Presentato oggi il programma estivo del Casilino Sky Park che proporrà cinema, teatro, concerti, presentazioni e musica elettronica con proiezioni video.
Orticanoodles, come la street art cambia volto alle città
Dai poster abusivi degli anni ’90 ai murales che trasformano i quartieri in musei a cielo aperto. Gli Orticanoodles aprono le porte del loro laboratorio per raccontarci la rivoluzione della street art.
Un mazzo di fiori di trecento metri quadrati dipinto su un condominio di Quarto Oggiaro. Una foresta di magnolie che corre lungo i quattrocento metri quadrati di un’associazione per disabili al Giambellino. I volti sorridenti di Gino Bartali, Sandro Mazzola, Alexander Fleming, Liliana Segre, Giorgio Gaber, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e di molti altri protagonisti della storia recente, disseminati sulle pareti di Milano. Sono solo alcuni dei trenta murales con cui il collettivo artistico Orticanoodles, composto da Walter Contipelli “Wally” e Alessandra Montanari “Alita”, ha riempito oltre 15mila metri quadrati di muri della città.
Una galleria di opere d’arte che testimonia la rivoluzione artistica avvenuta in questi anni nel campo della street art e del muralismo e che trova il suo emblema all’Ortica, storico quartiere della città di Milano (cantato anche da Enzo Jannacci e Nanni Svampa) dove il duo artistico ha la sua base operativa dal 2004 (e a cui, ovviamente, deve il suo nome).
Ed è proprio qui, nel laboratorio di via Pitteri, che incontriamo i due artisti, per farci raccontare la loro storia e scoprire dove nascono i progetti che in questi anni li hanno portati a valicare i confini nazionali (fino alla Cina e agli Stati Uniti) e a diventare una delle firme italiane di muralismo più note nell’ambito dell’arte urbana.
Un percorso che è segno del rivoluzionario cambio di rotta che ha sdoganato la street art dall’etichetta di arte illegale da contrastare, promuovendola a preziosa alleata delle istituzioni nei processi di valorizzazione dell’ambiente urbano. Tanto che oggi gli street art tour rientrano di diritto tra le proposte turistiche della città. Dopo la visita al Duomo e al Cenacolo, scoprire Milano nel 2021 significa anche passare per l’Ortica.
Nel laboratorio degli Orticanoodles
All’Ortica, Wally e Alita sono delle celebrità. Le loro opere sono un po’ ovunque. Merito soprattutto del progetto Or.Me – Ortica Memoria, grazie al quale gli Orticanoodles hanno potuto realizzare un’impresa unica: dipingere il primo quartiere museo del mondo, dedicato alla storia e ai protagonisti del Novecento e, in modo speciale, a Milano. L’iniziativa, nata spontaneamente nel 2015, grazie all’impegno di associazioni no profit e alla collaborazione attiva di cittadini e istituzioni, ha già portato alla composizione di diciassette murales.
Uno degli ultimi, Il Duomo dell’Ortica, svetta proprio di fronte al laboratorio dei due artisti e immortala l’interno della cattedrale milanese, le sue guglie e una versione alta venti metri della Madonnina. “Probabilmente la più grande mai dipinta”, ci spiega con orgoglio Wally, mentre ci guida nel laboratorio. L’aspetto è quello di una casa-bottega, dove il confine tra lavoro e quotidianità non c’è. Una cucina, un divano, enormi tavoli, scrivanie e un’infinità di attrezzi del mestiere, dai rulli ai maxi plotter per la realizzazione delle matrici degli stencil, la tecnica utilizzata dagli artisti per le loro opere. Sulle pareti sono appoggiati pannelli e opere pronte per essere consegnate. Quello che si respira è un fermento continuo, in cui l’estro creativo va a braccetto con una progettualità rigorosa e stimolante. E che non conosce orari.
Una cosa a cui non si pensa mai è proprio la fatica, anche fisica, che sta dietro questo tipo di lavoro. “Bisogna stare ore sulle piattaforme, spesso al freddo, senza guanti e trasportando pesanti secchi di vernice”, ci spiega Alita, mentre ripercorriamo le tappe del suo sodalizio artistico con Wally, iniziato sui banchi dello Ied di Milano più di vent’anni fa.
La poster art degli anni ’90
“Nel nostro background c’è la street art milanese di fine anni ’90, con tutta la sua cultura di riferimento legata soprattutto alla poster art”, ci racconta Wally. “In quegli anni a Milano si erano diffusi poster di grande formato, che spesso comparivano al secondo o terzo piano degli edifici. Era qualcosa di sorprendente e destabilizzante, perché occupavano spazi generalmente non utilizzati dal writing e dalla street art, senza però commettere reati gravi (di danneggiamento o deturpamento), ma incorrendo al massimo in una sanzione amministrativa di affissione abusiva”.
La prima immagine associata al duo, diffusa su sticker e poster, attraverso una vera e propria campagna di guerriglia urbana creativa, è quella di un volto in cui si può individuare l’icona di Cristo con gli occhi rivolti al cielo. L’icona diventa il logo artistico della coppia, che sceglie il proprio nome, Orticanoodles, come combinazione perfetta del quartiere di adozione e della similitudine tra la proliferazione dell’omonima pianta infestante e l’arte di strada. L’idea dei noodles è venuta per connotare un’italianità da esportare anche all’estero, “suonava bene, anche se tanti non lo capiscono e lo pronunciano male”.
Nei primissimi anni di attività Wally e Alita fanno anche parte di una crew chiamata Tso (trattamento sanitario occulto). “All’inizio facevamo comunicazione un po’ nonsense”, prosegue Wally. “Avvicinavamo immagini di più tipi per destabilizzare le logiche dei contesti urbani, dove tutto è molto vincolato alla comunicazione pubblicitaria, alle insegne commerciali, alla segnaletica”. Ecco allora comparire accanto ai manifesti pubblicitari composizioni che affiancavano Madonne bizantine ad Arnold della celebre serie tv anni ’80 e immagini di un pollaio. Vere e proprie campagne anti-pubblicità.
Il nostro fare non è mai stato legato alla contestazione o all’adrenalina del gesto illegale. Il poster per noi era solo un mezzo per sviluppare la nostra ricerca pittorica e artistica.
La rivoluzione della street art
Nel giro di qualche anno la propaganda produce i suoi effetti e l’immaginario pop del duo varca i confini nazionali, aprendo le porte di festival importanti, come il celebre Cans Festival a Londra organizzato da Banksy nel 2008. Una svolta fondamentale per gli Orticanoodles, come ricorda Wally: “Con questi festival siamo riusciti a dare un valore sociale a quel messaggio che prima era prettamente artistico”. Un’ambizione che la coppia coltivava fin dagli inizi, ispirandosi “ai muralisti dei primi del Novecento messicani, come Diego Rivera e David Alfaro Siqueiros”.
La svolta decisiva arriva negli anni in cui Milano è guidata dal sindaco Giuliano Pisapia (2011-2016) e le istituzioni decidono di cambiare radicalmente rotta. “L’atteggiamento repressivo nei confronti dell’arte urbana si è trasformato in valorizzazione”, spiega Wally, “tanto che l’assessore ai Lavori pubblici di allora, Carmela Rozza, assunse il mandato per gestire quella che è stata definita la rigenerazione urbana della città”.
È l’inizio di un processo di sdoganamento del muralismo, che aprirà un nuovo scenario per la città e per la street art. I primi ingaggi degli Orticanoodles sono lavori di riqualificazione. “Venivamo chiamati per mettere delle toppe in luoghi ammalorati, come i sottopassaggi.” Da lì il passaggio a forme di pubblicità artistica, che oggi vedono i brand assumere il ruolo di mecenati moderni. “Nel momento in cui le istituzioni si sono disposte al dialogo, sono entrati in gioco altri player e si sono instaurati altri meccanismi.” Tra gli ingaggi nati in questo solco ne arriva anche uno da record, quello con cui gli Orticanoodles (con una squadra di mille persone) realizzano Il giro del mondo in 50 piani, sui 2.980,59 metri quadrati della Torre Allianz di City Life. Un’impresa che permette ad Allianz Italia e alla Fondazione Allianz Umana Mente di conquistare il Guinness world record per il più grande murale del mondo lungo le scale di un edificio.
Oggi l’arte degli Orticanoodles occupa spazi sempre più importanti in città, tanto da entrare nell’iconografia dei quartieri e modificarne persino la toponomastica.
A Massa abbiamo dipinto dei narcisi sulla facciata dell’ex mercato comunale. Da allora anche su Google quella è diventa Piazza dei narcisi.
L’arte democratica e partecipata
A legare quella iniziale forma d’arte spontanea, ribelle e totalmente libera e i lavori attuali degli Orticanoodles, che oggi collaborano regolarmente con istituzioni e aziende, è il concetto di una “fruizione più democratica dell’arte”. Un filo conduttore importante per gli artisti, che spiegano: “Noi non attribuiamo i valori artistici attraverso categorie precostituite, quindi musei e luoghi sacri, ma vogliamo portare la ricerca artistica nella vita di tutti i giorni e avere un linguaggio che parli a tutti e non solo a chi possiede un determinato patrimonio culturale e di conoscenza”.
Un concetto che fa il pari con quello di arte partecipata, che Wally e Alita portano avanti da un decennio, insegnando la propria tecnica e coinvolgendo attivamente artisti, studenti, disabili e persone comuni nella preparazione e nella realizzazione delle opere. “Attraverso processi di semplificazione anche persone non esperte possono raggiungere buoni risultati e la partecipazione attiva porta a un’appropriazione collettiva dell’opera”.
La street art, insomma, non solo valorizza i luoghi, trasforma le città in musei e i muri in strumenti di memoria, ma si fa anche potente mezzo di coesione sociale.
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