I Verdi europei lanciano una mobilitazione contro gli investimenti in carbone, petrolio e gas naturale. In Italia, i riflettori sono tutti su Eni.
Il caso della tangente Eni spiegato da Report
Il programma d’inchiesta Report ha approfondito il caso della presunta tangente Eni in Nigeria, considerato il più grande scandalo dell’industria petrolifera.
Dicono che sia la tangente più grande del mondo. Parliamo di quella con cui il colosso petrolifero italiano Eni avrebbe acquisito la piattaforma nigeriana Opl 245 e sulla quale si è concentrata la trasmissione televisiva Report andata in onda il 10 aprile su Rai3. Sulla presunta tangente, che coinvolge Eni e diversi politici nonché affaristi, sta indagando la procura di Milano con l’accusa di “concorso in corruzione internazionale”. La stessa procura ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex top manager Eni, Paolo Scaroni, per quello attuale Claudio Descalzi e per il faccendiere Luigi Bisignani.
La procura ipotizza che dietro l’appropriazione della piattaforma petrolifera – il cui valore d’acquisto è stato fissato a 1,1 miliardi di dollari, gonfiando il valore originale – vi siano degli interessi occulti rappresentati in Nigeria da Emeka Obi, mediatore dietro cui si nasconderebbe l’ex ministro del petrolio nigeriano Dan Etete, e dalle compagnie petrolifere Eni e Shell. Intorno a questo losco giro d’affari ruotano il mediatore russo Agaev, due ex agenti segreti inglesi e il viceconsole italiano a Port Hancourt, Gianfranco Falcioni, il quale avrebbe messo a disposizione il suo conto per far transitare la presunta tangente. Oltre ai faccendieri Luigi Bisignani e Gianluca Di Nardo.
Nessuna trattativa, Eni? Da questa intercettazione tra Descalzi e Bisignani non parrebbe #Report #unaereoperilpresidente pic.twitter.com/RRM5vXSfJN
— Report (@reportrai3) 10 aprile 2017
La rete degli intermediari
Come ricorda il servizio del giornalista di Report, Luca Chianca, Eni era già stata coinvolta nello scandalo petrolifero – sempre in Nigeria – Bonny Island. In quell’occasione la compagnia italiana ha versato 350 milioni di dollari agli Stati Uniti per uscire dal procedimento ed evitare la condanna. L’avvocato che ha difeso Eni in quell’occasione ero lo svizzero Granier-Deferre che, secondo il programma, ha aiutato anche questa volta la compagnia petrolifera a inserirsi nell’affare del blocco Opl 245, affare sul quale aveva già messo le mani Shell ma che a causa di un contenzioso non si era ancora impossessata del giacimento. Per farsi inserire in questa vicenda entra in gioco un intermediario, il russo Agaev.
In meno di due ore dall’intervista siamo passati dal parlare dei servizi segreti nigeriani ad essere arrestati da quelli congolesi. #Report pic.twitter.com/wyNXUd78o1
— Report (@reportrai3) 10 aprile 2017
Obi e Agaev diventano così gli intermediari dell’affare e si incontrano diverse volte con l’avvocato svizzero. Durante una perquisizione in casa dell’avvocato vengono ritrovati dei documenti che sembrano individuare nelle due compagnie Eni e Shell i destinatari di una grossa cifra. Recentemente l’organizzazione Global Witness, assieme a Finance Uncovered, due enti anche coinvolti da Report, hanno messo le mani su alcune email interne al gruppo Shell, saltate fuori subito dopo la perquisizione: tali comunicazioni mostrerebbero come il gruppo petrolifero olandese conoscesse la reale destinazione dei soldi, ovvero le tasche dell’ex ministro del petrolio Dan Etete. Global Witness ha indagato per sei anni su questa responsabilità di Shell che ha sempre negato qualsiasi cattivo operato, spiegando di aver pagato solo il governo nigeriano. La stessa spiegazione fornita da Eni.
“Si tratta di uno dei peggiori scandali di corruzione che l’industria petrolifera abbia mai visto” spiega il Global Witness. “Le prove raccolte dimostrano che il senior executive della quinta società di petrolio del mondo ha consapevolmente stipulato un accordo corrotto che ha privato il popolo nigeriano di 1 miliardo di dollari, più di tutto il bilancio sanitario del paese per il 2016”. Inoltre dalle mail emerge il motivo per cui Eni fosse interessata a quel giacimento petrolifero: tutto partirebbe da una richiesta fatta direttamente da l’ex premier Silvio Berlusconi dopo un accordo con il governo russo. Questo spiegherebbe, secondo Chianca di Report, la presenza del mediatore russo Agaev reputato vicino al presidente russo Vladimir Putin. In più, secondo i due agenti dei servizi segreti inglesi coinvolti nella trattativa, Putin temeva un inserimento dei cinesi e avrebbe preferito coinvolgere gli italiani. Anche perché le più grandi transazioni di Eni e Russia portano la firma di Paolo Scaroni sotto la gestione del governo Berlusconi.
Il ruolo di Bisignani
Anche il faccendiere Luigi Bisignani si propone come mediatore nel caso nigeriano, offrendosi di mettere in contatto Eni con una banca d’affari. Bisignani a sua volta coinvolge un mediatore, Gianluca Di Nardo, affarista italiano che vive in Svizzera. Ma qualcosa va storto: Bisignani e Di Nardo – intercettati – temono che Eni voglia concludere l’affare direttamente con il governo nigeriano, scavalcando la rete di intermediari. Lo stesso timore è condiviso da Obi, il rappresentante di Dan Etete. Ma Obi non attende spiegazioni: fa causa all’ex ministro nigeriano chiedendo 200 milioni di dollari come compenso per il lavoro svolto in un anno di trattative. Un giudice del tribunale di Londra, presso il quale è stata depositata la causa, dà ragione a Obi riconoscendogli il risarcimento di 110 milioni di dollari. La Procura di Milano congela quei soldi, non prima che Obi riesca a versarne 21 a Di Nardo, per la collaborazione.
Intanto però il cammino della tangente non si ferma. Il miliardo sarebbe dovuto transitare prima su un conto svizzero intestato al viceconsole Falcioni. Ma la banca svizzera rifiuta di far transitare una cifra così grande, etichettando la faccenda come non chiara. Così Falcioni si rivolge a un conto in Libano ma anche questo rifiuta. La cifra torna così in carico a Londra, da dov’era partita, dalla JP Morgan. Jack Blum, avvocato esperto in antiriciclaggio ha raccontato a Report che “alla fine i soldi sono forse sono stati pagati al governo, ma poi sono finiti a una società che è stata il mezzo per distribuire i soldi tra tutti gli interessati“. E così più della metà della tangente si è volatilizzata in contanti, riciclandosi in acquisti (come per esempio tre auto di lusso) o finendo a società fittizie. Una di queste è stata ricondotta all’italiana Gitto Costruzioni che fa affari in Nigeria. Infine una parte di questi soldi sono tornati a Paolo Scaroni.
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