La Norvegia vuole estrarre minerali utili per la transizione ecologica basata sulle rinnovabili. Ma le preoccupazioni per i costi ambientali sono forti.
Nella giornata di martedì 9 gennaio, il parlamento della Norvegia ha ratificato la proposta del governo per concedere licenze al fine di effettuare attività di esplorazione mineraria in una vasta estensione dei fondali marini posizionata di fronte alle sue coste. Il piano, presentato nel mese di giugno dall’amministrazione guidata dal politico laburista Jonas Gahr Støre, coinvolge un’area di circa 280mila chilometri quadrati che si estende tra l’Islanda, la Groenlandia e le isole Svalbard, la quale sarà frammentata in porzioni più piccole, seguendo il modello delle licenze impiegate per la ricerca di giacimenti di idrocarburi.
🇳🇴 Protests have taken place in Norway following the government's decision to open up an area of the Norwegian Sea nearly as big as Italy to deep-sea mining exploration. pic.twitter.com/eMPNSfX68J
Materiali per le rinnovabili dai fondali, ma a quale costo ambientale?
Un’indagine preliminare commissionata dal governo ha identificato in quest’area una rilevante presenza di rame, zinco e altri minerali essenziali per le tecnologie associate alle energie rinnovabili, tra cui magnesio, niobio, cobalto e terre rare. Nonostante questi elementi siano reperibili anche sulla terraferma, risultano concentrati in un numero limitato di nazioni. La necessità di superare la dipendenza dalle importazioni estere è considerata fondamentale per il successo della transizione energetica europea.
Tuttavia, l’estrazione mineraria nei fondali marini presenta notevoli rischi per gli ecosistemi. La maggior parte dei minerali individuati nell’area è situata in prossimità dei camini idrotermali che si trovano lungo la dorsale medioatlantica, un luogo dove l’acqua entra in contatto con il magma e viene rilasciata a temperature estremamente elevate. Queste formazioni, ancora poco esplorate, fungono da habitat per una varietà di organismi unici, assenti in qualsiasi altro ambiente. Nonostante le rassicurazioni del governo in merito alla concessione solo delle zone circostanti ai camini inattivi, gli attivisti delle ong denunciano il pericolo di danneggiare forme di vita ancora sconosciute.
Si attende una regolamentazione internazionale delle attività minerarie in mare
A causa di tali preoccupazioni, il parlamento europeo e diverse nazioni hanno sottolineato la necessità di una moratoria internazionale sull’estrazione mineraria dei fondali, con alcuni paesi che hanno imposto il divieto di tale pratica. Nel mese di luglio, l’assemblea dell’Autorità Internazionale per i Fondali Marini non è riuscita ad approvare un piano per la regolamentazione delle attività minerarie nelle acque internazionali, posticipando la decisione al prossimo incontro previsto quest’anno. Il progetto norvegese potrebbe procedere anche senza un accordo, poiché coinvolge la zona economica esclusiva della Norvegia.
#ICYMI: Earlier this week, Norway decided to move forward with deep sea mining in the Arctic We will not stop fighting to ensure this can not happen. https://t.co/k1WmfhzdDY
Insomma, l’aspirazione della Norvegia a essere il primo paese a sfruttare commercialmente le risorse dei fondali non vedrà presto la luce. Le tecnologie per l’estrazione e il recupero dei minerali sono ancora in fase di studio, e ci vorranno anni prima che i costi scendano a livelli tali da consentirne l’implementazione su scala industriale.
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