Circa 40.000 persone hanno sostenuto le richieste indigene, che si oppongono a un progetto di revisione del trattato fondativo della Nuova Zelanda.
Nicosia, Cipro. L’ultimo muro che divide l’Europa
È l’ultima capitale europea che ancora deve fare i conti con un muro. Un reportage esclusivo da Nicosia, sull’isola di Cipro, divisa da una linea verde.
Il passaggio dei turisti e locali al gate di Ledras street è cadenzato. I poliziotti danno una sbirciata al passaporto, riconsegnandolo velocemente nelle mani del proprietario. Percorsi quindici metri ricomincia la trafila: passaporto, sguardo veloce e arrivederci. Se non fosse per quei due posti di controllo Nicosia sembrerebbe una città comune a molte altre: i locali del centro storico suonano musica dal vivo, le coppie passeggiano mano nella mano, i negozi attraggono i turisti di passaggio. Ma Nicosia non è una città come tutte le altre, è l’ultima capitale divisa.
Il 1974 per Cipro
A poche decine di metri dal gate di Ledras street, c’è uno dei tanti assaggi del muro che divide la città. Tinteggiata di bianco e di blu, la barriera, che non supera i due metri, è controllata da un soldato distratto situato dentro un gabbiotto. “Che ci vuoi fare? Non possiamo che accettare questa situazione”, Costas gestisce un ristorante che confina per pochi centimetri con la green line, la zona cuscinetto istituita nel 1974 nella città, “Mia moglie era della parte turco-cipriota della città, è stata costretta a lasciare tutto e trasferirsi da questa parte”. Il locale del greco-cipriota si chiama Checkpoint Charlie, celebre passaggio di un altro muro, quello di Berlino. “Ci abbiamo fatto l’abitudine. E adesso dimmi cosa vuoi da mangiare”, Costas tronca la conversazione.
Nel 1960 Cipro dichiara la propria indipendenza. Per quattordici anni greci e turco ciprioti hanno condiviso l’isola unita. L’accordo raggiunto tra Grecia e Turchia, con Regno Unito garante, sull’autonomia e il divieto di annessione del neo-stato, firmato a Zurigo e a Londra, regge fino al 1974. In quell’anno la Eoka B, movimento nazionalista greco-cipriota, supportato dalla giunta dei colonnelli di Atene organizza un colpo di stato. Il presidente della Repubblica, l’arcivescovo Makarios, riesce a fuggire, trovando riparo nelle basi inglesi, mentre la Turchia interviene militarmente per proteggere la minoranza turco-cipriota. L’isola si troverà così divisa in due parti, Cipro Sud, riconosciuta dalla comunità internazionale, e Cipro Nord, isolata e appoggiata solo dal governo turco. A separare le due entità c’è ancora oggi la cosiddetta ‘linea verde’, presidiata dalla United Nations peacekeeping Force in Cyprus.
Il referendum del 2004 sulla roadmap di Annan
La storia recente racconta di trattative politiche e vertici internazionali. Nel 2003 si aprono per la prima volta i cancelli che separavano l’isola. I cittadini delle due parti possono così entrare nell’altro Paese per la prima volta dopo la fine della guerra. Nel 2004 fallisce la roadmap per la riunificazione proposta dall’allora segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan. In un referendum popolare i turco-ciprioti hanno votato a favore, mentre la stragrande maggioranza dei greco-ciprioti si è espressa contro, bloccando l’iniziativa. Nel 2014 il negoziato per la riunificazione sembra animato da una forza nuova. Le due parti si incontrano numerose volte. Fino al 2017, anno del fallimento dei colloqui in Svizzera, si assaggia la possibilità di tornare a formare un’unica entità. Oggi la situazione è la stessa: un muro continua a dividere Nicosia, una linea divide il Paese.
Ma c’è chi all’ombra di questo muro con perseveranza e volontà continua a combattere per la riconciliazione. “In realtà la società civile non è ancora pronta per la riunificazione”, Maria Hadjipavlou, oltre che attivista, è anche la segretaria, e tra i fondatori, del Cyprus academic dialougue (Cad), “manca ancora il substrato su cui creare un’entità statale condivisa. Per esempio, i libri scolastici sono ancora portatori di una visione di parte della nostra storia”. Il Cad è un organizzazione di accademici, di entrambi i lati, che si sono uniti per creare una coscienza condivisa dell’isola. “Andiamo spesso a fare lezioni dall’altra parte del confine, così come professori e ricercatori turco ciprioti vengono da questo lato”, continua la fondatrice del Cyprus Academic Dialougue, “lo facciamo in primis per esorcizzare la paura del diverso e quindi dare una faccia al nemico”.
Anche Maria è stata una rifugiata, così come oltre il 50 per cento dei greci ciprioti che vivono a Nicosia. “Ma il nostro lavoro non si limita a sensibilizzare. Attraverso la nostra presenza e il dialogo continuiamo a spingere per la riunificazione, pressando la politica ad affrontarla in maniera costruttiva”, conclude l’accademica.
L’unione parte dell’educazione dei giovani ciprioti
Superato il Paphos gate, in mezzo alla green line gestita dalle forze di interposizione Onu, c’è la Home for cooperation. L’associazione è l’incarnazione della cooperazione intercomunale e contribuisce agli sforzi della società civile per la costruzione della pace e il dialogo interculturale. “I nostri programmi hanno come obiettivo quello di avvicinare le parti, creando piano piano quella base su cui costruire in futuro una riunificazione solida”, Loizos Loukaidis si occupa dei progetti educativi dell’associazione, “lavoriamo sia con i bambini turco ciprioti che con quelli greco ciprioti”. La sede della Home for Cooperation è simbolica: “Abbiamo scelto questo luogo perché è a metà strada e tutti possono arrivarci senza dover travalicare entrambi i confini”. La casa dell’associazione ospita anche numerosi programmi artistici e culturali con l’obiettivo di promuovere la fiducia tra le parti. “Non parliamo direttamente della questione cipriota, con chi frequenta questa casa preferiamo affrontare temi generali che vanno dalla discriminazione di genere all’inquinamento”, ancora Loukaidis che conclude, “in questo modo le parti si avvicinano trovando nei temi comuni un terreno su cui lavorare”.
Ma come ha ricordato Hadjipavlou, sfiducia, rabbia e stereotipi continuano a dominare il discorso politico, e non solo, da una parte e dell’altra. “Per me è stato relativamente facile, la mia famiglia viveva nella parte turca, e nonostante ciò che è successo, c’è sempre stato un buon ricordo dei nostri vicini”, le parole di Andromachi Sophocleous, 30 anni e attivista per Unite Cyprus Now, una delle associazione più sensibili sul tema della riunificazione.
“La situazione è complicata e lenta, per anni abbiamo combattuto e investito energie per la riunificazione”, continua l’attivista, “quando nel 2017 i colloqui in Svizzera sono falliti abbiamo subito un duro colpo nel morale, ma siamo andati avanti, dovevamo andare avanti”. Unite Cyprus Now ha scelto la via dei social network. Attraverso Facebook e Twitter, l’organizzazione continua a lavorare e a mettere pressione ai politici di entrambe le parti per proseguire nel dialogo. “Adesso è importante continuare a spingere per la creazione di una società comune”, ancora Andromachi, “Credo che invece da parte della politica ci sia la volontà di cristallizzare questa situazione”.
La vera sfida è far crollare il muro mentale
“Non accetto e non accetterò mai che nessuno mi dica che questa isola non mi appartiene. Le divisioni esistono solo nel momento in cui le accetti”, conclude Andromachi. L’ombra del muro a Nicosia continua ad essere inquietante. Nonostante la sua mole non sia considerevole, la barriera blocca ogni strada e viale che sale a Nord, dividendo prima di tutto mentalmente la città. E se a Paphos, Larnaca, Aya Napa e Limassol non si sente minimamente di vivere nell’ultimo Paese europeo con una capitale divisa, a Nicosia non solo è palese, ma fa ormai parte della routine dei propri abitanti. Andromachi, Maria, Loizos e tutte le persone di questa isola lo hanno capito e stanno combattendo proprio questo, abbattere il muro mentale.
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