100 miliardi di dollari l’anno in finanza per il clima a sostegno dei paesi in via di sviluppo. Sono passati più di dieci anni da questa promessa, che – sostiene Oxfam – è ancora in larga parte disattesa.
Cop15 di Copenaghen, dicembre 2009. Una Conferenza sul clima tanto attesa quanto deludente. Le due settimane di negoziati sfociano in un generico accordo politico per contenere l’aumento delle temperature globali entro i 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, senza porre però alcun vincolo sulle modalità. Nell’occasione, però, i paesi industrializzati si impegnano anche a sostenere quelli in via di sviluppo, chiamati a ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi all’impatto dei cambiamenti climatici. La somma messa sul piatto è cospicua: si comincia con 30 miliardi di dollari nel primo triennio, ma entro il 2020 bisognerà mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno. Sono passati 11 anni e la scadenza del 2020 è scattata. I 100 miliardi annui di finanza per il clima, invece, sono ancora lontani. A tracciare un quadro della situazione è un nuovo report pubblicato dall’organizzazione non governativa Oxfam.
NEW REPORT: Over a decade ago, rich countries committed to mobilize $100 billion/year in climate finance to help developing countries deal with #ClimateCrisis…
But donors are over-reporting: the true value may be just 1/3 of that reported.
Cominciamo con i numeri. Stando alle rendicontazioni ufficiali, i finanziamenti internazionali pubblici per il clima sono passati dai 44,5 miliardi di dollari l’anno del 2015-2016 ai 59,5 miliardi del 2017-2018. In ascesa, dunque, ma ancora ben al di sotto della soglia stabilita. Il vero problema, sostiene però Oxfam, è che le cifre riportate dai governi sono al lordo.
Appena il 20 per cento di questa somma infatti è erogato sotto forma di sovvenzioni. Il loro volume è rimasto pressoché inalterato, passando dagli 11 miliardi di dollari annui del 2015-2016 ai 12,5 miliardi del 2017-2018. Viceversa, si fa ricorso in modo sempre più massiccio ai prestiti agevolati e ad altri veicoli finanziari: valevano 18,5 miliardi all’anno nel 2015-2016, sono arrivati a 22 nel 2017-2018. Peggio ancora, nell’ultimo biennio considerato il 40 per cento dei finanziamenti è stato erogato a condizioni non agevolate. Al totale bisogna quindi sottrarre i tassi d’interesse, le quote che i beneficiari dovranno restituire e tutti gli altri costi correlati. “Le nazioni e le comunità più povere del mondo non dovrebbero essere obbligate a indebitarsi per proteggersi dalle troppe emissioni di CO2 generate dai paesi ricchi”, si legge nello studio.
In the #WorldWeWant, vulnerable countries get sufficient climate finance support but @Oxfam finds that:
📈80% are mostly loans driving poorer countries into debt 📊True value only about 1/3 as many donors over report 📉Only 3% went to small island stateshttps://t.co/20SEnk13pGpic.twitter.com/Qrl4cozhFy
— Climate Action Network – International (CAN) (@CANIntl) October 21, 2020
La finanza per il clima è ancora insufficiente
C’è un secondo motivo per cui le cifre ufficiali, secondo Oxfam, sono gonfiate. “Ci sono anche rilevanti inesattezze nel modo in cui viene conteggiata la componente legata al clima all’interno dei più vasti progetti di sviluppo”, sostiene. In altre parole, se si va a ricostruire con precisione la destinazione finale dei finanziamenti, si scovano anche iniziative che sfiorano il clima solo di sfuggita.
Alla fine di tutti questi calcoli, l’ong arriva a stimare la cifra netta che i paesi in via di sviluppo hanno realmente a disposizione. Una cifra che è molto, molto più bassa dei 59,5 miliardi annunciati: appena 19-22 miliardi di dollari l’anno nel 2017-2018. Ed è cresciuta ben poco rispetto al biennio 2015-2016, quando ammontava a 15-19,5 miliardi l’anno.
La mitigazione per ora vince sull’adattamento
L’umanità può reagire ai cambiamenti climatici in due modi. Il primo è la mitigazione, che contrasta sul nascere le cause del riscaldamento globale. Installando un impianto fotovoltaico, per esempio, si produce energia senza bruciare combustibili fossili, che rilasciano in atmosfera i gas serra. L’adattamento invece parte dal presupposto per cui la crisi sia già in corso e l’umanità debba sfoderare la propria resilienza. Un sistema di allerta per i cicloni tropicali è una misura di adattamento, perché consente alla popolazione di mettersi in salvo e, così facendo, limita i danni. Secondo la Global commission on adaptation guidata da Bill Gates, Ban Ki-moon e Kristalina Georgieva, si tratta di politiche vantaggiose anche a livello economico. Un investimento di 1.800 miliardi di dollari in questo decennio potrebbe fruttare 7.100 miliardi in benefici economici netti.
Questi due approcci non sono alternativi ma complementari tra loro, tant’è che l’Accordo di Parigi chiede esplicitamente di orientare i flussi finanziari in entrambe le direzioni, raggiungendo un equilibrio. Ad oggi, però, la bilancia pende dal lato della mitigazione, che assorbe il 66 per cento dei finanziamenti, contro il 25 per cento dell’adattamento (che è comunque passato dai 9 miliardi annui del 2015-2016 ai 15 miliardi del 2017-2018). Un altro 9 per cento ricade su progetti trasversali.
Stati isola, le vittime dimenticate della crisi climatica
Gli stanziamenti risultano sbilanciati anche a livello geografico. Basandosi sui dati Ocse, Oxfam stima che tra il 2017 e il 2018 soltanto il 20,5 per cento del totale sia stato indirizzato ai Ldcs, i 47 paesi a minor livello di sviluppo identificati dall’Onu; si trovano tutti tra Africa e Asia, con le sole eccezioni di Haiti (America), Kiribati, Isole Salomone, Tuvalu e Vanuatu (Oceania). Ancora più striminzita – appena il 3 per cento del totale – la quota che spetta ai Sids, i 38 piccoli stati insulari in via di sviluppo. Per giunta, la maggioranza degli aiuti a queste due categorie è stata concessa sotto forma non di sovvenzione, bensì di prestito e altri finanziamenti non agevolati.
Stiamo parlando delle vere vittime. Paesi che hanno contribuito poco o per nulla alle emissioni di gas serra, e che – per una combinazione di povertà, conformazione geografica, isolamento – sono pressoché disarmati di fronte a uragani, siccità, innalzamento del livello dei mari e altri fenomeni naturali sempre più intensi e frequenti. Nel 2017 la comunità internazionale ha voluto dare un segnale forte, assegnando la presidenza della Cop 23 alle isole Fiji, anche se lavori si sono svolti a Bonn, in Germania, per ovviare alle criticità di tipo logistico. A giudicare dai dati, però, sembra che finora il risultato sia stato poco più che simbolico.
Quando la finanza per il clima funziona davvero
Per dare un’idea più precisa del potenziale rivoluzionario della finanza per il clima, Oxfam propone alcuni esempi virtuosi. Come il Programma di adattamento per l’agricoltura su piccola scala (Asap) che è stato lanciato nel 2012 dal Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad). Grazie al sostegno di dieci partner, l’iniziativa ha raccolto 300 milioni di dollari che sono stati reinvestiti in una serie di programmi per l’analisi puntuale del rischio climatico, la pianificazione di metodi di coltivazione più resilienti, il rafforzamento della collaborazione tra il settore pubblico e quello privato, il coinvolgimento degli agricoltori nella definizione delle politiche pubbliche, la partecipazione attiva delle donne. Ne hanno beneficiato otto milioni di piccoli coltivatori in 43 paesi.
Sul fronte dell’empowerment femminile e dell’uguaglianza di genere, il modello da seguire secondo il report è l’Alleanza globale per l’azione verde e di genere (Gagga), che oggi riunisce 14 fondi dedicati alle donne, 5 fondi per la giustizia ambientale, 44 ong e 418 gruppi della società civile in oltre trenta paesi. Dal 2016 al 2019 il network ha erogato 7,87 milioni di euro sotto forma di 1.141 sovvenzioni, indirizzate soprattutto a organizzazioni locali guidate da donne.
Realtà come la salvadoregna Colectiva feminista para el desarrollo local, che ha promosso il referendum nella comunità di Suchintoto per riconoscere l’acqua tra i diritti umani. È anche grazie a questo precedente se, il 15 ottobre 2020, l’assemblea legislativa dello Stato ha approvato all’unanimità una modifica alla Costituzione che sancisce il diritto all’acqua come bene comune. Un bel passo avanti, che dovrà però essere ratificato dalla prossima legislatura.
Gagga è scesa anche al fianco delle pescatrici di Kelkhom, in Senegal, in prima linea contro la centrale elettrica a carbone di Sendou. Grazie al supporto internazionale, sono riuscite a incontrare i rappresentanti della società energetica statale e le istituzioni, per offrire una testimonianza diretta del devastante impatto che la centrale avrà sul territorio e sui loro mezzi di sussistenza.
Verso la Cop 26 di Glasgow
“La finanza internazionale per il clima”, scrivono gli autori del report, “in molte circostanze, in molti paesi, è ciò che rende possibile l’azione”. Sarà uno dei temi chiave della Cop 26 di Glasgow, che era in programma a novembre 2020 ma è stata rimandata di un anno a causa dell’emergenza sanitaria. In tale occasione, infatti, la comunità internazionale stabilirà con certezza se l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari l’anno sia stato raggiunto. Ma oltre al “se”, fa notare Oxfam ai potenti della Terra, quel che conta è il “come”. L’appello è quello di rendicontare questi flussi finanziari con un metodo più trasparente, che rispecchi “il loro reale valore per i paesi in via di sviluppo e il reale sforzo compiuto dai paesi industrializzati”.
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