La quinta edizione del Barometro dell’odio di Amnesty International è dedicata agli italiani senza cittadinanza.
Facebook e Twitter si confermano terreni fertili per l’odio online: il 12,4 per cento dei commenti risulta offensivo, discriminatorio o può essere inquadrato come hate speech.
Della riforma della cittadinanza si parla molto poco, ma quasi sempre in modo negativo, stereotipico e superficiale.
Oggi nel nostro paese vive più di un milione di minorenni italiani senza cittadinanza. Cioè bambini e ragazzi che sono nati in Italia ma da genitori stranieri e, pertanto, non sono cittadini italiani agli occhi della legge. “Si ha il dovere di evitare che essi si sentano esclusi anche dalla comunità in cui sono collocati e di cui si sentono parte per lingua, cultura, abitudini, costumi di vita”, ha commentato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un’intervista. Toni civili e pacati che non hanno nulla a che vedere con l’odio online che riemerge con prepotenza ogni volta che si dibatte di una possibile riforma. A monitorarlo è il quinto Barometro dell’odiopubblicato dalla ong Amnesty International.
La riforma della cittadinanza, un tema (ancora) divisivo
Nonostante negli ultimi decenni il mondo sia profondamente cambiato, le regole per ottenere la cittadinanza italiana sono ancora quelle di trent’anni fa. La legge 91/1992 si basa sul principio dello ius sanguinis: ciò significa che un bambino nato, riconosciuto o adottato da almeno un genitore con la cittadinanza italiana è considerato, a sua volta, cittadino italiano. Se i suoi genitori invece hanno la cittadinanza di un altro paese, il bambino acquisisce quest’ultima, anche se nasce in Italia e vi frequenta la scuola. A diciott’anni avrà poi la possibilità di richiedere la cittadinanza italiana, se ha risieduto nel nostro paese con continuità.
Nelle ultime legislature sono state tentate diverse riforme della legge 91/1992, basate di volta in volta sullo ius soli temperato (che attribuisce la cittadinanza a chi è figlio di almeno un genitore che vive legalmente in Italia da un certo numero di anni) o sullo ius scholae (che permette di chiedere la cittadinanza a chi ha frequentato la scuola in Italia). Tutte, finora, si sono arenate. Il tema è tornato di attualità perché nel 2022 la Commissione affari costituzionali della Camera ha approvato un nuovo testo, presentato dal deputato Giuseppe Brescia, usato come base di partenza per una futura riforma. Durante la discussione sono stati presentati 728 emendamenti, molti dei quali dettati dall’ostruzionismo.
Cosa dimostra la ricerca di Amnesty International sull’odio online
Per la quinta edizione del Barometro dell’odio, i ricercatori di Amnesty International hanno raccolto oltre sei milioni di contenuti su Facebook e Twitter, analizzandone e catalogandone più di 27mila con il supporto di 50 attivisti. Si sono soffermati soprattutto sulle pagine di esponenti politici, testate giornalistiche, attivisti, personaggi del mondo della cultura e dell’informazione.
Anche stavolta, i social media appaiono come luoghi in cui riversare il proprio astio senza temere ripercussioni. Più della metà degli utenti (il 56,9 per cento, per la precisione) esprime opinioni negative, critiche, polemiche e linguaggio d’odio. Il 12,4 per cento dei commenti risulta offensivo, discriminatorio o può essere inquadrato come discorso d’odio online (hate speech); in quest’ultima categoria ricade circa un commento su 100.
Il tema più caldo è sempre la pandemia, menzionata in un post su quattro e un commento su cinque. Sul secondo gradino del podio ci sono i diritti sociali, economici e culturali strettamente legati alla pandemia stessa (14,1 per cento dei post e 9,8 per cento dei commenti), seguiti dall’immigrazione (3,8 per cento dei post e 5,6 per cento dei commenti). Il tema della cittadinanza è al penultimo posto tra quelli monitorati, con una presenza nell’1,1 per cento dei post e nello 0,5 per cento dei commenti.
1 commento su 10 è offensivo, discriminatorio e/o #hatespeech e quando si parla di riforma della #cittadinanza a farla da padrone sono spesso razzismo e xenofobia. È questo il focus scelto per la quinta edizione del Barometro dell’odio https://t.co/MMP0oFnHs2
Gli italiani senza cittadinanza, invisibili e bersagli di stereotipi
Insomma, degli italiani senza cittadinanza si parla poco. Quando il tema emerge, spesso si interseca con quelli dell’immigrazione e dei diritti economici, sociali e culturali. Di per sé questo dato non dovrebbe stupire, ma il problema sta nel fatto che il racconto dell’immigrazione è sensazionalistico, ansiogeno, infarcito di stereotipi. Alcuni media mainstream ed esponenti politici dipingono una contrapposizione tra “noi” e “l’altro”, senza mai dare voce ai reali protagonisti. “Siamo come dei fantasmi, non solo per la legge ma anche per l’opinione pubblica” commenta Madhobi Tasaffa Akramul, del movimento #ItalianiSenzaCittadinanza.
I post e tweet problematici coinvolgono gli utenti molto di più rispetto a quelli neutri o positivi, con una media di quasi 2mila like, poco meno di 500 condivisioni e 500 commenti. Sui cinque più commentati, quattro danno per scontato che occuparsi della riforma significhi trascurare i problemi di chi la cittadinanza italiana ce l’ha già. La riforma stessa così finisce per perdere qualsiasi legittimità agli occhi degli utenti, che si esprimono con frasi come “questa gente non sarà mai italiana”. A conti fatti, tre commenti su quattro sul tema cittadinanza hanno un’accezione negativa; è di parziale consolazione il fatto che soltanto lo 0,4 per cento sia inquadrabile come hate speech.
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