L’emendamento “No ponte” voluto dalla Lega per il ddl sicurezza è stato approvato dalla Camera. Una decisione che rischia di avere conseguenze anche su altri fronti.
Che alcuni tipi di manifestazioni fossero nel mirino della stretta securitaria si era capito da tempo. Da Ultima generazione al movimento “No Tav”, passando per le proteste pro Palestina, l’attenzione dei vertici della politica per il dissenso di piazza si è concentrata progressivamente.
Dopo mesi di repressione delle manifestazioni, è arrivata la notizia dell’approvazione da parte delle Commissioni giustizia e affari internazionali di un emendamento prontamente ribattezzato “No ponte” all’interno del ddl sicurezzaattualmente all’esame delle Commissioni, e che dovrebbe arrivare in aula alla Camera nei primi giorni di agosto. L’emendamento in questione, voluto dal leghista Igor Iezzi, prevede un’aggravante che inasprisce le pene per chi manifesta contro le grandi opere.
Il ponte sullo stretto di Messina, ad esempio, rappresenta più una continuità politica e una volontà di erigere un lascito infrastrutturale, piuttosto che un reale supporto alla Sicilia che, ricordiamo, versa in uno stato piuttosto precario, con razionamenti idrici e problemi nella rete interna dei trasporti. Una cementificazione come quella ipotizzabile per il ponte intaccherebbe in maniera drastica la salute dell’ecosistema dello stretto e comporterebbe un dispendio economico ed energetico, a partire proprio dallo spreco idrico, che il movimento “No ponte” denuncia e vorrebbe fermare.
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L’aggravante proposta inizialmente era effettivamente più alta di quella che poi è passata, un incremento di ben due terzi della pena: nel corso della discussione si è poi deciso di aumentare la pena “solamente” di un terzo, con possibilità di mitigazione dovuta a circostanze attenuanti. Dopo vent’anni di proteste contro il ponte sullo Stretto arriva la cornice legale mirata a ridurle, disincentivando la partecipazione e stabilendo entro che limiti è concesso manifestare. L’emendamento “No ponte”, oltretutto, rischia di avere uno strascico ben più grande ed articolato. Si parla infatti di “infrastrutture strategiche”, una definizione potenzialmente abbastanza lasca da permettere di inserirvi diverse tipologie di costruzioni, tra cui, anche, quelle militari. Il Ddl, includendo questo emendamento potrebbe non solo prendere di mira il movimento “No ponte” e “No Tav”, ma anche il movimento “No Base” e tutti i gruppi contrari all’erezione di nuove basi militari. Una prospettiva che si inserisce in un panorama già complesso in cui diversi strumenti di giustizia stanno venendo adattati per incrementare le pene inflitte agli attivisti ambientalisti, come nel caso dei dispositivi anti mafia e anti terrorismo.
Il rischio delle nuove misure di sicurezza
Il rischio sostanziale è che, oltre a rendere difficile per chi manifesta farlo in sicurezza e libertà, si riducano i volumi della partecipazione. Un pericolo denunciato dallo stesso movimento No Ponte.
L’obiettivo del governo è questo: intimidire non tanto noi militanti ma la grande massa. E questo è ancora più grave perché è evidente che così si vuole negare alle persone di partecipare alla vita pubblica relegata così alle sole elezioni. Il rischio è che i tantissimi cittadini che partecipano alle nostre manifestazioni possano sentirsi intimoriti. Dovremo tenerne conto, proteggerli. Dovremo aprire una battaglia politica che punti a riaprire gli spazi di agibilità che il governo intende chiudere.
Movimento “No ponte”
Il Ddl sicurezza rappresenta in sé una forma di irrigidimento legislativo e su più livelli, come specifica l’avvocato Ricciuti: “Per l’ennesima volta, la risposta di questa maggioranza è l’inasprimento indiscriminato delle pene per reati comuni, che non destano particolare allarme sociale. Ricordiamo che le patrie galere non sono in grado di garantire dignità e prospettive di reale rieducazione e reinserimento sociale, non a caso i suicidi tra i detenuti sono in aumento. Sarebbe un buon momento per sperimentare soluzioni alternative, anziché puntare sull’aumento dei casi di reclusione. Ancora più grave che questo intervento normativo non resta isolato ma si inserisce all’interno di un disegno più complesso, che partendo dalla repressione dei rave, passando dagli “ecovandali” e arrivando ai no-ponte, mira a anestetizzare ogni forma di dissenso. Una tendenza securitaria che si mostra cinicamente a discapito dei più deboli, come le borseggiatrici che potranno finire dietro le sbarre anche se incinte o con figli minori di un anno, con buona pace della tutela della famiglia e dei minori, che viene spacciata come elemento cardine delle politiche della destra. La chiamano democrazia, eppure a ben vedere pian piano si vanno a erodere diritti basilari, che ritenevamo garantiti, tanto da poter finire in galera per aver preso parte a una protesta contro un’opera pubblica.”
La riduzione dello spazio di esercizio del diritto di protesta denuncia un tentativo di procedere, da parte del governo, con opere e proposte anche quando in pieno contrasto con la volontà popolare, negando quindi le istanze territoriali specifiche e le necessità di chi quei luoghi li vive e li attraversa.
Per tutta risposta il movimento No Ponte ha rilanciato la manifestazione del 10 agosto in Piazza Cairoli a Messina.
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