Stop all’olio combustibile pesante per le navi in transito nell’Artico. Ma è un divieto “a metà”

L’olio combustibile pesante è altamente dannoso, sia per i fumi che si depositano sulla banchina polare sia in caso di sversamento in mare.

  • Il 1° luglio è entrato in vigore il divieto di utilizzare e trasportare l’olio combustibile pesante (o Hfo) da parte delle navi che attraversano le acque dell’Artico.
  • Questo combustibile denso, derivante dal petrolio, è pericoloso per l’ambiente sia per il fumo nero che si deposita sui ghiacci, sia perché è quasi impossibile da ripulire in caso di fuoriuscita.
  • Secondo le ong, però, questo divieto comprende troppe scappatoie che compromettono drasticamente la sua efficacia.

Mentre il mondo della navigazione si interroga su quale potrà essere il carburante navale green del futuro (Gnl, ammoniaca, propulsione elettrica…), il 1° luglio è entrato in vigore il divieto di utilizzare e trasportare l’olio combustibile pesante (o Hfo) da parte delle navi che attraversano le acque dell’Artico, il cui confine è identificato a 60 gradi a nord dell’equatore. Ossia 6 gradi più a sud del Circolo polare artico. Un successo a lungo voluto sia dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo) sia dalla Clean Artic Alliance, un’associazione formata da 23 organizzazioni no profit (tra cui Greenpeace e il Wwf) proprio con lo scopo di fare pressione sui governi affinché prendano provvedimenti per proteggere le coste più settentrionali della Terra, le sue popolazioni, la flora e la fauna. La Alliance chiede anche all’Imo – che è un istituto dell’Onu che sovrintende al trasporto marittimo – di mettere in campo altre misure per ridurre le emissioni dannose dello shipping attraverso l’impiego di carburanti più puliti e filtri antiparticolato per motori diesel.

Le caratteristiche dell’olio combustibile pesante

L’olio combustibile pesante è un combustibile molto denso derivante dal petrolio. È simile al catrame, un prodotto che è un po’ il terrore di tutti i mari, dell’industria della pesca e di quella del turismo. Il fatto che costi circa il 30 per cento in meno rispetto ad altri carburanti fa sì che l’80 per cento delle navi di tutto il mondo, in particolare dalle petroliere, lo carichi nei propri serbatoi.

Tuttavia, l’olio combustibile pesante è particolarmente dannoso nelle regioni polari, dove il fumo nero emesso quando brucia nelle caldaie di bordo si deposita sui ghiacci accelerandone la fusione. Ma non solo: essendo molto viscoso e simile a fanghiglia, in caso di fuoriuscita sarebbe quasi impossibile da ripulire soprattutto nelle acque fredde dei poli, dove affonda in grumi senza decomporsi. In realtà, la sua densità rispetto all’acqua può variare: ne deriva che l’olio fuoriuscito può galleggiare, affondare o rimanere sospeso nell’acqua. In tutti e tre i casi, è un problema serio.

La National oceanic and atmospheric administration, un’agenzia scientifica e normativa statunitense parte del ministero del Commercio, lo descrive come un petrolio “persistente” perché solo il 5-10 per cento di esso evapora nelle prime ore dopo una fuoriuscita. Il restante 90-95 per cento si diffonde in chiazze sulla superficie dell’acqua, alcune delle quali si frantumano in “pezzi” che possono comunque avere diversi metri di diametro. Questi possono essere trasportati per centinaia di chilometri dai venti e dalle correnti oceaniche, cosa che rende impossibile il loro recupero.

Le tante deroghe al divieto valido per l’Artico

Il bando all’utilizzo e al trasporto dell’olio combustibile pesante non è cosa nuova: è in vigore da una decina d’anni già nei mari antartici e dal 2022 nelle acque prospicienti l’arcipelago norvegese delle isole Svalbard. Ora è la volta delle acque artiche. Secondo Clean Artic Alliance, però, ci sono ancora troppe scappatoie che limiteranno l’efficacia della misura.

Primo: le navi dotate di un serbatoio carburante protetto saranno esentate dal divieto. In realtà, questa protezione impedisce o rende estremamente remota la fuoriuscita di olio combustibile pesante ma non può nulla contro le emissioni nell’aria. Secondo: le unità battenti bandiera dei paesi che si affacciano sull’Artico – Russia, Canada, Stati Uniti, Norvegia e Islanda sono i principali – saranno esentate dal divieto almeno fino al 2029. Ciò significa che, tra le navi che utilizzano Hfo, circa tre su quattro potranno continuare a farlo. Il Canada ha indicato che intende concedere deroghe per le proprie navi che trasportano cibo e carburante alle comunità artiche. La Finlandia ha reso noto che applicherà i regolamenti, mentre Stati Uniti e Danimarca devono ancora commentare.

Inoltre, il continuo aumento della richiesta di petrolio a livello mondiale potrebbe addirittura comportare un aumento della quantità di olio combustibile pesante utilizzato nei mari artici. Insomma: piove sul bagnato. “Le petroliere e le navi cisterna da trasporto gas utilizzano grandi volumi di Hfo”, ha detto Elena Tracy, consulente del Wwf per il programma artico. “Con i nuovi progetti di trivellazione già pronti in luoghi come l’Artico russo, vedremo aumentare anche la quantità di Hfo che salirà a bordo delle navi, nei serbatoi come carburante o nelle cisterne come combustibile da trasferire altrove”.

Come se non bastasse, il trasporto marittimo nella zona più settentrionale della Terra è in aumento. Uno studio pubblicato a inizio anno da un gruppo di lavoro per la protezione ambientale delle acque artiche, composto da rappresentanti dei paesi che si affacciano su questi mari, ha evidenziato come tra il 2013 e il 2023 il traffico mercantile nella regione sia aumentato del 37 per cento mentre le distanza percorsa dalle navi che è addirittura più che raddoppiata. I dati della Clean Arctic Alliance dicono che le emissioni di nerofumo derivanti dalle unità mercantili sono aumentate dell’85 per cento tra il 2015 e il 2019. Il divieto dell’Imo ridurrà il loro volume, ma solo del 5 per cento.

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