Obrador è il nuovo presidente del Messico. La sinistra per la prima volta al potere

Dopo una campagna dominata dalla questione-migranti, il Messico ha scelto Andrés Manuel Lopez Obrador. Una risposta alle politiche di Donald Trump.

Era il grande favorito e alla fine ha vinto con un ampio distacco. Andrés Manuel Lopez Obrador – noto con il soprannome di “Amlo”, derivato dalle sue iniziali – è arrivato in testa alle elezioni presidenziali che si sono tenute in Messico il 1 luglio 2018. Secondo le stime ufficiali ha raccolto tra il 53 e il 53,8 per cento dei consensi. Una vittoria netta che proietta, per la prima volta nella storia della nazione centro-americana, la sinistra al potere.

Obrador ha raccolto più del 53 per cento dei consensi

Dopo anni di attriti con gli Stati Uniti di Donald Trump, decisi a chiudere la frontiera, e mentre è ancora irrisolta la drammatica vicenda delle migliaia di bambini migranti strappati alle braccia dei loro genitori dalla polizia doganale americana, dunque, da Città del Messico è arrivata una risposta politica inequivocabile. Il candidato della destra, Ricardo Anaya, si è fermato infatti al 22 per cento, mentre quello del Partito rivoluzionario istituzionale, da moltissimo tempo al potere, ha raccolto appena il 16 per cento.

Già sindaco della capitale, Obrador ha promesso “profondi cambiamenti” per il suo paese, rispetto alle politiche del suo predecessore, Enrique Pena Nieto. Il nuovo presidente ha affermato, ad esempio, di voler avviare una lotta senza quartiere alla corruzione e “alla mafia oggi al potere”. “Sono una persona testarda – ha dichiarato durante la campagna elettorale – lo sanno tutti. Agirò in qualità di presidente con convinzione e perseveranza”. “Penso che sia un uomo la cui principale qualità è proprio la tenacia”, ha detto di lui il celebre storico e scrittore Paco Ignacio Taibo II.

La lotta alla corruzione e rapporti con gli Stati Uniti

Obranor è originario dello stato di Tabasco, è un grande tifoso di baseball ed è il leader del Movimento di rigenerazione nazionale. Nonostante la lunga carriera politica, si è presentato come candidato “anti-sistema”. Lanciando alcune proposte simboliche: vendere l’aereo di rappresentanza e trasformare la residenza presidenziale di Los Pinos in un centro culturale. Il che lo ha anche esposto alle critiche dei suoi detrattori che lo hanno tacciato di populismo e paragonato a Hugo Chavez, l’ex presidente del Venezuela.

obrador messico
Andrés Manuel Lopez Obrador durante la campagna elettorale © Pedro Mera/Getty Images

“Amlo” dovrà in ogni caso confrontarsi soprattutto con i problemi endemici del Messico, in particolare dal punto di vista dello sviluppo economico, e con la questione delle migrazioni. Due temi che a suo modo di vedere sono decisamente intrecciati tra di loro. In un articolo scritto di suo pugno per Le Monde Diplomatique, il Obranor ha esposto in questo senso chiaramente le sue idee.

“Gli americani vittime di un discorso demagogico”

“Il Messico – ha spiegato – non ‘invia’ nessuno negli Stati Uniti. A partire sono centinaia di migliaia di persone che lasciano il loro paese per tentare di trovare una vita migliore. Nella maggior parte dei casi, fuggono dalla violenza e da situazioni economiche catastrofiche”. Per questo secondo Obranor è necessario “convincere gli americani che sono in realtà vittime di un discorso demagogico con il quale si vuol far sì che dimentichino l’ampiezza della crisi economica. Della quale i messicani (e gli stranieri in generale) non sono responsabili. I problemi che incontrano i lavoratori statunitensi, dagli agricoltori ai dirigenti d’azienda, sono il risultato di scelte politiche sbagliate, di privilegi conservati da alcuni e di una distribuzione iniqua della ricchezza”.

Non è con la forza e con i muri che si risolvono i problemi socialiAndres Manuel Lopez Obrador

Quindi il messaggio a Donald Trump: “La Casa Bianca omette di ricordare che il contributo garantito dai messicani che vivono sul territorio americano al prodotto interno lordo degli Stati Uniti è pari all’8 per cento, secondo un calcolo della Fondazione Bancomer. E che tra di loro ci sono braccianti e operai, ma anche insegnanti, medici e imprenditori”. Inutile, dunque, chiudere le frontiere: “Non si risolvono i problemi sociali con la forza o alzando muri, ma migliorando le condizioni di vita della gente”.

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