Respinto il ricorso delle associazioni ambientaliste sul Terminillo. Per loro l’opera sarà dannosa per l’ambiente e per l’orso marsicano.
L’orsa Amarena è stata uccisa. Era il simbolo del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise
L’orsa Amarena popolava il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. È stata uccisa appena fuori dai suoi confini a fucilate. “Un episodio gravissimo”, scrive il Parco.
L’orsa Amarena è stata uccisa a fucilate. È la comunicazione che ha dato il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise nella notte tra il 31 agosto e l’1 settembre. L’orsa era un esemplare di orso bruno marsicano che popolava le aree del Parco nazionale, per questo conosciuta e monitorata. Negli anni era diventata popolare per le sue incursioni nei paesi del Parco, con spesso a seguito i suoi cuccioli, proprio come si era visto qualche giorno fa. Incursioni in cerca di cibo: prevalentemente frutta “rubata” dagli alberi. Non ha mai creato o causato danni alle persone.
Il fatto è accaduto a San Benedetto dei Marsi, fuori dal Parco e dall’Area contigua. Ora i guardiaparco stanno cercando i cuccioli e dovranno capire cosa fare, perché da soli sarebbe a rischio la loro sopravvivenza.
L’uccisione dell’orsa amarena è un fatto gravissimo
“L’episodio è un fatto gravissimo, che arreca un danno enorme alla popolazione che conta una sessantina di esemplari, colpendo una delle femmine più prolifiche della storia del Parco. Ovviamente non esistono motivazioni di nessuna ragione per giustificare l’episodio visto che Amarena, pur arrecando danni ad attività agricole e zootecniche, sempre e comunque indennizzati dal Parco anche fuori dai confini dell’Area contigua, non aveva mai creato alcun tipo di problema all’uomo”, scrive il Parco.
L’orso bruno marsicano
L’orso bruno marsicano è il simbolo del Parco perché è una specie endemica della zona: si trova solo nel centro Italia, e conta una sessantina di esemplari. Da anni il Parco promuove la sua conservazione dopo che la specie era vicina all’estinzione, soprattutto a causa dei conflitti con l’uomo. Negli anni è stato fatto un duro ma preziosissimo lavoro di comunicazione, prevenzione e consapevolezza, soprattutto per chi vive e lavora all’interno dei confini del Parco, per permettere una coesistenza pacifica tra l’uomo e la biodiversità. E questo caso non dimostra che la coesistenza non sia possibile, ma che c’è sempre e ancora molto da fare.
Conoscenza e rispetto per la conservazione dell’orso
Il primo passo per la sua tutela è infatti la conoscenza. Per rispettare l’orso bisogna conoscerlo. Bisogna sapere che è un animale pacifico e soprattutto opportunista, non aggressivo, salvo in casi in cui si sente minacciato. Girovaga per i boschi e le montagne appenniniche a diverse altitudini in base a dove trova più cibo, avventurandosi a quelle più basse quando gli alberi sono pieni di frutta, di mele e ciliegie, di cui va ghiotto.
La sensibilizzazione della popolazione locale viene fatta perché collabori in questo sforzo – dall’accorgimento di non lasciare rifiuti scoperti e di potare gli alberi e raccoglierne la frutta, perché se l’orso trova cibo si avventura tra le case, abituandosi alla presenza dell’uomo che non percepisce più come minaccia ma opportunità, instaurando un fenomeno chiamato abituazione. Proprio da qui arrivano le fotografie di orsi che passeggiano tra le case dei paesi sul far del buio (come quelle dell’orsa Amarena di qualche giorno fa), tanto iconiche quanto sbagliate dal punto di vista dell’etologia dell’animale.
“È importante far capire alle persone che la sopravvivenza dell’orso dipende molto più dal loro comportamento che dalla sola esistenza del Parco”, ci aveva detto Elisabetta Tosoni, biologa collaboratrice del Servizio scientifico del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, quando abbiamo visitato il Parco per parlare proprio di questi temi. “La conservazione si fa con la prevenzione e con la comunicazione”, ci aveva detto invece la guardiaparco Nadia Boccia. “La repressione dei reati, intesa come sanzioni, non serve. Quando arriviamo noi è già troppo tardi, ormai il danno è fatto. Bisogna arrivare prima”.
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