La Francia ha annunciato domenica 24 settembre che le atlete francesi non potranno indossare l’hijab ai giochi olimpici del 2024. Le Nazioni Unite condannano questa decisione.
L’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha criticato il governo francese per aver vietato alle atlete francesi di indossare l’hijab alle Olimpiadi di Parigi del prossimo anno. “Nessuno dovrebbe imporre a una donna cosa deve o non deve indossare”, ha dichiarato martedì Maria Hurtado, portavoce dell’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani.
La posizione delle Nazioni Unite arriva dopo che domenica 24 settembre la ministra dello Sport francese Amélie Oudéa-Castéra ha annunciato che le atlete francesi non potranno indossare il velo ai giochi olimpici del 2024 a Parigi. Intervenuta domenica su France 3 Tv, la ministra ha espresso il suo sostegno a un “rigoroso laicismo” e ha dichiarato che nessun membro della delegazione francese potrà indossare il velo.
Oudéa-Castéra ha anche criticato il Comitato olimpico internazionale (Cio) per aver preso una posizione diversa sulla questione. Infatti, il Cio non considera l’hijab come un simbolo religioso, ma culturale.
Non solo il Cio, ma anche la Fifa, nel 2014, ha permesso alle donne di portare l’hijab sui campi di calcio, eppure il Consiglio di Stato francese ha respinto il ricorso di un gruppo di calciatrici, noto come “Les Hijabeuses“, e ha confermato la decisione della Federazione francese di calcio del 2016 che vieta alle atlete di portare il velo.
Pratiche discriminatorie
“Queste pratiche discriminatorie possono avere conseguenze dannose”, ha sottolineato Marta Hurtado.
Secondo le norme internazionali sui diritti umani, le restrizioni all’espressione delle religioni o delle credenze, come la scelta dell’abbigliamento, sono accettabili solo in circostanze molto specifiche che rispondono in modo proporzionato e necessario a legittime preoccupazioni di sicurezza pubblica, ordine pubblico, salute pubblica o moralità.
Marta Hurtado, portavoce dell’Onu per i diritti umani
La posizione della ministra dello sport è in linea con le ultime decisioni del governo guidato da Élisabeth Borne e targettizzanti la comunità musulmana in Francia, in particolare le donne. Lo scorso mese, infatti, il ministro dell’istruzione Gabriel Attal ha imposto il divieto, per le studentesse, di indossare l’abaya nelle scuole pubbliche, in nome della laicità dello Stato. L’abaya, che non è altro che un maxidress, in realtà ha origini preislamiche, è un simbolo culturale e non religioso, come confermato anche dal Consiglio musulmano francese (Cfcm).
Attiviste e diverse organizzazioni che si occupano di diritti umani hanno da tempo espresso il timore che un’intensa attenzione all’hijab e all’abbigliamento delle donne musulmane in generale, spesso con il pretesto di politiche che vietano i simboli religiosi, fosse un sintomo di islamofobia normalizzata in alcuni Paesi dell’Ue.
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