Sentiamo ripetere da mesi che la pandemia ha innescato la peggiore crisi economica dal secondo dopoguerra; molti questa crisi la stanno vivendo in prima persona, considerata l’ondata di nuovi poveri che affollano i servizi assistenziali sul territorio. Questa recessione però impallidisce se paragonata a quella che ci attende se resteremo inermi di fronte alla crisi climatica. Lo sottolinea l’organizzazione umanitaria Oxfamcitando i dati elaborati da Swiss Re Institute, il centro di ricerca che fa capo all’omonimo gruppo assicurativo.
Una recessione profonda, ma destinata a finire
A causa della pandemia, le economie dei paesi del G7 – Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Canada, Italia e Giappone – si sono contratte in media del 4,2 per cento. Il costo umano è stato ingente. Per fare soltanto un esempio, nel mese di aprile 2020 il tasso di disoccupazione negli Usa è schizzato fino al 14,7 per cento, con un crollo verticale per le occupazioni a basso reddito (-33,9 per cento rispetto allo stesso mese del 2019) e più contenuto, ma comunque consistente, per quelle a medio reddito (-14,1 per cento). Ora le cose vanno un po’ meglio, con oltre 900mila posti di lavoro nel solo mese di marzo 2021. Al di fuori di questo caso specifico, gli analisti prevedono che la normalità possa ristabilirsi piuttosto in fretta, anche grazie ai poderosi pacchetti di aiuti varati dai governi, come il Next Generation Eu europeo.
Crisi pandemica e crisi climatica a confronto
Anche icambiamenti climaticitravolgeranno le nostre attività in molti modi, dal calo della produttività agricola alle città minacciate dall’innalzamento del livello dei mari, fino all’intensificarsi degli eventi meteo estremi. Dati alla mano, in assenza di azioni più incisive per contrastare il riscaldamento globale, per le nazioni del G7 è previsto un crollo del pil dell’8,5 per cento all’anno da qui al 2050. Praticamente il doppio di quello dovuto alla pandemia, per un controvalore di 4.800 miliardi di dollari mandati in fumo. C’è di più, perché questa crisi è destinata a durare; non è previsto nessun rimbalzo.
Da qui l’appello di Oxfam ai leader che si riuniranno da venerdì 11 giugno in Cornovaglia per il G7. “Le motivazioni economiche per l’azione per il clima sono chiare. Ora serve che i governi del G7 agiscano in modo incisivo nei prossimi nove anni per tagliare le emissioni e incrementare la finanza climatica”, sostiene Max Lawson, a capo delle politiche per la disuguaglianza di Oxfam.
I paesi più poveri sono anche più esposti alla crisi
Lo studio del Swiss Re Institute proietta le conseguenze dei cambiamenti climatici su 48 paesi, e per ciascuno di essi prevede un tracollo dell’economia. In proporzione quelli del G7 appaiono quasi privilegiati, visto che per l’India è prevista una contrazione dell’economia pari al 27 per cento entro il 2050, per le Filippine del 35 per cento. Per Australia, Sudafrica e Corea del Sud si stima, rispettivamente, un calo del pil pari al 12,5, al 17,8 e al 9,7 per cento.
LONG READ: Without global efforts to reduce emissions and to help the world’s poorest people cope with the effects of climate change, drought and humanitarian disasters will continue to repeat themselves in developing countries.https://t.co/vUsvWNoy8l
“Il dissesto economico previsto nei ricchi paesi del G7 è solo la punta dell’iceberg: molte parti più povere del mondo vedranno aumentare i decessi, la fame e la povertà come risultato del meteo estremo”, continua Lawson. Oxfam in un precedente rapporto ha già fatto notare che nell’arco di appena nove mesi i patrimoni delle mille persone più facoltose del Pianeta sono già tornati ai livelli del pre-Covid; le fasce più povere ci metteranno almeno dieci anni. Secondo la Fao, l’organizzazione Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, 132 milioni di persone in più rischiano di soffrire la fame a causa della pandemia. “Quest’anno potrebbe essere un punto di svolta se i governi cogliessero la sfida di creare un Pianeta più sicuro e più vivibile per tutti”, conclude Lawson.
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