto di revisione del trattato fondativo della Nuova Zelanda.
Chi è Nicolas Hulot, ministro francese dell’Ambiente e qual è il suo piano
Da pochi mesi Nicolas Hulot è ministro del governo di Edouard Philippe. Giornalista e uomo delle istituzioni: ecco cosa propone di fare per l’ambiente.
Nicolas Hulot è il nuovo ministro dell’Ambiente della Francia. Dopo essere stato corteggiato per anni da governi di destra e di sinistra, senza mai accettare di farne parte, ha deciso di entrare nell’esecutivo diretto dal conservatore Edouard Philippe, sotto la presidenza del centrista Emmanuel Macron. Hulot è un profondo conoscitore della politica francese: per anni ha preso parte e diretto programmi, iniziative e think tank di emanazione governativa. Assumendo sempre un ruolo “trasversale” in termini politici e aperto al compromesso.
Gli anni da fotoreporter e il primo ruolo istituzionale con Jacques Chirac
Sessantaduenne, nato a Lille, a lungo giornalista, presentatore e viaggiatore per passione, Nicolas Hulot ha dapprima studiato (per pochi mesi) medicina all’università, quindi ha deciso di abbandonare gli studi e dedicarsi al giornalismo fotografico per l’agenza di stampa Sipa. Un lavoro che lo porterà a girare il mondo per approdare poi all’emittente radiofonica France Inter, come presentatore di numerose trasmissioni d’avventura. Negli anni Ottanta fa le sue prime apparizioni in tv, dove ottiene il più importante successo di pubblico in particolare con un programma intitolato “Ushuaia Nature”.
Nel 1990 crea una sua fondazione, che dal 1995 è conosciuta come Fondazione Nicolas Hulot per la Natura e l’Uomo, attraverso la quale parteciperà a numerose iniziative che lo avvicineranno alla politica. Nel 2002 accetta per la prima volta di svolgere il ruolo di consigliere ambientale per il presidente Jacques Chirac: per il leader conservatore – che è passato alla storia come il presidente dei test di armi nucleari negli atolli del Pacifico – scriverà il discorso pronunciato in occasione del Summit della Terra di Johannesburg, nel settembre dello stesso anno.
È in questo contesto che il primo ministro dell’epoca, Jean-Pierre Raffarin, gli propone per la prima volta la poltrona di ministro dell’Ambiente, che Hulot rifiuterà. Riferendosi alla politica, il giornalista non sembrava d’altra parte particolarmente fiducioso: “Sono un ottimista per natura e un pessimista per ragionamento. Mi sembra di essere su un aereo di linea che precipita mentre si continua a stappare champagne”. Un atteggiamento che culminerà con l’uscita di un libro (“Quante catastrofi ancora prima di agire?”) e di un film (“La sindrome del Titanic”) dai titoli eloquenti.
Dal “Patto ecologico” con Sarkozy alla Cop 21 di Parigi, ai finanziamenti scomodi
Nel 2006, chiede ai principali candidati alle presidenziali dell’anno successivo di impegnarsi per un “Patto ecologico”: il conservatore Nicolas Sarkozy, la socialista Ségolène Royal, il centrista François Bayrou e la comunista Marie-George Buffet ne accettano i contenuti. Sarà il primo a diventare presidente e a non rispettare quanto sottoscritto. Ciò nonostante, nel 2007 Hulot prende parte ad una nuova iniziativa con il primo ministro di destra Alain Juppé, anch’essa con scarsi risultati.
Per ottenere una vera vittoria il giornalista francese dovrà aspettare il 2015, quando in qualità di “Inviato speciale del presidente della Repubblica” François Hollande alla Conferenza mondiale sul Clima delle Nazioni Unite (Cop 21) rivestirà un ruolo particolarmente importante nel “cucire” le divergenze tra i diversi paesi, al fine di raggiungere un punto di intesa sfociato nella firma dell’Accordo di Parigi.
Il percorso e l’approccio di Hulot, dunque, sono sempre stati particolarmente “istituzionali” e gli sono valsi per questo anche alcune critiche. Di recente, il settimanale Le Canard Enchainé ha pubblicato un’inchiesta sulla sua fondazione, dalla quale si evince come essa riceva finanziamenti anche da numerose aziende da decenni nel mirino degli ambientalisti francesi. In particolare, 100mila euro all’anno dal colosso dell’Energia Edf e 200mila euro all’anno dal costruttore Vinci. Proprio Edf è l’azienda che gestisce i cantieri dei nuovi reattori Epr a Flamanville, in Normandia, a Hinkley Point, nel Regno Unito e a Olkiluoto, in Finlandia particolarmente criticati per gli scandali, i costi esorbitanti e i ritardi accumulati.
L’ambizioso “Piano per il clima” di Nicolas Hulot e la prudenza delle ong
Ciò nonostante, Hulot ha avviato la sua esperienza nel governo Philippe con un programma particolarmente ambizioso in tema di ambiente. Tra i principali assi del suo “Piano per il clima” figurano l’introduzione di incentivi per l’acquisto di veicoli puliti “in vista di uno stop alla commercializzazione di auto a benzina o diesel entro il 2040”, stanziamenti per “risolvere in dieci anni” il problema dell’edilizia non efficiente da un punto di vista energetico, la chiusura “entro il 2022” della produzione energetica alimentata a carbone, l’ottenimento della “carbon neutrality” entro il 2050, lo stop alle nuove concessioni per lo sfruttamento di petrolio e gas e la diminuzione della quota di produzione energetica da nucleare al 50 per cento entro il 2025 (oggi è tra il 75 e l’80 per cento). Per farlo, Hulot ha proposto di chiudere “fino a 17 reattori” (sui 58 attualmente in funzione in Francia).
Il programma è stato accolto con prudenza dalle ong, che chiedono innanzitutto “di passare dagli annunci ai fatti concreti”. In molti hanno sottolineato ad esempio che le promesse in materia di nucleare sono le stesse che aveva già avanzato François Hollande nel 2012. Mentre Greenpeace ritiene che chiudere 17 reattori non possa bastare: “Bisognerà fermarne tra 27 e 31. E finché non lo si farà, le fonti rinnovabili non saranno sviluppate adeguatamente: Hulot prosegue nello stesso errore di metodo dei governi precedenti”. “D’altra parte – ha spiegato Charlotte Mijeon, della rete Uscire dal nucleare, al quotidiano ecologista Reporterre – abbiamo un primo ministro che ha lavorato anni presso Areva…”, ovvero presso uno dei principali attori transalpini dell’atomo.
Inoltre, se le poche centrali a carbone ancora presenti in Francia saranno chiuse, nulla è stato detto sulle 46 che i due colossi di stato Edf e Engie possiedono in giro per il mondo, responsabili da sole di emissioni pari a 151 milioni di tonnellate di CO2 all’anno: circa la metà dell’inquinamento totale prodotto dal Paese europeo entro i propri confini. La Rete Action Climat, infine, ha sottolineato la mancanza di attenzione sul tema della tassa sulle transazioni finanziarie, sulla quale pare che lo stesso presidente Macron stia prendendo tempo.
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