La docente di economia Claudia Goldin, è stata insignita del premio Nobel per l’Economia 2023 “per aver fatto progredire la nostra comprensione dei risultati del mercato del lavoro femminile”.
Con Bill Nordhaus, gli studi sul clima vincono il Nobel per l’Economia
Il Nobel per l’Economia conferito a William Nordhaus riguarda un tema che ci coinvolge tutti: quello dei cambiamenti climatici.
Dopo l’economia comportamentale di Richard H. Thaler nel 2017, il premio Nobel per l’Economia 2018 è stato assegnato a due studiosi, William D. Nordhaus e Paul M. Romer, che si sono dedicati rispettivamente “all’integrazione dei cambiamenti climatici e delle innovazioni tecnologiche nell’analisi macroeconomica a lungo termine”.
Dall’esterno, i non addetti ai lavori potranno immaginare che teorie così complesse siano inevitabilmente lontane dalla nostra vita quotidiana. La realtà, però, è molto diversa. Mai come stavolta, infatti, l’Accademia di Svezia ha voluto mettere in luce chi lavora duramente per dare spessore scientifico a questioni decisive per lo sviluppo delle nostre società. Prima fra tutte, quella del clima.
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William D. Nordhaus e i legami tra clima ed economia
William D. Nordhaus (detto Bill), professore all’università di Yale, ora ha 77 anni ed è stato uno dei primi economisti in assoluto a occuparsi di temi ambientali. Negli anni Novanta ha creato il primo modello quantitativo che descrive le interazioni reciproche tra economia e clima, quantificando i costi economici dell’azione e, viceversa, dell’inerzia.
Da questa prima versione, progressivamente arricchita e perfezionata, è nato il modello Dice. Quest’ultimo – fa notare lavoce.info – è completamente open source: ciò significa che le equazioni, i codici, la calibrazione e tutti gli altri elementi sono pubblicati in Rete, a uso di tutti i ricercatori che li vogliono studiare, applicare e migliorare.
Nordhaus è un convinto fautore delle politiche pubbliche per la lotta ai cambiamenti climatici. In primis la carbon tax, cioè l’associazione di un prezzo alle emissioni di CO2.
Yay! Paul has done great work, but I’m especially pleased to see Bill get this hugely deserved honor — because he was my original economics mentor 1/ https://t.co/FGBF6NtpqU
— Paul Krugman (@paulkrugman) 8 ottobre 2018
Il Nobel per l’Economia a un sostenitore della carbon tax
Proprio la carbon tax è il punto d’incontro tra Bill Nordhaus e le Nazioni Unite.
Per una significativa coincidenza, infatti, questo premio Nobel per l’Economia è stato assegnato proprio lo stesso giorno della pubblicazione dell’allarmante Special report 15 (Sr15) con cui il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc) lancia un monito forte e chiaro: se continueremo così, già nel 2030 la temperatura media globale potrebbe superare di 1,5 gradi i livelli pre-industriali. Con conseguenze drammatiche per il Pianeta.
Questo report conferma ciò che lo stimato economista sostiene da decenni, cioè che stabilire un prezzo per le emissioni di gas serra è un passo imprescindibile per tentare di tenere sotto controllo i cambiamenti climatici. Il monitoraggio della Banca mondiale censisce una cinquantina di iniziative di questo tipo, adottate da 45 giurisdizioni. Concretamente, i meccanismi sono molto vari: si passa dalle tasse dirette sui combustibili fossili ai mercati delle emissioni di tipo “cap and trade”. Questi ultimi assegnano a ogni soggetto (Stato o azienda) una certa quota di emissioni di gas serra, dando la facoltà di vendere i carbon credits inutilizzati e acquistarne se ne servono di più.
Secondo il New York Times, però, tutti questi esperimenti si sono rivelati solo parzialmente efficaci. Perché, per incentivare un calo tangibile delle emissioni, bisognerebbe fissare un prezzo per le emissioni piuttosto alto. Scelta che va incontro a grosse criticità di tipo politico.
Basta dire che, secondo l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), la carbon tax delle 42 maggiori economie si attesta su una media di 8 dollari per tonnellata di CO2. Le Nazioni Unite ritengono che sia necessario arrivare, entro il 2030, a una cifra compresa fra i 135 e i 5.500 dollari per tonnellata. Altrimenti, sarà impossibile contenere l’aumento delle temperature medie globali entro 1,5 gradi centigradi rispetto all’era pre-industriale.
“Dobbiamo ricordarci quanto è alta la posta in gioco”
Nella conferenza stampa tenuta dopo l’annuncio del Nobel, Nordhaus ha auspicato che questo premio sia uno sprone per tutti coloro che dovranno lavorare per contrastare i danni dei cambiamenti climatici. “È sempre utile che enti come la commissione del Nobel ci ricordino quanto è alta la posta in gioco”, ha dichiarato.
Nordhaus, ricorda Bloomberg, ha più volte richiamato l’attenzione su quanto sia difficile raggiungere gli obiettivi sanciti dall’Accordo di Parigi. Proprio per questo, a suo parere, deve entrare in gioco il mercato, in due modi: “Alzare i prezzi dei beni e servizi ad alta intensità di carbonio o, viceversa, abbassare i prezzi di quelli che comportano minori emissioni”.
A chi gli ha chiesto un commento sulle politiche ambientali di Donald Trump, ha risposto definendo come “davvero anomalo questo grado di ostilità degli Stati Uniti verso le politiche ambientali”. “Tutto ciò che posso fare – ha continuato – è sperare che riusciremo a superare questa fase senza troppi danni”.
What did Bill Nordhaus do after learning he won the Nobel? Went to class to teach intermediate macro. https://t.co/QZV2yt86mj pic.twitter.com/hzNII95PBp
— Justin Wolfers (@JustinWolfers) 9 ottobre 2018
Paul M. Romer e l’innovazione tecnologica
Insieme a Nordhaus, è stato insignito con il Nobel anche Paul M. Romer, professore alla New York University e capo economista della Banca mondiale fino a gennaio, quando ha dato le dimissioni in aperta polemica con l’istituto.
La sua attività di ricerca si focalizza sull’innovazione tecnologica. Fino agli anni Novanta, spiega lavoce.info, i progressi in termini di tecnologia e produttività erano ritenuti come esogeni, cioè estranei al funzionamento ordinario del sistema economico. Romer ha contribuito a rovesciare questa concezione, elaborando (e, cosa ancora più importante, formalizzando) la cosiddetta teoria della crescita endogena.
Il suo articolo Endogenous Technological Change pubblicato nel 1990 parte da un presupposto. I beni privati sono rivali nel consumo: un pezzo di pane, per esempio, può essere mangiato soltanto da una persona, che così facendo lo “toglie” a un’altra. Una ricetta invece è un’idea, e in quanto tale può essere riutilizzata innumerevoli volte e da tutti, dando vita a nuovi output in quantità più che proporzionale. È per questo motivo che il progresso tecnologico nel lungo periodo aumenta la produttività e, quindi, la ricchezza e la prosperità.
Se vengono abbandonate a loro stesse, però, persone e aziende non producono un numero sufficiente di nuove idee, perché non c’è nessuno a retribuirle per i benefici che generano per la società nel suo insieme. Ecco perché, secondo Romer, i governi dovrebbero incoraggiare l’innovazione in diversi modi, come gli investimenti pubblici nella ricerca e il sistema dei brevetti.
Un’economia che ci coinvolge in prima persona
L’editoriale con cui Bloomberg commenta questa scelta ha un titolo eloquente: “Questo Nobel premia il giusto tipo di economia”. Il senso della scienza economica, argomenta la testata americana, può infatti essere riassunto in una semplice domanda: “Quali elementi fanno vivere meglio le persone e come possiamo incrementarli?”. I due neo-premi Nobel non solo hanno cercato di trovare una risposta, ma hanno anche spiegato come metterla in pratica.
Nordhaus e Romer, in modi diversi, hanno preso posizione anche su un tema molto dibattuto: lo Stato deve intervenire nelle dinamiche dell’economia? Entrambi si sono allontanati dall’idea che il mercato possa auto-regolarsi in tutto e per tutto, sottolineando l’importanza di ricevere un indirizzo corretto dalle politiche pubbliche.
Secondo Bloomberg, negli ultimi anni l’accademia è stata pressoché monopolizzata da studi di stampo completamente diverso, cioè modelli assolutamente perfetti dal punto di vista scientifico, ma slegati da ciò che succede realmente nella nostra società. Ne è una prova il fatto che nessuno sia stato in grado di prevedere la crisi globale scoppiata dieci anni fa. Questo premio Nobel per l’Economia 2018, conclude l’editoriale, ci ricorda qual è la missione dell’economia: studiare le evidenze, usarle per costruire teorie verificabili sul funzionamento del mondo e, così facendo, fornire indicazioni per le politiche reali. E, se queste teorie non coincidono con i fatti, avere il coraggio di modificarle.
Foto in apertura © Eduardo Munoz Alvarez/Getty Images
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