La Norvegia ferma (per ora) il controverso piano per le estrazioni minerarie nei fondali marini

Per motivi politici, il governo della Norvegia rinvia l’assegnazione delle licenze per le estrazioni minerarie nei fondali marini.

  • La Norvegia aveva intenzione di assegnare le prime licenze per le estrazioni minerarie nei fondali marini a inizio 2025.
  • Il governo ha però dovuto fermare momentaneamente il progetto per assicurarsi l’appoggio dell’opposizione per la legge di bilancio.
  • L’impatto sugli ecosistemi del deep sea mining è ancora in gran parte sconosciuto e dunque preoccupa gli scienziati.

Il governo della Norvegia blocca, almeno per il momento, il progetto di destinare un’area di 280mila chilometri quadrati delle proprie acque territoriali alle società interessate alle estrazioni minerarie nei fondali marini (deep sea mining). La decisione è stata annunciata il 1° dicembre. Le organizzazioni ambientaliste cantano vittoria, ma il primo ministro Jonas Gahr Støre ci tiene a precisare che si tratta solo di uno stop temporaneo.

Gli interrogativi sulle estrazioni minerarie nei fondali marini

I fondali che fanno parte delle acque territoriali della Norvegia, tra l’Islanda, la Groenlandia e le isole Svalbard, sono molto ricchi di rame, zinco, cobalto e altri minerali fondamentali soprattutto per le tecnologie digitali (a partire dagli smartphone) e per quelle associate alla transizione ecologica, per esempio le batterie. Lo conferma un’indagine preliminare commissionata dal governo di Oslo. Materie prime che possono essere estratte anche a terra ma, in tal caso, innescano una dipendenza da un ristretto numero di paesi esteri.

Le estrazioni minerarie dai fondali marini, però, espongono gli ecosistemi a rischi che sono ancora in gran parte sconosciuti. I ricercatori di Oxford, a seguito di una revisione sistematica degli studi condotti sul tema, parlano di “lacune scioccanti nella conoscenza di base della vita in acque profonde. Negli ultimi tre decenni sono stati pubblicati appena 77 studi sul patrimonio genetico degli invertebrati (che rappresentano la maggioranza della vita in questi ambienti): di questi 77, la maggioranza si focalizzava su specie di interesse commerciale che vivono entro i mille metri di profondità. Da qui l’appello con cui oltre novecento scienziati chiedono di abbandonare il deep sea mining, per scongiurare conseguenze irreversibili.

Perché la Norvegia ha bloccato il piano per il deep sea mining

La tabella di marcia del governo norvegese prevedeva di assegnare le prime licenze per le esplorazioni dei fondali nella prima metà del 2025. Ma per ora è tutto sospeso. Le motivazioni sono puramente politiche: il Partito socialista di sinistra, formazione di opposizione, ha posto questo stop come condizione per dare il suo appoggio alla legge di bilancio per il prossimo anno. I suoi 16 parlamentari sarebbero stati decisivi, perché quello guidato da Støre è un governo di minoranza: è nato infatti dall’accordo tra il Partito laburista e il Partito di centro che, insieme, detengono appena 76 seggi sui 169 del parlamento monocamerale.

“Questa è una vittoria cruciale nella lotta contro le estrazioni minerarie nei fondali marini. Dovrebbe scrivere la parola fine su questa industria distruttiva”, ha dichiarato a Reuters Frode Pleym, numero uno di Greenpeace Norvegia. Il primo ministro fa invece sapere che i lavori preparatori continuano, in particolare per predisporre le norme specifiche e valutare l’impatto ambientale degli interventi. Prima di questo stop, tre startup locali si erano già dette interessate. La vera partita si giocherà alle prossime elezioni parlamentari, previste a settembre 2025. I due partiti per ora in testa nei sondaggi, i Conservatori e il Partito del progresso, si sono detti entrambi a favore delle estrazioni minerarie nei fondali marini. Ma Greenpeace promette battaglia.

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