Negli Stati Uniti è stato proposto l’inserimento della farfalla monarca tra le specie a rischio dell’Endangered species act per aumentarne la protezione.
Nel cuore selvaggio dell’Abruzzo, l’orso bruno marsicano ci insegna la coesistenza pacifica tra natura e uomo
Siamo stati ospiti a casa dell’orso bruno marsicano, nel cuore del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, per scoprire come sta la specie e il suo habitat, e di come l’armonia tra uomo e natura è ancora possibile.
Usciti dall’autostrada che in poco meno di due ore ci porta da Roma nel cuore dell’Abruzzo, ci ritroviamo catapultati nel paesaggio tipico appenninico, tra montagne sinuose con alberi millenari, cime ripide e rocciose, valli e altipiani che si susseguono a perdita d’occhio. Quasi non ci si rende conto di entrare in una delle aree protette più antiche d’Italia. Siamo nel selvaggio Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, nel cuore del centro Italia.
Dimenticandoci del turbinìo della città da dove arriviamo, ci tuffiamo in questo paesaggio naturale e sentiamo – quasi senza preavviso – una presenza singolare. È quella del grande mammifero che qui è di casa, l’orso bruno marsicano.
È facile notare, percorrendo le strade a curve che ci introducono al parco, i numerosi cartelli arancioni che invitano a rallentare perché chi potrebbe attraversare quella strada è proprio lui, l’orso. Facendoci subito capire che in questi luoghi l’ospite siamo noi e che la vita di chi popola questo territorio è strettamente legata alla storia di questo iconico plantigrado.
Ognuno di noi qua ha qualcosa che lo lega agli orsi
Umberto Esposito, Wildlife adventures
Nel viaggio alla scoperta del parco ci accompagnano persone che dedicano la loro vita alla protezione di questo scrigno di biodiversità unico e che con passione ci raccontano l’evoluzione della convivenza tra essere umano e natura. Come Umberto Esposito, fondatore di un’organizzazione che promuove la scoperta del territorio attraverso attività escursionistiche, Wildlife adventures, che è stato nostra guida, e narratore, di questo angolo di Appennino centrale. Si comincia da Pescasseroli, cuore dell’area protetta, in provincia de L’Aquila.
L’orso bruno marsicano nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise
Questo parco nazionale, che sta per spegnere le cento candeline, è la casa dell’orso bruno marsicano: la specie non si trova da nessun’altra parte al mondo e per questo è il simbolo del parco. Si stima ce ne siano circa 60, un numero che ancora la rende una specie a rischio critico di estinzione secondo la lista rossa dell’Unione mondiale per la conservazione della natura (Iucn), ma sono numeri che danno speranza se paragonati alla situazione di qualche decennio fa.
“Il 2019 conferma il trend positivo dei tre anni precedenti, portando le nascite a un totale di ben 54 cuccioli nati in quattro anni, numeri mai registrati prima, che testimoniano la vitalità di questa popolazione che sta facendo di tutto per risollevarsi ed evitare l’estinzione”, ci spiega con tono entusiasta Luciano Sammarone, direttore Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, che ci ha dato il benvenuto a Pescasseroli raccontandoci vittorie e sconfitte di una storia iniziata con un regio decreto del 1923, anno di creazione dell’area protetta.
La storia della relazione tra essere umano e orso è centenaria, ma non sempre è stata “rose e fiori”. I paesi dell’Appennino centrale sono tradizionalmente stati popolati da agricoltori e allevatori che con le loro attività hanno modellato il paesaggio, lo hanno gestito, ma si sono anche scontrati con questo animale. In caso di pericolo percepito per il proprio lavoro, spesso gli incontri sfociavano in episodi di scontro, di bracconaggio. Proprio il bracconaggio è stato per molto tempo la minaccia principale alla specie ma, grazie all’istituzione del parco grazie a un regio decreto nel 1923, alle leggi di protezione e a una grande sensibilizzazione, è crollato significativamente. L’orso da preda è diventato risorsa. Dalla sua caccia si è passati alla sua tutela.
100 anni di parco significa esperienza, lotta e battaglie fatte sul territorio
Eppure, l’uomo rimane ancora la principale minaccia per l’orso bruno marsicano. Negli ultimi 50 anni le cause di morte sono state per il 21 per cento naturali, il 31 per cento di origine antropica (incidenti stradali, predazione, annegamento) e il 42 per cento di natura illegale (bracconaggio, avvelenamento, arma da fuoco). Questo significa che per oltre l’80 per cento dei casi la morte degli orsi è stata causata direttamente o indirettamente dall’uomo.
Salviamo l’orso
Come ci spiegano Angela Tavone e Mario Cipollone di Salviamo l’orso, associazione locale che lavora per la conservazione della specie e nata dopo un picco di bracconaggio tra il 2007 e il 2011, il primo passo per la sua tutela è la conoscenza. Per rispettare l’orso bisogna conoscerlo. Bisogna sapere che è un animale pacifico e soprattutto opportunista, tutt’altro che aggressivo, salvo in casi in cui si sente minacciato, come spesso accade con esemplari femmina con i propri cuccioli. Girovaga per i boschi e le montagne appenniniche a diverse altitudini in base a dove trova più cibo, avventurandosi a quelle più basse quando gli alberi sono pieni di frutta, di mele e ciliegie, di cui va ghiotto.
Siamo stati al punto di osservazione di Gioia Vecchio, puntando la sveglia quando ancora fuori era buio, per scrutare da lontano il fondo valle, sperando in una sua apparizione. Mentre i colori dell’alba tingevano i profili delle montagne di rosa pastello abbiamo visto la natura risvegliarsi, con caprioli e cervi che facevano capolino sui crinali davanti a noi.
Poco prima, sulla strada verso il punto di osservazione, ancora avvolti nel buio, abbiamo notato dei piccoli riflettori blu montati sui paletti a bordo strada. Servono per rifrangere le luci delle automobili che nelle ore notturne potrebbero disturbare e “accecare” la fauna selvatica di passaggio. O meglio, che il nostro passaggio disturbi le loro attività notturne. Questo è solo uno dei tanti interventi che servono per migliorare la coesistenza tra animali e specie umana ed evitare i conflitti.
La convivenza tra uomo e natura
Tra le attività di Salviamo l’orso c’è anche l’installazione di recinti elettrificati, per evitare le incursioni nelle attività agricole o di allevamento, c’è il miglioramento dell’habitat per constarne la frammentazione, e la sensibilizzazione della popolazione locale perché collabori in questo sforzo – dall’accorgimento di non lasciare rifiuti scoperti e di potare gli alberi e raccoglierne la frutta, perché se l’orso trova cibo si avventura tra le case, abituandosi alla presenza dell’uomo che non percepisce più come minaccia ma opportunità, instaurando un fenomeno chiamato abituazione. Proprio da qui arrivano le fotografie di orsi che passeggiano tra le case dei paesi sul far del buio, tanto iconiche quanto sbagliate dal punto di vista dell’etologia dell’animale.
Senza dimenticare, poi, il comportamento da adottare in caso di avvistamento, che deve essere mirato a non spaventarli. Perché le scene di macchine che inseguono orsi per fare un video sono ancora impresse nella memoria di chi le ha viste, così come le conseguenze pericolose che eventi come questi portano con sé, dagli incidenti fino al rischio di dividere la mamma dai cuccioli, un’eventualità non banale considerando che la sopravvivenza della nuova prole già si aggira attorno al 50 per cento in natura.
In natura quando si cerca l’equilibrio non è mai immediato
Vivere il parco come ospiti
Il rapporto tra conservazione e turismo è quindi fondamentale. Il territorio naturale unico nel suo genere attrae visitatori che, però, non necessariamente arrivano preparati e coscienti dell’impatto che la loro presenza può avere sulla fauna selvatica. Un esempio è stato il boom di visite registrato quest’estate dovuto all’impossibilità di viaggiare in posti lontani. Persone che “entravano nel parco aspettandosi di trovarsi in uno zoo”, come ci ha raccontato Sammarone, cercando ansiosamente il punto migliore per avvistare gli animali. Uno dei modi implementati per affrontare il problema e recare il minor disturbo alla vita selvatica è quello di limitare l’accesso ai sentieri che diventerebbero troppo battuti, permettendo di percorrerli solo a chi è accompagnato dalle guide locali autorizzate.
E così abbiamo fatto in compagnia di Nadia e Paola, due delle sette donne guardiaparco, su un totale di 37 nell’area. Ci hanno guidato in mezzo a una grande faggeta – le foreste ricoprono il 75 per cento della superficie del parco – dove abbiamo imparato l’importanza di ogni singola pianta come elemento essenziale all’interno dell’ecosistema. Grazie ad ogni tassello, che sia il tronco, un insetto, un frutto o un animale, l’intero ecosistema è in grado di sopravvivere e prosperare. Abbiamo riconosciuto il ramno e le faggiole, i frutti dei faggi, di cui si cibano gli orsi.
Nella comunicazione passa il messaggio dell’orso. Ma l’orso c’è perché ci sono le altre specie: dal coleottero al pruno agli impollinatori
Le donne guardiaparco
Lasciandoci alle spalle i faggi man mano che si diradano, ci avviciniamo alle cime più spoglie in direzione del rifugio Pesco di Iorio. Ogni passo è scandito da un bramito. Sono i cervi nel periodo dell’accoppiamento che si conquistano il proprio harem di femmine. Il parco è anche il luogo con una delle concentrazioni più alte di ungulati nel nostro paese: si stima che qui ci siano cinque cervi per chilometro quadrato. A quasi 2.000 metri immersi nei colori del tramonto, e armati di soli cannocchiali e binocoli, li abbiamo infatti ascoltati e ammirati, assistendo a uno scampato litigio tra due maschi che si contendevano un harem di quasi venti femmine.
L’avvistamento e la conta degli esemplari sono un compito fondamentale per un guardiaparco. Vediamo infatti Nadia e Paola scrutare sapientemente l’orizzonte e ogni crinale che ormai conoscono come casa. “Tutte le guardie sono native: conosciamo gli animali e le persone del luogo, ma a volte è difficile far capire al vicino che sta facendo qualcosa che non va bene”. Il controllo degli abusi è l’altro volto del loro lavoro, forse quello meno piacevole e addirittura quello che ritengono meno utile: “La conservazione si fa con la prevenzione e con la comunicazione. La repressione dei reati, intesa come sanzioni, non serve. Quando arriviamo noi è già troppo tardi, ormai il danno è fatto. Bisogna arrivare prima”.
La conservazione si fa con la prevenzione e con la comunicazione. Quando arriviamo noi è già troppo tardi, ormai il danno è fatto.
In questi racconti sui loro volti compare un po’ di stanchezza, a tratti frustrazione, ma quello che emerge più di tutto è la passione e l’amore per la natura in cui sono cresciute. “È un lavoro fisicamente difficile. Ma non lo cambierei per niente al mondo. Siamo cocciute, siamo determinate, siamo toste. Ci vogliono più donne in questo settore”.
Innamorarsi del Parco nazionale d’Abruzzo
Non solo chi ci è nato e cresciuto ama questo posto incondizionatamente. Abbiamo ascoltato molte storie di gente che è venuta, ha fatto un giro e se ne è innamorata. Uno di questi è l’ambientalista e filantropo Paul Lister – che abbiamo “incontrato” attraverso uno schermo a Pescasseroli – che anni fa ha visitato il parco avventurandosi con Mario di Salviamo l’orso tra i suoi boschi e le sue cime, rendendosi conto dell’unicità del luogo, che andava preservato.
Così con la sua organizzazione European nature trust (Tent) ha deciso di aiutare Salviamo l’orso, sostenendolo nelle azioni per la salvaguardia dell’orso bruno marsicano e del suo habitat. Forte dei progetti di rewilding avviati in Scozia, in Romania e Spagna, supporta una delle azioni più importanti dell’ong abruzzese, ovvero l’obiettivo di espandere la presenza dell’orso nelle aree prossime al parco – le cosiddette Zone di protezione esterna che si estendono per oltre 80mila ettari –, grazie all’instaurazione di corridoi biologici e contrastando la frammentazione dell’habitat.
Siamo parte della natura, non siamo separati. Se ci prendiamo cura dell’orso, ci prendiamo cura dell’ambiente. È una vittoria su tutti i fronti.
L’altro cuore pulsante del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, oltre a quello selvaggio, è quello tradizionale dei suoi borghi: da Villetta Barrea a Civitella Alfedena. Luoghi ricchi di storia che hanno mantenuto il loro aspetto più antico rimanendo perfettamente integrati al contorno naturale del parco, situandosi proprio al suo interno. E qui infatti si trova l’azzurro lago di Barrea che riflette le montagne circostanti, che abbiamo visitato in e-bike, e si trovano i centri visita del parco dedicati a rapaci e lupi, per avvicinare in maniera consapevole le persone in visita al parco.
Il richiamo del parco
E sono proprio le persone, qui, a tenere vivo il senso più profondo del parco. Da chi si è allontanato per un po’ ma poi ha sentito il richiamo più forte ed è tornato per dedicarsi alla sua tutela, chi ha costruito una vita lontana ma non sapendo fare a meno di questi luoghi ha creato una linea di profumi e creme per racchiuderne l’essenza. Chi ha creato una galleria d’arte a cielo aperto con opere legate al mondo naturale da ammirare visitando l’area protetta – Arteparco – e chi con passione e dedizione ogni giorno accompagna e insegna l’unicità del parco a chi è di passaggio, come noi.
Ai tanti che all’orso marsicano pensano come il signore dei nostri boschi e tornano a casa soddisfatti anche quando non lo hanno visto, a tutti coloro che per mestiere o per passione dedicano tempo e attenzioni vere alla specie e al suo territorio, un grazie di cuore per il supporto e l’impegno.
In questa avventura alla fine l’orso noi non l’abbiamo visto, seppur sia sempre stato presente – testimoni le tracce e gli escrementi trovati sui sentieri dalle guide che si scambiavano messaggi istantanei ogni momento del giorno per eventuali avvistamenti –, ma forse è stato meglio così. Perché l’incontro con l’orso è giusto che sia così, da lontano, cercato con il cannocchiale, inseguito sulle sue orme. Perché l’importante non è incontrarlo, ma saperlo al sicuro, con la consapevolezza che ha ancora bisogno di tutto il nostro aiuto per sopravvivere.
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