Dall’ecoansia a sensazioni positive di unione con la Terra. Conoscere le “ecoemozioni” ci aiuta a capire il nostro rapporto con ciò che ci circonda e come trasformarle in azione.
I Paesi che investono in cultura hanno il Pil più alto
Lo scenario economico del paese condizionano le imprese, in particolare quelle che hanno lo Stato come primo cliente. Il governo dovrebbe premiare chi investe nella qualità, senza guardare solo al prezzo più basso. Parola di Chiara Nasi
Dal 1995 è in CIRFOOD, dove è entrata come Responsabile affari generali e legali. Chiara Nasi, Presidente e Amministratore Delegato una delle più importanti aziende di ristorazione italiana, guida un’impresa da più di 660 milioni di euro di ricavi 2017, che serve oltre 100 milioni di pasti l’anno grazie a più di 13mila dipendenti. Una situazione ancora non molto comune, in Italia. Per questo le abbiamo voluto chiedere qual è il suo approccio al lavoro.
Siamo in un contesto economico non facile per il nostro Paese: qual è la sua visione della situazione attuale?
Per un’impresa il cui principale cliente è lo Stato, la competitività è in gran parte condizionata dalle politiche attuate dal Governo. In uno Stato con un debito pubblico enorme, come l’Italia, è chiaro a tutti che la spesa pubblica deve diminuire, tant’è che le gare d’appalto sono ancora al massimo ribasso; ma come fa un’impresa che investe, che fa innovazione, che rispetta il lavoro, che rispetta l’ambiente, a essere competitiva in un settore che mortifica questi investimenti e premia solo il prezzo? O si snatura o combatte. Noi abbiamo scelto di combattere, abbiamo scelto di rendere accessibile a tutti il piacere e la qualità della nutrizione, frutto di un lavoro che dia dignità alle persone. Il cibo di qualità è un diritto e deve essere al giusto prezzo. È un impegno importante, profondo, ma noi ci crediamo e lo porteremo avanti. Il mio auspicio più grande è che questo venga compreso anche da chi ci governa, sostenendo fattivamente le tante imprese che hanno scelto la qualità. Purtroppo la ricerca di consenso e la breve durata dei nostri governi generano riforme di brevissimo termine che hanno solo un effetto placebo. Avere un governo di lungo respiro è indispensabile per poter progettare e attuare politiche di lungo periodo. Sebbene occorra tanta pazienza prima di vederne gli effetti, sono le uniche in grado di riprogettare l’Italia e riportarla in salute.
Alan Friedman, da voi invitato a tenere uno speech, ha illustrato la sua ricetta per la ripresa economica, imperniata sulla flessibilità: qual è la sua opinione al riguardo?
Un’impresa che sta sul mercato deve quotidianamente fare i conti con lo scenario economico che la circonda. Il mercato non è solo domanda e offerta di prodotti e servizi, ma è fortemente condizionato dalla politica del paese in senso lato: dalla crescita, dal debito del paese, dalle norme e dalla burocrazia. Ma anche e soprattutto dalla mentalità e dalla cultura dei suoi cittadini.
Ecco perché sono sempre più convinta delle scelte che ha fatto la nostra impresa per promuovere la cultura, aiutare le persone a essere consapevoli, ad avere opinioni proprie che le rendano libere nel pensiero. Da alcuni anni, anche attraverso eventi pubblici, divulghiamo temi legati al costo dell’ignoranza partendo da alcune analisi che hanno accertato che i Paesi che investono di più in cultura hanno un Pil più alto. Purtroppo, anche in questo l’Italia è un fanalino di coda.
Friedman ha parlato di produttività: in Italia si lavora di più e si produce meno. Secondo me, questa è una conseguenza della cultura di un Paese, in termini di mentalità, di tradizioni, di abitudini, di stili di vita. Dovremmo davvero abituarci a essere più efficienti e ridurre il nostro tempo lavoro. Purtroppo c’è un pregiudizio di fondo che non aiuta il Paese a fare questa svolta: la sensazione che “nonostante i maggiori sforzi, nulla cambi”. E qui veniamo alla meritocrazia, altro tema citato da Friedman. Introdurre sistemi premianti, dare opportunità di crescita a chi ha potenziale e lo merita è sacrosanto e noi lo facciamo, ma, allo stesso tempo non credo sia giusto fare una selezione naturale, bisogna saper includere anche i più fragili, infatti il nostro modello è quello di “premiare il merito senza lasciare indietro i più deboli”. Sarebbe bello che lo facessero tutti.
Quali sono i suoi consigli alle donne che vogliono trovare un corretto equilibrio tra vita privata e vita lavorativa? Quali azioni avete fatto per tradurre questa filosofia nella quotidianità di CIRFOOD?
La nostra è un’impresa “rosa”, il 90 per cento dei nostri dipendenti sono donne, soprattutto in produzione, ma con una buona rappresentanza anche nei ruoli apicali. Nonostante la maggior parte delle dipendenti lavori part time, nel nostro welfare aziendale cerchiamo di andare ulteriormente incontro alle esigenze familiari, per esempio con l’orario continuato nel primo anno di vita del bambino, con la possibilità di prendersi senza problemi giornate di ferie e permessi per l’inserimento a scuola del figlio, con la flessibilità oraria per il personale d’ufficio. Dare consigli non è semplice, perché dipende tanto dal ruolo che si ricopre e da come ognuno di noi lo vive. L’impresa garantisce ampia flessibilità, ma la persona che ha ruoli di responsabilità sente il dovere e vuole essere presente nei momenti decisionali, anche se a volte mal si conciliano con gli impegni familiari. Poi, ahimè, le responsabilità ti seguono ovunque, a casa, in vacanza ecc. e te ne fai carico, sempre…
Guardando alla sua giornata, si ritiene una persona “green”? Quali sono le sue abitudini virtuose?
Cerco di essere green nelle piccole cose: sono molto attenta alla raccolta differenziata, fin nei dettagli, per esempio separo la carta anche dalle buste con la cosiddetta finestra in plastica; non lascio scorrere l’acqua inutilmente dal rubinetto (anche quando mi lavo i denti); uso poco detersivo; bevo l’acqua dalle bottiglie in vetro… E tanto altro. Sono sicuramente piccole attenzioni, ma se lo facessimo tutti, i risultati sarebbero immediati e tangibili.
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