Come suona un ghiacciaio alpino quando si scioglie. Il progetto Un suono in estinzione cerca di dare voce al ghiacciaio dell’Adamello prima che scompaia.
Crolli improvvisi, fragori, collassi, aperture di crepacci, ma anche fischi, sibili e rumori che sembrano alieni. Sono solo alcuni dei fenomeni sonori imprevedibili che si possono captare nel ventre di un ghiacciaio mentre si ritira. Segnali struggenti, alimentati dai cambiamenti climatici, che entro fine secolo si dissolveranno del tutto. Da questa consapevolezza, e dalla necessità di raccontarla, nasce il progetto artistico e scientifico Un suono in estinzione del sound artist camuno Sergio Maggioni, che con il suo alter ego Neunau indaga i suoni in contesti industriali e naturali. Maggioni ha selezionato per LifeGate alcune delle voci, suoni e rumori, del ghiacciaio dell’Adamello durante la fusione nel suo ciclo stagionale. Una serie inedita di registrazioni acustiche da ascoltare in anteprima, commentata dal gruppo di ricerca che, insieme a lui, sta monitorando i suoni in estinzione nell’arco alpino.
“Nel corso della pandemia – racconta Maggioni – mi sono domandato che suoni potesse avere un ghiacciaio nella sua forma più intima e inaccessibile, al di là dell’immaginazione. L’idea era di fare una registrazione continua, per diverse settimane o mesi, di ciò che avviene dentro i crepacci, in aria, a contatto con il ghiaccio. E narrare quanto accade grazie ai suoni, la via per me più diretta ed empatica per mobilitare le persone”.
Mi sono domandato che suoni potesse avere un ghiacciaio nella sua forma più intima e inaccessibile, al di là dell’immaginazione.
Sergio Maggioni
Il suono in estinzione dell’Adamello
Invece che andare in Antartide, già protagonista di numerose cronache e inziative di sensibilizzazione, Maggioni ha scelto di documentare i fenomeni sonori nel lungo periodo sull’Adamello, la massa glaciale più estesa delle Alpi e la più importante a livello idrico in Italia.
Secondo le nostre ricerche il ghiacciaio dell’Adamello scomparirà entro il 2080 o 2090.
Roberto Ranzi
La sua indagine è iniziata nell’inverno del 2020 e si è avvalsa del supporto scientifico di diversi ricercatori e studiosi, tra cui il professore di bioacustica all’Università di Pavia Gianni Pavan, il professore Roberto Ranzi dell’Università di Brescia, il professore Carlo Baroni, geomorfologo dell’Università di Pisa, il professore Claudio Smiraglia del Comitato glaciologico italiano, il geologo e docente all’Università di Padova Alberto Carton e l’ingegnere del suono Alessio Degani. Con loro, Maggioni ha pianificato le spedizioni, selezionato le attrezzature necessarie per le registrazioni e avviato la decodifica delle rilevazioni nei primi mesi.
In una fase successiva, i dati raccolti saranno impiegati per realizzare pubblicazioni artistiche e divulgative, eventi non convenzionali, installazioni artistiche e interazioni con applicazioni digitali. Al riguardo, il coordinatore del progetto Filippo Rosati della piattaforma artistica Umanesimo Artificiale, puntualizza: “Un suono in estinzione pone allo stesso livello e fa interagire arte, scienza e tecnologia. Non è un progetto artistico che si ispira alla scienza o a una ricerca scientifica in particolare. E non è neppure un progetto scientifico in cui si cerca di abbellire la ricerca. È un lavoro che richiederà almeno cinque anni di raccolta dati che abbiano allo stesso tempo una rilevanza scientifica, secondo il metodo scientifico, e un valore artistico. Nel frattempo la tecnologia, con l’uso di intelligenze artificiali, potrebbe farci capire come sarà il suono in estinzione del ghiacciaio a fine secolo seguendo i modelli matematici di simulazione che hanno già portato a questa previsione”.
Un rumore inarrestabile che provocherà silenzio
I ghiacciai Italiani, schiacciati dal peso crescente della crisi climatica in corso, continuano ad assottigliarsi e sull’arco alpino hanno perso il tredici per cento della superficie in soli dodici anni. Non sta mutando solo il loro aspetto, col tempo si affievolirà anche il paesaggio sonoro. Torrenti sotterranei e cascate generate dalla fusione del ghiaccio sono una presenza continua, ma la scomparsa di queste masse glaciali corrisponderà con la fine delle risorse idriche di alta quota e l’inevitabile silenzio.
Se le cascate che fuoriescono dai ghiacciai sono “un’emorragia inarrestabile”, come le descrisse Paolo Rumiz ne La leggenda dei monti naviganti, i collassi strutturali sono come fratture, e il rumore che si genera ne è il lamento. Se non si riusciranno a ridurre gli effetti del riscaldamento globale causato dall’attività dell’uomo, la maggior parte dei ghiacciai dell’arco alpino sparirà in pochi decenni. “Secondo le nostre ricerche il ghiacciaio dell’Adamello, che negli anni Duemila aveva un volume di 800 milioni di metri cubi, scomparirà entro il 2080 o 2090”, precisa Roberto Ranzi.
Estendendo l’osservazione su più anni è possibile decodificare la progressione del cambiamento climatico, fino al silenzio derivante dalla scomparsa del ghiacciaio.
Gianni Pavan
Il team di Un suono in estinzione, finora, ha effettuato quattro spedizioni scientifiche e documentaristiche sul ghiaccaio dell’Adamello, catturando – grazie a registratori e idrofoni bioacustici sempre attivi per due mesi – sia i suoni trasmessi per via aerea sia quelli più nascosti all’interno del ghiacciaio.
“Mentre salivamo sulla fronte del ghiacciaio del Mandrone – continua Maggioni – nella prima spedizione, un rumore molto potente simile ad una macchina ad alta velocità ci è passato sotto i piedi dal basso verso l’alto. Ho chiesto al professor Ranzi cosa fosse accaduto e mi ha risposto che era un calo di tensione. Avendo la possibilità di registrare 24 ore su 24 e di calare i registratori nei crepacci, ho sperato di catturare il fenomeno qualora si fosse ripetuto. Anche se riascoltare così tante ore di registrazione sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Una volta tornati per recuperare le schede dopo la seconda spedizione, ho iniziato l’ascolto per scandagliare quel suono e, dopo settimane di tentativi, l’ho trovato“.
Registrare ciò che avviene dentro i crepacci, in aria e a contatto con il ghiaccio, e narrare quanto accade grazie ai suoni, è la via per me più diretta ed empatica per mobilitare le persone.
Sergio Maggioni
Perché il ghiacciaio fa rumore
I ghiacciai hanno una propria vita e una voce che nasce dai processi fisici interni ed esterni, come la fusione e il rigelo, ma anche meccanici come il lento scivolamento sulle superfici sottostanti, la fratturazione, e le pressioni dell’ambiente esterno quali pioggia, neve, vento, riscaldamento solare. “Un ghiacciaio di montagna genera rumori di vario tipo perché è una massa dotata di movimento verso valle”, spiega Alberto Carton. “Durante il movimento il ghiaccio deve adattarsi alla morfologia del substrato su cui appoggia, subendo deformazioni o fratture che dipendono dalla velocità di scorrimento e dallo stato termico della base. Ciò è all’origine dei rumori e alla loro frequenza”.
Secondo Ranzi le registrazioni sonore nel ventre del ghiacciaio e sulla sua superficie consentono di individuare con precisione il ciclo temporale e l’intensità della fusione in superficie e del deflusso, ritardato, del torrente subglaciale. “Queste informazioni – aggiunge – permettono di verificare le ipotesi e i parametri dei modelli matematici che prevedono l’evoluzione dei ghiacciai che nelle Alpi sono destinati in gran parte all’estinzione, più o meno repentina. E non va trascurato il valore estetico di questi suoni la cui bellezza e originalità destano meraviglia in chi si accosti per la prima volta al loro ascolto”.
Gli fa eco Gianni Pavan, per il quale i molteplici suoni generati dal ghiacciaio sono ben noti agli alpinisti e a chi frequenta questi ambienti estremi, ma presi singolarmente sono difficilmente identificabili e spiegabili. “Alcuni possenti suoni sono riconducibili a fratturazioni e crolli, molti altri, anche sottili e poco percepibili, sono difficilmente interpretabili quando presi singolarmente o saltuariamente”, sottolinea. “Ma queste voci diventano intellegibili e decifrabili se registrate da appositi sensori e ascoltate su lunghi periodi. Con gli spettrogrammi si possono ‘vedere’ nella loro ricorrenza giornaliera, nella loro modulazione stagionale, nelle variazioni anche aperiodiche indotte dalle condizioni metereologiche”.
Il progetto pilota in corso sull’Adamello ha un’ambizione più ampia, cioè l’osservazione dei cambiamenti a lungo termine della voce del ghiacciaio in risposta al cambiamento climatico. “Già osserviamo i cicli giornalieri dei flussi di acqua modulati dal riscaldamento diurno e dal raffreddamento notturno – chiosa Pavan – ma estendendo l’osservazione a un intero anno speriamo di cogliere la modulazione delle stagioni, i rumori dei cicli di fusione e rigelo, il rumore indotto dalla pressione della neve che si accumula, e su più anni vorremmo decodificare la progressione del cambiamento climatico. Estendendo l’osservazione su un futuro sempre più prossimo potremmo anche osservare il silenzio derivante dalla scomparsa del ghiacciaio”.
L’installazione sonora di Un suono in estinzione
Per accrescere l’attenzione sul tema dei cambiamenti climatici, Sergio Maggioni ha realizzato una installazione di Un suono in estinzione, presentata in diversi festival, mostre e rassegne artistiche tra cui Rumur, Ars electronica, Campo base, Zone digitali, Tough as you e all’interno della conferenza annuale di Apre, l’Agenzia per la promozione della ricerca europea. Al centro dell’installazione appare una struttura totemica come spazio “sacro-sonoro” rappresentato da un blocco di ghiaccio di trenta chili con all’interno una roccia, sospeso nel vuoto. Il ghiaccio, fondendo, sgocciola su un piatto posto in terra generando un suono cadenzato, amplificato da un diffusore. È un conto alla rovescia del suono in estinzione dei ghiacciai: terminata la fusione, il ghiaccio rivela la roccia nuda appesa al suo interno.
Un suono in estinzione è una finestra aperta verso un mondo che ci sta parlando e sta a noi decidere se ascoltarlo.
Christian Casarotto
Possiamo fare a meno dei ghiacciai?
In tutti i paesi alpini i ghiacciai stanno subendo un forte e accelerato ritiro a causa del riscaldamento globale, tendenza che si allinea a quanto accade a livello globale. Sono sotto gli occhi di tutti il rapido arretramento della loro fronte, le diminuzioni dello spessore, la frammentazione, la comparsa di isole rocciose, la maggiore copertura detritica, le morfologie superficiali in rapida evoluzione. La velocità di riduzione è aumentata soprattutto dagli anni Ottanta e il trend negativo è frutto dell’aumento della temperatura e del conseguente innalzamento del limite delle nevicate. Per il glaciologio del MUSE di Trento, Christian Casarotto, la montagna ci parla attraverso il suo comportamento e cambiamento, incluso il ritiro dei ghiacciai, a volte mormorando e altre volte in modi più gravi. Ma i ghiacciai sono così importanti? Possiamo farne a meno?
“I ghiacciai sono regolatori del clima a livello globale – conclude Casarotto – e sono una riserva di acqua utile per scopi civili, agricoli ed energetici. Non meno importante è l’aspetto turistico e quindi economico, sportivo e alpinistico connesso con la frequentazione dei rifugi. L’uomo sta ora vivendo un forte cambiamento della montagna (e non solo) di cui è necessario raggiungere la consapevolezza per intervenire rapidamente. Una consapevolezza che può essere raggiunta anche ascoltando le parole della montagna. Le registrazioni del movimento e comportamento del ghiacciaio sono l’espressione di quanto stia accadendo a livello globale, uno strumento capace di osservare il cambiamento climatico da un altro e curioso punto di vista. Il progetto Un suono in estinzione è questo: una finestra aperta verso un mondo che ci sta parlando e che sta a noi decidere se ascoltarla, tenendo però a mente che il ghiacciaio è il nostro passato e presente, e che il futuro dell’uomo non può in alcun modo essere considerato senza la sua presenza”.