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La Norvegia scalza la Danimarca e si classifica prima nella lista dei paesi più felici del mondo stilata dalle Nazioni Unite. L’Italia è solo 48esima.
È stato pubblicato il 20 marzo, in occasione della Giornata mondiale della felicità, il World Happiness Report 2017. Il documento stila la classifica di 155 paesi in base al loro livello, appunto, di felicità. Il rapporto, curato dalle Nazioni Unite, ha incoronato la Norvegia. La nazione scandinava ha scalato tre posizioni rispetto allo scorso anno, spodestando la Danimarca (che era risultata prima in tre degli ultimi quattro anni). A completare il resto della top ten dei paesi più felici del mondo figurano, nell’ordine, la stessa Danimarca, e quindi Islanda, Svizzera, Finlandia, Paesi Bassi, Canada, Nuova Zelanda, Australia e Svezia. Gli Stati Uniti si classificano 14esimi, perdendo un posto dall’anno scorso. Mentre l’Italia è 48 esima, subito sotto all’Uzbekistan e poco meglio della Russia.
“Il Rapporto Mondiale sulla Felicità – ha spiegato Jeffrey Sachs, direttore del Sustainable Development Solutions Network – continua ad attirare l’attenzione mondiale sulla necessità di creare una saggia politica per ciò che conta di più per le persone: il loro benessere. Come dimostrato da molti paesi, questo rapporto prova che la felicità è il risultato della creazione di solide fondamenta sociali. È il momento di costruire fiducia e una vita sana, non pistole o muri. Responsabilizziamo i nostri leader in questo senso”.
La Norvegia ha potuto raggiungere il gradino più alto del podio, ha spiegato John Helliwell, docente dell’università della British Columbia, grazie alla decisione “di produrre petrolio responsabilmente e investendo i profitti a beneficio delle generazioni future. Così si è protetta dai volatili saliscendi di molte altre economie di paesi ricchi di petrolio. Questa enfasi sul futuro anziché sul presente è facilitata da elevati livelli di fiducia reciproca, obiettivi condivisi, generosità e buona gestione. Tutti elementi che si ritrovano in Norvegia, così come negli altri paesi in cima alla classifica”.
L’Onu, non a caso, ha posto da tempo l’accento sulla necessità di perseguire la felicità come obiettivo politico per i governi di tutto il mondo. Nel 2012, l’allora segretario generale delle Nazioni Unite aveva spiegato che il mondo ha bisogno di un nuovo paradigma economico che riconosca “il benessere sociale, economico e ambientale come beni indissociabili. Capaci, insieme, di definire il concetto di ‘Felicità lorda mondiale’”.
Gli avanzamenti effettuati negli ultimi anni sono stati riassunti in un rapporto redatto da un gruppo di ricercatori indipendenti. Uno dei paesi in assoluto più avanzati nel processo di riconoscimento della felicità quale elemento fondamentale per valutare la bontà dei sistemi economici e sociali nazionali è senz’altro il Buthan. Il governo della nazione asiatica ha infatti introdotto, già negli anni Settanta, l’indice di “Felicità interna lorda”, parafrasando il “Prodotto interno lordo” (Pil). L’idea è di sottolineare come il benessere di una popolazione non possa essere valutato unicamente sulla base di dati quantitativi.
Della questione si parla d’altra parte da parecchi decenni. Il 18 marzo del 1968, Robert Kennedy pronunciò un discorso all’università del Kansas, negli Stati Uniti, esprimendosi in modo fortemente critico nei confronti del Pil. Le sue parole, ancora oggi, vengono spesso ricordate da economisti e ricercatori: “Non troveremo mai un fine per la nazione – spiegò -, né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico. Nell’ammassare senza fine beni materiali. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base del Dow-Jones (l’indice della Borsa di New York, ndr), né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo. Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette. E le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana”.
“Il Pil – aggiunse il leader americano – mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per poi vendere prodotti altrettanto violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, di missili e di testate nucleari. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Non misura né il nostro acume né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza”. Ecco perché l’esistenza di una Giornata mondiale della felicità non deve essere presa sottogamba, né derubricata ad un mero esercizio simbolico. In fondo, tutte le azioni umane – dalla politica alla vita quotidiana di ciascuno di noi – dovrebbe tendere proprio a tale scopo: operare per cercare di aumentare il nostro benessere.
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