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Oscar Farinetti. Dobbiamo ricominciare a oziare, per un mondo più sostenibile
Green Pea, il primo green retail park d’Italia, ha un intero piano dedicato all’ozio creativo. Ci spiega perché il suo fondatore, Oscar Farinetti.
È arrivata l’ora, per gli imprenditori, di dare vita a una vera e propria rivoluzione sostenibile dei consumi. E per farlo, bisogna restituire valore al pensiero e all’ozio creativo, come lo intendevano gli antichi. È questo il parere di Oscar Farinetti, il patron di Eataly che ora si è imbarcato in una nuova, stimolante avventura realizzando il primo retail park sostenibile d’Italia, Green Pea. Lo abbiamo incontrato – anche se solo virtualmente – per farci raccontare nel dettaglio il suo progetto.
Com’è nata l’idea di Green Pea?
Tutte le idee di un imprenditore nascono dall’analisi dello scenario per vedere se ci sono opportunità commerciali in linea con le future aspettative del pubblico, cui segue la costruzione progettuale. Se sbagli l’analisi, vai nella direzione sbagliata, e qualsiasi costruzione progettuale fallirà. Con Green Pea ho seguito lo stesso processo: ho osservato lo scenario. Il 90 per cento degli scienziati ci dice che se non cambiamo il modo di produrre energia andremo a sbattere contro un muro, dato che i cambiamenti climatici dipendono dai combustibili fossili, che producono troppa CO2. Ci troviamo di fronte a un dilemma: dovremmo smettere di consumare e cercare la decrescita felice, oppure dovremmo consumare meglio, cioè prodotti realizzati in armonia con l’acqua, con la terra e con l’aria, utilizzando magari energia rinnovabile? Per me, la risposta giusta è la seconda. Così, abbiamo deciso di costruire un grande luogo in cui vendere prodotti realizzati secondo questa logica.
Cosa ha ispirato il nome Green pea e lo slogan from duty to beauty?
Il nome è una metafora. Il pisello è l’unico cibo completamente sferico, e rappresenta la Terra. Ed è verde, perché è così che vorremmo il nostro pianeta. Il payoff “from duty to beauty” è lo spirito con cui affrontiamo questo tema. Crediamo che per risolvere la situazione il prima possibile, il senso del rispetto per l’ambiente e le persone debba trasformarsi da “dovere” in “piacere”. Assumere atteggiamenti sostenibili deve servire a piacere di più a noi stessi e agli altri, non a imporci un sacrificio. La logica è: mi comporto in modo sostenibile perché mi sento “figo” a farlo, a fare la raccolta differenziata, a indossare una camicia realizzata con 50 litri d’acqua e non 2.700, ad avere mobili realizzati in legno da foreste FSC certificate, e così via.
In Green Pea c’è un intero piano dedicato all’ozio, l’Otium Pea club. Qual è il significato profondo di questo tema per lei?
È un ozio dei Romani che copiano i Greci. Quando i Romani, che erano potenti, ma un po’ “buzzurri”, hanno conquistato Corinto nel 146 a.C., sono stati a loro volta conquistati dalla cultura e dalla filosofia greca. All’ombra dell’Acropoli di Atene, già da secoli si esercitava quello che Domenico De Masi chiama “ozio creativo”. Filosofi come Socrate, Platone, Aristotele e il politico Pericle hanno cambiato il pensiero degli umani, ci hanno spinti a ragionare sulla nostra stessa esistenza esercitando proprio questo tipo di ozio creativo, che i greci chiamavano “scholé”, da cui tra l’altro deriva anche il termine scuola. La loro attività era pensare. Oltre a questi pochi, c’erano poi migliaia di persone che lavoravano con le mani e che esercitavano il contrario dell’ozio, quello che i latini chiamavano appunto nec-otium, da cui “negozio”. Ispirandomi a questo, dopo quattro piani di negozio, ho voluto dedicare l’ultimo piano di Green Pea all’ozio. Qui le persone si possono incontrare, oziare, ma anche raccontare le proprie idee creative tramite l’apposita app per cellulare che abbiamo realizzato.
Secondo lei, questo concetto di ozio può aiutarci ad andare verso un mondo più sostenibile?
Sì, dobbiamo ricominciare a pensare, a studiare, a migliorare. I prodotti e i servizi sono il risultato di una filiera fatta di sentimenti, parole, pensieri, comportamenti e azioni. Dobbiamo fermarci un attimo. Leggere un libro può essere considerato oziare, ma in realtà significa lavorare, perché la lettura ci migliora. Per questo, al penultimo piano abbiamo costruito una grande libreria, con un cartello che la introduce e su cui abbiamo scritto: “Chi non legge è complice”. È pazzesco pensare che l’Italia, dove è nato il Rinascimento, sia al 23esimo posto su 27 paesi dell’Europa per lettura. Se continuiamo a non leggere e a guardare solo certi canali TV, è chiaro che non possiamo migliorare e cambiare i nostri comportamenti. Può sembrare strano che il suggerimento provenga da un mercante. Però è arrivato il momento – e anche questo è frutto dell’analisi – che ad entrare in scena a parlare di sostenibilità siano gli imprenditori. Non possiamo lasciare questi argomenti solo agli scienziati e agli intellettuali: dobbiamo fare un passo in più. Bisogna prendere atto che il fulcro di tutto siamo noi imprese. Quindi siamo noi imprese che abbiamo il compito di raccontare la sostenibilità alla gente. È così che si produce il cambiamento.
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