Quale futuro per dad, la didattica a distanza, dopo oltre un anno di pandemia? Con Marco Vassallo, psicologo scolastico e relazionale, capiamo l’impatto su studenti e genitori.
Il nudging a scuola, quali sono i “bias” della giornata tipo di uno studente
Dieci problemi da superare a scuola e altrettanti modi per farlo. Perché la nuova normalità è una conquista che va fatta con responsabilità e gentilezza.
In questo 2020 così strano, segnato tanto dai cambiamenti climatici che hanno inaugurato l’anno in Australia con i terribili incendi che ne hanno devastato la superfice, quanto dalla pandemia da Covid-19 che ci sta accompagnando ancora in questi ultimi giorni del mese di dicembre, molto è cambiato delle nostre abitudini. In modo radicale, forzato. Del tutto inaspettato. Cambiamenti che hanno investito anche la scuola e i nostri studenti di ogni età, tra lezioni a distanza e nuove regole sociali da rispettare.
Abbiamo visto che la costruzione di un nuovo paradigma è al centro della behavioral economics. E del nudging, la spinta gentile a fare la cosa giusta. Anche e soprattutto in classe, specchio della società che abitiamo. Dopo aver esaminato cos’è il nudge e come può essere applicato alla scuola, iniziamo il nostro percorso per raccontarvi come funziona questa rivoluzione gentile. E lo facciamo seguendo la giornata tipo di uno studente, entrando anche noi – almeno virtualmente – nelle scuole e nelle case per esaminare le varie forme d’aiuto che si possono dare.
Chi è l’architetto delle scelte
Riorganizzare gli spazi in classe per mantenere il giusto distanziamento. Pensare la segnaletica di entrata e uscita dalla scuola. Favorire una corretta interazione sociale, che non lasci indietro nessuno, nemmeno nel virtuale. Ma soprattutto, far rispettare le regole e trovare il modo affinché queste misure contro la Covid-19 non siano imposizioni dall’alto, ma una serie di buone pratiche da osservare anche nella vita fuori dagli istituti scolastici. A tutela di noi stessi e dei nostri cari.
Progettare questo cambiamento comportamentale è tra i compiti dell’architetto delle scelte, una figura professionale nuova nell’ambito dell’economia comportamentale e più in generale delle scienze del comportamento. Figura che può essere fondamentale in questo periodo anche e soprattutto per le scuole di ogni ordine e grado, chiamate ad affrontare questa nuova sfida. Per questo motivo, il team di aBetterPlace e Nudge Italia ha messo a disposizione la propria guida sul nudging e l’economia comportamentale a scuola, dal titolo Una spinta gentile per far ripartire la scuola. Una vera e propria cassetta di strumenti con suggerimenti e buone idee da sperimentare in autonomia, ognuno nelle proprie classi di tutta Italia.
“La nostra missione è accompagnare la scuola in questo lungo viaggio che sta affrontando – spiega Francesco Pozzi, professore di Behavioral economics, direttore finanziario dell’Istituto europeo per lo studio del comportamento umano e co-founder di aBetterPlace – e per questo prevediamo magari altre versioni aggiornate di questo documento, con focus più verticali di volta in volta”.
Per il momento, sono dieci le barriere individuate e affrontate con altrettante soluzioni: la percezione del rischio, l’inclusione, il distanziamento, l’igienizzazione, l’informazione, il rispetto delle regole, la collaborazione con le famiglie, le paure e costrizioni, l’uso della bicicletta per andare a scuola e infine le nuove abitudini. “Abbiamo riformulato questi problemi in termini scientifici – anticipa il professore – provando ad analizzare i bias che ci sono di mezzo e cercando di dare anche qualche primo consiglio di azione”. Vediamoli calati nella giornata tipo di uno studente.
Lo studente tra casa e scuola
Se facciamo un calcolo delle ore di una giornata tipo di uno studente tipo, ci accorgiamo che la famiglia è uno dei posti dove bambini e ragazzi passano più tempo. Tempo che da marzo scorso, con l’inizio del lockdown e della didattica a distanza (dad), è aumentato ancora di più. Responsabilizzando in questo modo anche le famiglie rispetto a una corretta prevenzione dei propri figli.
“Questo cambiamento comporta uno sforzo in più per la scuola, che ha l’onere di riuscire a portare la sua azione educativa dentro la famiglia – spiega Pozzi – la scuola deve allungare le sue braccia ed arrivare ad abbracciare la famiglia, dialogando maggiorante con i genitori, dotandoli di strumenti educativi, di risorse, di idee, in modo che ci sia un’educazione coerente tra diverse famiglie e tra quella che c’è in classe. Non si deve trascurare l’educazione diffusa, quella che va fuori dalle mura scolastiche e che arriva ai genitori”.
Tra i suggerimenti pratici della guida, c’è quello di dotare le famiglie di una check-list riguardo alle procedure da seguire. Come, ad esempio, misurare la febbre oppure tenere sotto controllo l’eventuale comparsa di sintomi quali il mal di gola. “Non è necessario creare check-list infinite che comprendano tutto quello che verrà fatto a scuola – leggiamo nel documento – è importante invece focalizzarsi piuttosto su poche e fondamentali azioni che dovranno essere messe in pratica a casa e nel tragitto fino all’ingresso a scuola”.
Una collaborazione tra insegnanti e genitori ma anche tra genitori stessi, che possono informarsi reciprocamente con il passa parola creando così una serie di comportamenti virtuosi da seguire.
Lo studente online e offline
Lezioni in presenza ma con il distanziamento sociale. Lezioni virtuali senza distanziamento, perché ognuno dietro al proprio computer, da soli, la maggior parte delle volte seduti in cameretta. In ognuna di queste due situazioni, che abbiamo già vissuto e sperimentato, a rimetterci è in primo luogo l’inclusione dei nostri studenti. Con tutta una serie di problemi a corollario: “In questi mesi ci è sembrato di percepire che il distanziamento sociale e quindi la digitalizzazione, a scuola come in altri ambiti, abbia un po’ amplificato i problemi di discriminazione, di isolamento”.
Una situazione complessa che deve tenere conto anche dell’altro lato della medaglia: “Poi però ci sono arrivati altre testimonianze di persone che tramite il digitale hanno avuto maggiori occasioni di inclusione – prosegue il professore – come studenti che magari facevano fatica ad integrarsi nella routine scolastica, nel prendere parola, nell’esprimere la propria opinione, e che invece ora riescono a farlo in questo contesto più strutturato, facendo cadere alcune barriere legate proprio all’inclusione fisica”.
Un suggerimento per favorire dinamiche più inclusive, in presenza come nella dad, può essere la creazione di routine condivise “in grado di far sentire tutti parte di un gruppo e favorire, così, comportamenti cooperativi e di sostegno reciproco”, leggiamo nel documento. “Potrebbe anche essere l’occasione per far creare a ciascuna classe una propria forma di saluto interpersonale, importante per due motivi: garantire il distanziamento fisico e promuovere il senso di inclusione”.
“Si tratta di un tema difficile e molto delicato da gestire, anche in un contesto scolastico tradizionale – prosegue Pozzi – trasferire questo processo in videoconferenza è come un terremoto: se non si presidia con attenzione, questo cambiamento rischia di essere pericoloso. Perché chi già era debole e fragile, studenti come insegnanti, rischia di essere destabilizzato e perso di vista nel processo. E questo può essere un grande problema per chi è già ai margini”.
Previsioni future vs bias dello status quo
Durante quest’estate, la sfida più grande per la scuola era quella di riuscire a trovare un modo per riaprire in totale sicurezza. Adesso che sono passati un paio di mesi dall’inizio dell’anno scolastico, tutte le polemiche per i mancati preavvisi o per i banchi con le rotelle ci sembrano problemi talmente lontani da avere un’altra priorità ancora: quella di tenere aperte le scuole il più a lungo possibile. Con annesse polemiche diverse anche tra singoli territori.
Questa situazione descrive bene un altro dei bias più diffusi nella nostra vita: quello dello status quo. In gioco c’è la nostra tendenza a dare per scontato che tutto si mantenga così com’è. Cadiamo in continuazione in questo errore che, tra l’altro, “è continuamente sconfermato”, commenta il co-founder di aBetterPlace. “Anzi: questa stessa pandemia ne è la prova più grande”.
Cosa ci resta da fare, dunque, a scuola come nella vita di tutti i giorni? “Dobbiamo accettare il fatto che il cambiamento ci è costantemente richiesto, dobbiamo impegnarci a convivere in questa situazione creando nuove abitudini in maniera intelligente, facciamo appello alle richieste che abbiamo a disposizione”, conclude il professor Francesco Pozzi.
“Noi partiamo da questa idea un po’ pessimistica: meglio aspettarsi il peggio, che vuol dire che magari per ancora un anno o più avremo continuamento bisogno di cambiare e adattarci. La nostra previsione quindi è di massima flessibilità, e anche la scuola è chiamata a farlo”.
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