La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Omaui, piccolo villaggio costiero, sta elaborando una radicale strategia per proteggere la sua fauna endemica, vietando ai cittadini di possedere gatti.
Sono indubbiamente tra gli animali più adorabili e osservarne uno ci infonde ogni volta un senso di meraviglia, eppure i gatti rappresentano una seria minaccia per la fauna selvatica. Le straordinarie abilità venatorie di questi felini, unite al loro numero sempre più abbondante, sono infatti una delle cause del declino di piccoli animali autoctoni, come micromammiferi, uccelli e rettili, in molte aree del pianeta. Il problema è particolarmente grave in alcuni paesi dalla storia evolutiva unica, in cui i gatti sono stati introdotti in tempi relativamente recenti, come l’Australia e la Nuova Zelanda.
I gatti sarebbero responsabili dell’estinzione di ben 63 specie e minacciano la sopravvivenza di altre 430 in tutto il mondo. Nel 2015 il governo australiano ha varato un piano che prevede l’uccisione di due milioni di gatti rinselvatichiti entro il 2020. Per cercare di proteggere le proprie rare specie endemiche Oumaui, piccolo villaggio situato sulla costa meridionale della Nuova Zelanda, sta progettando di eliminare gradualmente la presenza dei felini domestici.
L’iniziativa, proposta dall’organizzazione governativa neozelandese Environment Southland, prevede innanzitutto che i proprietari di gatti residenti a Omaui sterilizzino, dotino di microchip e registrino i loro animali. Una volta che il gatto sarà morto non ne potranno adottare o acquistare un altro. “I gatti esistenti potranno continuare a vivere felicemente a Omaui come hanno sempre fatto – ha spiegato Ali Meade, uno dei responsabili del progetto – ma una volta deceduti non potranno più essere sostituiti”. Se i proprietari di gatti dovessero ignorare la direttiva riceverebbero innanzitutto un avviso, dopodiché, in caso di mancato adeguamento, i funzionari locali provvederebbero all’eliminazione dell’animale, ma solo come “ultima risorsa assoluta”, affermano i responsabili.
L’iniziativa fa parte del piano regionale di gestione dei parassiti proposto dal Consiglio regionale. “Non siamo nemici di gatti, ma vogliamo che il nostro ambiente sia ricco di fauna selvatica”, ha precisato John Collins, presidente dell’organizzazione conservazionista Omaui landcare charitable trust.
Se l’impatto dei gatti sulla fauna selvatica è più grave nelle isole (dove, ad esempio, gli uccelli tendono spesso a nidificare a terra), il fenomeno interessa comunque tutto il pianeta e i gatti sono stati inseriti tra le cento specie invasive non native più dannose al mondo. Peter Marra, ornitologo a capo dello Smithsonian migratory bird center e autore del libro Cat wars, specifica che la colpa non è dei gatti, naturalmente, ma degli umani i quali dovrebbero tenere in casa i propri animali, offrendo comunque loro un ambiente stimolante. “I gatti sono una specie domestica che non appartiene al mondo naturale. Non dovrebbero avere accesso alle specie native”. Il problema è che i gatti, oltre ad essere terribilmente carini, cosa che complica non poco l’opera di riduzione, sono difficili da censire. Si stima che negli Stati Uniti, ad esempio, ci siano circa 86 milioni di gatti che sarebbero responsabili della morte di quattro miliardi di uccelli e ventidue miliardi di mammiferi ogni anno, mentre nel Regno Unito questi piccoli felini ucciderebbero fino a 55 milioni di uccelli ogni anno. In Italia invece i gatti, secondo uno studio, rappresentano la principale causa di mortalità dei pipistrelli.
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