Il primo passo per tutelare gli oceani è conoscerne i fondali. È il messaggio lanciato dall’Unesco al summit organizzato in Francia dal 9 all’11 febbraio.
Al One ocean summit, incontro tenutosi a febbraio nella città francese di Brest, l’Unesco ha chiesto agli stati membri dell’Onu di contribuire alla mappatura dell’80 per cento dei fondali marini entro il 2030.
Parallelamente, le scienze oceaniche dovranno essere incluse nei programmi scolastici dei singoli stati entro il 2025.
In fondo al mare ci sono tesori che dobbiamo ancora scoprire. Gli abissi rappresentano un luogo misterioso, popolato da creature affascinanti e quasi mitologiche, molte delle quali tuttora sconosciute. Come possiamo proteggere qualcosa che non conosciamo? L’Unesco – l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura – si è posta un obiettivo: mappare almeno l’80 per cento dei fondali oceanici entro il 2030. Per poterlo raggiungere, sarà necessario il contributo di tutti gli stati membri dell’Onu, insieme a quello del settore privato. Fra le altre cose, dovranno rendere noto il proprio archivio cartografico.
La richiesta dell’Unesco è arrivata nel corso del One ocean summit, organizzato nella città di Brest, nella Bretagna francese, dal 9 all’11 febbraio 2022. Uno degli eventi più importanti nell’ambito del decennio Onu delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile. Grazie a un programma lanciato nel 2017 insieme alla Nippon foundation – organizzazione senza scopo di lucro basata in Giappone – si è mappato finora il 20 per cento dei fondali. Un risultato promettente, considerando che si partiva da una percentuale del 6.
Le iniziative nell’ambito del decennio dedicato agli oceani
Il potenziale per accelerare il processo di mappatura è ulteriormente accresciuto dalle ultime innovazioni tecnologiche. I sonar moderni sono in grado di misurare l’altezza dell’acqua in più punti e in più direzioni contemporaneamente. In più, gli scienziati hanno adesso l’opportunità di pilotarli a distanza, una soluzione conveniente che permette di sganciarsi dalle rotte di navigazione. L’Unesco metterà comunque a disposizione cinquanta navi dedicate. Stando agli esperti della Commissione oceanografica intergovernativa (Ioc), servirà un investimento totale di cinque miliardi di dollari (circa 4,4 miliardi di euro), una media di 625 milioni l’anno fino al 2030.
“Entro il 2023, lanceremo uno strumento di monitoraggio valido a livello globale, così da poter tracciare ogni singolo progresso durante il percorso. Questa mappa mondiale del fondale marino sarà una delle eredità lasciate dal decennio dedicato agli oceani”, ha dichiarato Vladimir Ryabinin, vicedirettore generale dell’Unesco a capo dell’Ioc.
Chers amis, bienvenue à Brest, terre océanique par histoire, par géographie, par culture, par passion. Nous sommes fiers d'y tenir ce premier #OneOceanSummit ! pic.twitter.com/Fyp5spMGj8
Perché lo studio dei fondali marini è fondamentale
Scandagliare le profondità dell’oceano risulta essenziale per comprendere la posizione delle faglie oceaniche, il funzionamento delle correnti e delle maree, le modalità di trasporto dei sedimenti. Questi dati aiutano a proteggere sia gli esseri umani sia le specie marine perché consentono di anticipare terremoti e tsunami, identificare i siti naturali che devono essere salvaguardati, quantificare le risorse ittiche, garantire una risposta più efficace in caso di catastrofi ambientali come le fuoriuscite di petrolio. Hanno anche un ruolo importante nella valutazione degli effetti futuri dei cambiamenti climatici, dall’aumento delle temperature all’innalzamento del livello dei mari.
Il ruolo chiave dell’educazione
L’altra sfida promossa dall’Unesco prevede l’inclusione delle scienze oceaniche nei programmi scolastici entro il 2025. “La comunità internazionale deve trasformare l’educazione in uno dei pilastri dell’azione per l’oceano. Perché se lo vogliamo proteggere meglio, dobbiamo insegnare come farlo. In occasione dell’Ocean summit, vogliamo dare un obiettivo comune ai 193 stati membri, chiedendo loro di portare questa tematica nelle scuole”, ha spiegato Audrey Azoulay, direttore generale dell’organizzazione. “Vogliamo che gli studenti diventino cittadini responsabili e impegnati”, ha quindi aggiunto Stefania Giannini, responsabile dei programmi educativi dell’Unesco, sottolineando l’importanza di cambiare il modo in cui la nostra società interagisce con l’oceano per poter sviluppare un modello più sostenibile.
Ci sono già esempi positivi che arrivano da stati come Brasile, Canada, Costa Rica, Kenya, Portogallo e Svezia. Per aiutare anche gli altri paesi a uniformarsi, sarà reso disponibile un archivio comune di contenuti educativi per i dirigenti scolastici e i ministeri dell’Istruzione. Al di là della discussione sulle questioni da risolvere – come l’inquinamento da plastica e il riscaldamento delle acque –, si cercherà di tramandare alle nuove generazioni anche le conoscenze dei popoli indigeni. Un primo resoconto dell’andamento di questa iniziativa sarà fatto alla Cop 27, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite che avrà luogo in Egitto nel novembre di quest’anno.
“If we want to protect the #ocean better, we must teach it better” – @AAzoulay
This is why, on the occasion of the #OneOceanSummit. we are calling all @UNESCO's 193 Member States to include ocean education in school curricula by 2025.
— UNESCO 🏛️ #Education #Sciences #Culture 🇺🇳😷 (@UNESCO) February 11, 2022
Le ambizioni dell’Unione europea
Le istituzioni europee hanno voluto ribadire il proprio impegno nella lotta per la salvaguardia del mare. “La nostra missione di proteggere gli oceani deve essere ampia quanto la nostra responsabilità condivisa. Ecco perché oggi siamo venuti a Brest per unire le forze e invertire la tendenza. L’Europa, quale potenza marittima, può dare un contributo enorme. Ma è solo insieme che potremo rafforzare la protezione dei nostri oceani e farli brulicare nuovamente di vita”, ha detto Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue.
Tra le decisioni più importanti, quella di creare una coalizione con lo scopo di arrivare a concretizzare un ambizioso trattato delle Nazioni Unite sulla diversità biologica marina nelle zone non soggette a giurisdizione nazionale: basti pensare che queste aree costituiscono il 95 per cento degli oceani e sono ricche di biodiversità, ma sono sempre più vulnerabili a minacce quali l’inquinamento, lo sfruttamento eccessivo e gli effetti della crisi climatica. L’Ue, inoltre, conduce i negoziati in seno all’Organizzazione marittima internazionale in vista di un accordo sull’obiettivo di trasporti marittimi a zero emissioni entro il 2050.
2025 e 2030 sono abbastanza vicini, 2050 un po’ meno; abbiamo imparato con la pandemia che tutto può cambiare nel giro di pochissimo tempo. Gli obiettivi prefissati sono sicuramente ambiziosi e vanno nella giusta direzione, ma serve forse accelerare il ritmo.
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