Offlaga Disco Pax. Una magica storia emiliana raccontata nel podcast Venticinque

Il sesto episodio del podcast Venticinque è dedicato al 2005: Max Collini, ex Offlaga Disco Pax, condivide ricordi e sensazioni.

Dal negozio di dischi attorno cui la band è nata fino a piazza Lenin a Cavriago, passando per palazzo Masdoni, via Carlo Marx e gli infiniti ricordi di Max Collini. La storia unica di una band nata nel modo più improbabile e capace di marchiare a fuoco l’immaginario di intere generazioni.

Offlaga Disco Pax: si comincia da un negozio di dischi

La tentazione è forte, l’occasione unica. Così, all’ingresso di Reggio Emilia, ci ritroviamo a giocare con il navigatore. Per vedere se anche lui conosce quella “meravigliosa toponomastica” che è uno dei climax di una grande liturgia: l’elenco di memorie collettive chiamato Robespierre. Via Carlo Marx; via Ho Chi Minh; via Che Guevara; via Dolores Ibarruri; via Stalingrado; via Maresciallo Tito; piazza Lenin a Cavriago. Sorridiamo. Esistono davvero. Il nostro appuntamento, però, è lungo via Emilia San Pietro.

L’insegna indica “Tosi dischi”. Attendiamo pochi minuti sotto un porticato, fino a che compare Max Collini. Può così cominciare il sesto episodio di Venticinque, protagonisti gli Offlaga Disco Pax. Dopo poco esce da un portone affianco Daniele Carretti, che assieme a Enrico Fontanelli, scomparso nel 2014, completa un trio capace, nel modo più improbabile e meno pianificato, di dare una scossa di energia potentissima alla nostra musica indipendente nel suo periodo più complicato e asfittico, la prima metà degli anni zero.

Una puntata che si fa beffe del tempo e delle sue regole – fatta di salti indietro e avanti, di nostalgia di cose che molti nemmeno hanno vissuto – non poteva che cominciare da un negozio di dischi. Tempio del superfluo imprescindibile, del superato che non rinuncia all’eternità, monumento alla resistenza delle passioni. Ci muoviamo tra vinili, poster e le vecchi vhs dell’Unità. In vetrina, inconfondibile, Socialismo tascabile degli Offlaga. Era il 2005, l’anno di cui si occupa questa puntata del podcast prodotto da Rockit e LifeGate Radio e scritto da Dario Falcini, Giacomo De Poli e Marco Rip.

Offlaga Disco Pax
La storia degli ODP parte da Tosi dischi, a Reggio Emilia © Filippo Quaranta

“Be’, se non lo abbiamo noi questo vinile, non vedo chi potrebbe venderlo”, scherza Daniele. Oggi lui qui è il padrone di casa, dopo essere stato frequentatore più che assiduo e poi commesso di Tosi dischi, un’istituzione a Reggio, prima nella vecchia sede e poi in quella attuale. La storia degli ODP parte da qua. “Daniele ha delle colpe enormi”, racconta nell’audiodocumentario che trovate su tutte le piattaforme di streaming Max Collini, voce (e che voce!) della band attiva dal 2003 fino al 2014.

“Lui all’inizio degli anni zero leggeva i racconti che scrivevo su un sito che non esiste più, scrivi.com. Un giorno venne a trovarmi nell’ufficio dove lavoravo, e dove lavoro tuttora, con una proposta decisamente situazionista: usare quei testi per fare musica”. Era un tentativo (anzi una “prova tecnica”, come recita il sottotitolo del loro dirompente disco d’esordio), un gioco e una provocazione allo stesso tempo. La band fu creata per partecipare a un concorso per band famoso nel reggiano, il Premio Augusto Daolio, in cui si sarebbero classificati quinti.

Offlaga Disco Pax in piazza Lenin
Gli Offlaga Disco Pax in piazza Lenin, 2005 © Giulia Mazza

“Io all’epoca avevo 35 anni, Daniele ed Enrico 25. Per loro ero un rimastone perché ascoltavo la roba degli anni ’80, e cercavo i dischi dei Diaframma da Tosi. Appartenevo a un’altra storia”, dice Max. Che aggiunge: “fondamentale è stata la capacità di dialogo generazionale. Non siamo nati con un piano quinquennale, magari… Eravamo più figli della chimica tra noi tre in quel momento. Io non ero mai stato su un palco fino al 2003, ero uno che i concerti li andava a vedere. Tanti. Daniele faceva shoegaze con il suo gruppo, Enrico suonava roba alla Joy Division, la sua grande passione. Non pensavamo di mettere su un vero gruppo, era una proposta avulsa da tutto quanto, assurda”. E invece furono in tanti ad accorgersi che in quei pezzi c’è qualcosa, qualcosa di inedito e irresistibile.

La scrittura e la voce di Max, la sua capacità di creare universi con le parole e le immagini. E il suono, quel misto di industrial e rock alternativo (per davvero) che Carretti e Fontanelli crearono con pochissimo. “Enrico faceva le ritmiche con una tastierina del mercato”, dice Daniele mentre giriamo per il suo negozio. “Volevamo fare roba che potessimo portare dal vivo, con gli strumenti che avevamo. Nulla di più. In giro c’erano troppe iperproduzioni, allora. Noi volevamo fare cose semplici, che potessimo replicare ovunque dal vivo”.

Gli anni più intensi

La band viene travolta dal risultato. Mentre la scena italiana cantava in inglese, loro vanno in tutt’altra direzione. Una band nata per fare un paio di concerti, si ritrova con inviti da ogni parte d’Italia: a ogni live c’è qualcuno che li ascoltava e gli chiede di andare a suonare anche da loro. Nel 2004 vincono il Rock contest, prestigioso concorso organizzato a Firenze da Controradio, di cui nella puntata di Venticinque c’è una testimonianza spettacolare. Il presidente della giuria era Giacomo Fiorenza, un nome che come produttore, e non solo, ha fatto la storia della musica indipendente italiana. “Quella sera gli ODP spiazzarono tutti, erano incredibili. Stranamente vinsero sia per il pubblico che per la giuria, e così ebbero come premio sei giorni di registrazione da me in studio a Bologna. Furono giorni intensi, nacque un disco minimale e istintivo, in cui però c’era tutto”, racconta Fiorenza. Era Socialismo tascabile, un album di cui sono in tanti ancora a ricordare le canzoni a memoria. Assieme a La malavita dei Baustelle fu il disco dell’anno di Rockit.

La puntata di Venticinque si sposta assieme a Max per le strade di Reggio Emilia, in un territorio unico per la canzone italiana. “I CCCP e CSI, ma anche Benny Benassi o i Black Box, quelli di Ride on Time. E poi, nei dintorni, Iva Zanicchi e la mitica Orietta Berti, da Cavriago”. Arriviamo davanti a palazzo Masdoni, luogo di una canzone contenuta in Gioco di ruolo, terzo e ultimo disco degli Offlaga, nel 2012, dopo Bachelite. “Ora Palazzo Masdoni, che era la sede del PCI ed è stata teatro della mia formazione militante, è chiuso, e di proprietà di un avvocato. Di fronte invece c’è il castelletto di Confindustria: la lotta di classe l’hanno vinta i ricchi e si sono ben guardati di rendere l’onore delle armi alla classe operaia”, dice Max, sorridendo. Ci accompagna nel suo studio, a pochi passi da lì. Entriamo, senza badare, come da accordi, al disordine. “Su quella scrivania, a mano, in orario di ufficio, ho scritto i testi degli Offlaga. Mi occupo di locazioni, sono qui al ’95. Ero più gratificato dal tour di Socialismo tascabile che dall’ufficio, certo, ma non ho mai potuto permettermi di non avere un’alternativa. Non lasciare tutto per la musica è stata una scelta che mi è costata sacrifici in quegli anni bellissimi, però oggi così ho ancora un lavoro”.

ODP in concerto
La band italiana al Mi ami 2005 © ODP

Nel podcast la conversazione si sposta su Robespierre e il suo iconico video, che dà ulteriore popolarità alla band e desta l’interesse di molti. “Vincemmo un premio come video dell’anno davanti ai Negramaro, non so se mi spiego”. Il resto lo fa il passaparola tra la gente. “Siamo citati ancora oggi, quasi come un riconoscersi a vicenda dalle persone. Arrivano ragazzi e ragazze che si innamorano degli Offlaga che hanno 20 anni adesso. Pensate se avessimo avuto i social all’epoca”. Si va verso la fine della puntata, con il ricordo di quella parabola artistica di un amico, che è sempre stato vicino alla band: Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò. “All’inizio mi parevano una copia di Lindo Ferretti, non mi piacevano”, dice. “Ma poi ho capito che il modo di scrivere di Max era figlio di periodo un po’ successivo, sempre di questa terra, ma di un’altra sensibilità e di un altro paio di occhiali. Max ha una straordinaria capacità di partire dal particolare per arrivare all’universale. E poi c’erano riferimenti musicali che erano anche miei. Dani ed Enrico tenevano in piedi un mondo sonoro in due, senza un computer. Avevano un universo musicale ricco di sfumature, di idee”.

cover ODP
Il 2005 è l’anno di riferimento per il gruppo di Reggio Emilia © Giulia Cortinovis

L’ultima tappa, immancabile, è a quindici minuti di auto. Cavriago, piazza Lenin. “Io dovrei essere nominato assessore onorario al turismo di Cavriago. Credo di aver portato qua un sacco di turismo”, dice Collini ricordando il suo pezzo Piccola Pietroburgo. “Questo per me uno stargate: che esista questa piazza è una storia talmente bella che non ci si crede. Pensate che il busto di Lenin originale previsto per questa piazza era stato fuso a Lugansk, nel Donbass, arrivava dall’Ucraina che all’epoca era Unione Sovietica. Fu preso come trofeo di guerra dai fascisti e finì in ambasciata a Roma. I compagni di Cavriago, per celebrare il gemellaggio con una città dell’attuale Moldavia, andarono in ambasciata per prenderlo, come da accordi. Solo che non gli piaceva e chiesero se ne potessero prendere un altro, che gli garbava di più. E alla fine è quello che c’è qua davanti a noi”. Sulla strada del ritorno il passaggio più emozionante del racconto di Venticinque. Il ricordo corre al 2014, anno in cui le prove tecniche degli Offlaga Disco Pax si interrompono per la morte di Fontanelli. Così Max Collini vorrebbe che la loro storia fosse raccontata. “Mi piacerebbe che fossimo sempre ricordati per il rigore che abbiamo applicato in ogni momento della nostra storia, per l’attenzione che abbiamo avuto nel fare le cose esattamente nel modo in cui potessero davvero rappresentarci”.

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