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Gran parte delle terre dell’Oklahoma torna ai nativi americani
Quasi metà dell’Oklahoma è una riserva indigena, secondo la Corte suprema degli Stati Uniti. Cosa può cambiare ora per i nativi americani.
I nativi americani da secoli cercano di riconquistare libertà e diritti nella terra che apparteneva loro. Dopo decenni bui, le tribù locali possono festeggiare una vittoria che in parte ricompensa secoli di promesse non mantenute e ingiustizie attuate dal governo statunitense. La Corte suprema ha stabilito che vaste zone dell’Oklahoma devono essere considerate riserve indigene. Circa metà del territorio posizionato sopra il Texas potrebbe cambiare status, anche se per ora la sentenza ha esclusivamente valore processuale. Il verdetto si porta dietro alcune polemiche per il caso legale scatenante (che coinvolge un nativo accusato di stupro), ma la speranza è che possa avere ripercussioni favorevoli per i gruppi autoctoni troppo spesso dimenticati da Washington.
Il caso del Seminole McGirt
Il verdetto della Corte suprema dovrebbe avere conseguenze positive per la situazione generale dei nativi nordamericani, ma giunge in seguito a un caso ignobile che riguarda un appartenente alla tribù dei Seminole. Nel 1996 l’uomo, Jimcy McGirt ora 71enne, molestò una minorenne in una zona vicino la città di Tulsa, in Oklahoma. Per questo McGirt sta scontando una pena di 500 anni in una prigione statale.
Il suo avvocato ha di recente fatto ricorso contro la condanna, spiegando che il reato è avvenuto dentro una riserva indigena e che quindi il colpevole deve essere giudicato da una corte federale e non dai giudici dell’Oklahoma. Il massimo tribunale statunitense ha acconsentito alla richiesta: la corte ha deliberato che è ancora in vigore un trattato del 1907 secondo il quale il governo americano cede alle tribù i territori dell’area orientale dell’Oklahoma.
McGirt sarà nuovamente sottoposto a giudizio, anche se la gravità dei fatti e le prove contro di lui non cambieranno la pena. La decisione, dunque, ha un valore più grande per le tribù di nativi locali: ufficializzare che le aree coinvolte sono riserve potrebbe cambiare le leggi riguardo sanzioni, tasse e regolamenti ambientali. Le tribù godranno di maggiore indipendenza e sovranità e non dovranno più rispondere alle leggi delle autorità statali. Questa novità potrebbe rappresentare un precedente storico ed essere applicata in altri stati.
L’esempio dell’Oklahoma
“La sentenza avrà un effetto di vasta portata. Ci saranno altri gruppi che porteranno la stessa discussione in tribunale”, ha affermato un portavoce delle tribù Creek, Cherokee, Chickasaw, Choctaw e Seminole che vivono nei territori dell’Oklahoma coinvolti dalla sentenza. E proprio dalla lingua choctaw deriva il nome dello stato: “okla humma” significa persone rosse, dimostrando come pellerossa sia un termine meno dispregiativo dell’appellativo “indiani” che ora è caduto in disuso ed è ritenuto non politicamente corretto.
Sono numerosi i trattati simili a quello del 1907 stipulati fra nativi e governo federale soprattutto nell’Ottocento. In questi accordi i politici americani avevano promesso terre e diritti agli aborigeni in cambio di spostamenti o di forza lavoro. Molti di questi contratti non sono stati rispettati e i nativi hanno visto i propri spazi ristringersi e la discriminazione aumentare. Il provvedimento McGirt può cambiare la situazione nelle riserve indigene, rovinate da disoccupazione e alcolismo, e rappresenta finalmente uno spiraglio di giustizia per le popolazioni autoctone americane.
Proprio davanti al palazzo governativo di Oklahoma City si erge una statua dedicata ai nativi costruita nel 1989. L’opera si chiama “Finché l’acqua scorre” e prende il nome da una frase pronunciata dal presidente Andrew Jackson, alla Casa Bianca dal 1829 al 1837. “Finché l’acqua scorre e l’erba cresce, queste terre saranno vostre”, disse Jackson alle tribù dopo averle deportate nelle riserve. Dopo quasi duecento anni quelle parole iniziano a non sembrare più una falsità.
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