L’occupazione delle università è l’occasione per cercare un confronto, aprire un dialogo e sperare in un ascolto da parte di chi ha in mano il futuro dei giovani.
La prima notte dell’occupazione nell’università Statale di Milano c’era l’aurora boreale. Un fenomeno tendenzialmente visibile solo ai poli, settimana scorsa si è esteso fino ad illuminare le notti anche in Italia. Sul momento non si capiva cosa fosse. Nel dubbio la risposta più plausibile era che si trattasse del faro di qualche locale o di qualche evento particolarmente invadente. E invece, Milano, e con lei cortile occupato della Statale, era raggiunta, eravamo raggiunti dal vento solare, illuminati appena dall’interazione tra le particelle cariche e gli atomi della nostra atmosfera. Tempeste di luce, fenomeni fisici, che sostavano sopra la prima schiera di tende, montate dal pomeriggio, abitate e in attesa.
L’occupazione è continuata aspettando il Senato accademico, le cui risposte però, insoddisfacenti rispetto alle richieste presentate hanno spinto l’organizzazione a spostare l’occupazione ancora più dentro l’università. Il 14 maggio, gli studenti hanno sollevato le tende e occupato l’atrio, e la prima scalinata, cercando di entrare in contatto in maniera più diretta con chi sceglie di non occupare, di non partecipare alla protesta e chi decide di non ascoltare le richieste.
Le occupazioni in Italia continuano a moltiplicarsi, ieri è stato il turno della Bicocca di Milano, allo scopo di rendere questa voce non ignorabile. Un corpo corale di atenei sta cercando di imporre all’ordine del giorno delle istituzioni universitarie e non un dibattito serio ed onesto sul coinvolgimento e il supporto offerto da queste stesse istituzioni a Israele e alle università israeliane. La diffusione sta rendendo ogni occupazione l’eco della precedente, creando un’onda transnazionale e nazionale che è già stata capace di indurre una riunione specifica della Crui (la Conferenza dei rettori delle università italiane), finalizzata a cercare di capire che linea adottare, il 13 maggio.
L’occupazione per un’università differente
Nel frattempo gli spazi occupati e le autogestioni non mancano di propagarsi, generando anche forme di didattica alternativa, student-led (a guida studentesca), a cui partecipano anche professoresse e professori solidali. L’idea di campus universitari a guida studentesca appare sempre qualcosa di utopico, di inimmaginabile o infattibile, ma le proposte in aumento non fanno che dimostrare che l’alternativa è reale, che un’università differente non solo è possibile ma che, in queste ore, riesce ad esistere. Dunque, gli studenti non stanno semplicemente chiedendo, ma stanno attivamente costruendo un’alternativa che, al momento, si scontra ancora con reticenze e limiti imposti dall’alto.
La Statale, infatti, ha preso parte, inviando una delegazione di persone iscritte come studenti, all’esercitazione Mare aperto, la più grande esercitazione militare internazionale coordinata dalla Marina italiana che vede impiegati più di 9.500 militari provenienti da 22 nazioni. La protesta nell’ateneo milanese chiede che attività come questa vengano espulse dai progetti e dai codici universitari, perché l’università e lo studio siano un diritto, non uno strumento di progettazione bellica e di militarizzazione del lavoro.
Intifada studentesca, questo è il nome che è stato dato alle occupazioni e alle manifestazioni universitarie che stanno avvenendo in tutto il mondo in solidarietà a Gaza.@LeilaBelMoh ha raccolto le voci dall'occupazione in corso all'Università Statale di Milano. pic.twitter.com/l7Ax3xnBfn
La demilitarizzazione degli atenei italiani è una necessità fortemente connessa allo scioglimento del supporto ad Israele visto che parte del know how e della ricerca realizzate negli atenei, anche in alcuni di quelli occupati, sono ora materialmente impegnati dall’esercito israeliano a Gaza, e non solo.
Una singola occupazione forse non avrebbe la forza di imporre queste necessità all’ordine del giorno, ne farebbe parlare, forse spingerebbe una rettrice o un rettore ad agire di conseguenza, ma è questa moltitudine di spazi presi e restituiti a generare una forza che forse e finalmente, potrà cambiare radicalmente le università rendendole posti di rinnovo e non generatrici di forza lavoro iper specializzata, spazi di condivisione e crescita collettiva e non ideatrici di strategie di morte.
La responsabilità del cambiamento è ricaduta ancora una volta sulle spalle delle persone giovani che se ne sono fatte carico, insieme. Occupare le università in massa avrà forse l’effetto straordinario di cambiare le cose, di dimostrare che queste possono essere messe in discussione e trasformate, che lo status quo può essere ribaltato, che le Università possono assumersi la responsabilità di andare avanti senza soldi e connivenze con il comparto bellico, che il potere può essere redistribuito e contestato, che come un’aurora impensabile può vedersi da Milano il presente sta venendo radicalmente riscritto.
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