Le isole Svalbard, nel mar Glaciale Artico, ospitano gli ultimi insediamenti abitati prima del Polo Nord. Il loro è un ecosistema unico che per decenni si è cercato a tutti i costi di tutelare, istituendo ben ventinove aree naturali protette. Ma in questi ultimi mesi le minacce si moltiplicano. Da un lato i cambiamenti climatici che si manifestano in tutta la loro evidenza, facendo toccare lo scorso 28 luglio una temperatura di 21,7 gradi; un record storico, lontano anni luce rispetto alle massime di 5-8 gradi che caratterizzano la stagione. Dall’altro lato, come se non bastasse, a incombere sono anche le trivelle delle società petrolifere. Per le quali il governo norvegese ha appena manifestato il suo favore.
La Norvegia spiana la strada alle trivelle
Mercoledì 26 agosto, fa sapere il quotidiano Guardian, si è chiusa una consultazione pubblica sull’apertura di nove giacimenti nel territorio norvegese. Le società petrolifere hanno tempo fino al 2021 per chiedere il permesso di trivellare, che dovrebbe essere erogato a stretto giro.
Le aree dell’Artico coinvolte sono molto più a nord rispetto all’Arctic national wildlife refuge in Alaska in cui, solo qualche giorno prima, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva autorizzato le trivellazioni. Una decisione duramente discussa, che elimina con un colpo di spugna più di mezzo secolo di salvaguardia dell’ultima grande area selvaggia degli Stati Uniti.
Trump's admin is trying to destroy the Arctic with drilling — and it's now targeting on a region that is home to imperiled polar bears, caribou & migratory birds.
We need to ramp down carbon emissions — not worsen them, and kill species in the process.https://t.co/bJHUcU483o
Il governo guidato dalla conservatrice Erna Solberg cerca così di rispondere alla crisi del petrolio, che è stata ulteriormente esacerbata dalla pandemia di coronavirus. Pur essendosi impegnato ad azzerare le proprie emissioni di gas serra entro il 2030, infatti, il paese nordico produce ancora due milioni di barili al giorno. E non sembra intenzionato a svincolare la propria economia dai combustibili fossili. Lo testimonia il fatto che questi mesi procedano i lavori per l’immenso giacimento petrolifero Johan Sverdrup nel Mare del Nord, il più grande dell’Europa occidentale.
Una minaccia per l’ecosistema delle isole Svalbard
Il via libera a questi nuovi giacimenti ha subito attirato dure critiche da parte di studiosi e ambientalisti, che lo ritengono ben poco oculato su più fronti. Il primo è quello ambientale. In una lettera aperta inviata lunedì, il Wwf, la sezione locale di Friends of the Earth, Greenpeace e l’organizzazione giovanile Nature & Youth sottolineano come l’esecutivo norvegese abbia sistematicamente ignorato gli avvertimenti da parte del ministero dell’Ambiente, dell’Istituto per la ricerca polare e dell’Istituto per la ricerca marina. Gli otto round di concessioni erogati tra il 1965 e il 2019, infatti, comprendevano zone per cui i tecnici avevano espresso un parere negativo.
Le condizioni meteorologiche e ambientali delle zone più settentrionali del Pianeta, infatti, comportano un margine di rischio che molti esperti ritengono irragionevole. Tra loro c’è Ilan Kelman, professore presso la Ucl londinese e l’università di Agder. “Un sacco di cose possono andare per il verso sbagliato, e quando questo succede si possono verificare danni estesi e duraturi”, spiega al quotidiano britannico.
All’orizzonte, possibili tensioni con la Russia
Non è finita qui, perché le trivellazioni potrebbero anche innescare tensioni di carattere geopolitico. La giurisdizione internazionale sulle isole Svalbard è infatti regolata dall’omonimo trattato che è stato stilato nel 1920 e oggi conta le firme di 46 diversi paesi. L’accordo concede la sovranità allo stato della Norvegia, imponendo però alcune restrizioni. Innanzitutto l’arcipelago dev’essere demilitarizzato. Inoltre, tutti i firmatari sono autorizzati ad avviare attività commerciali nel territorio, un diritto che finora però è stato reclamato solo da Norvegia e Russia.
La Norvegia, si legge nel testo, “è libera di mantenere, adottare o decretare misure adeguate per assicurare la conservazione e – se necessario – il ripristino della flora e della fauna delle aree e delle loro acque territoriali”, purché tali misure non avvantaggino uno dei firmatari rispetto agli altri. Proprio questo punto potrebbe risultare critico. Ridisegnando le aree ammissibili per le trivellazioni petrolifere, sottolinea il quotidiano londinese, Oslo si avvicina sempre di più al limite considerato accettabile dalle altre nazioni. Esponendosi a potenziali tensioni soprattutto con la Russia, per cui l’area ricopre un interesse strategico. “Formalmente la Russia sostiene il trattato, ma l’ingresso della Norvegia in territori che finora erano rimasti intoccati potrebbe essere interpretato in senso aggressivo”, spiega al Guardian lo storico Helge Ryggvik.
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