I maggiori scienziati esperti di biodiversità al mondo confermano: la strada più veloce per combattere le pandemie passa per la difesa degli ecosistemi.
C’è una sola specie responsabile della pandemia di Covid-19: noi. E per evitare epidemie future, ormai sempre più probabili, occorre agire sulla prevenzione, proprio per salvaguardare la salute umana. Come? Attraverso la tutela degli ecosistemi e della biodiversità. Riducendo agricoltura e allevamenti intensivi, sfruttamento indiscriminato di foreste e habitat naturali, commercio di fauna selvatica. È proprio ciò che serve, infatti, per evitare i contatti tra l’uomo e oltre un milione e 700mila virus sconosciuti, presenti in natura e nelle specie animali. È semplicemente questa la strada che, oltre a salvare milioni di vite umane, costerebbe ai governi almeno 100 volte meno rispetto all’impatto economico globale causato dalla Covid-19.
Sono queste le conclusioni del Pandemics report, documento frutto del lavoro collettivo di 22 scienziati riuniti dall’Intergovernmental science-policy platform on biodiversity and ecosystem services (Ipbes), organismo intergovernativo indipendente, riconosciuto dalle Nazioni Unite, che riunisce i massimi esperti mondiali di biodiversità. Consesso del quale fanno parte membri dell’Unep, il programma sull’ambiente delle Nazioni Unite, dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici) e dell’Organizzazione mondiale della sanità, le cui conclusioni e raccomandazioni rappresentano la sintesi di oltre 600 studi e report pubblicati in ambito scientifico nel corso del 2020.
🦠How do pandemics emerge? 💧What are the roles of land-use change & #wildlife trade? 🐠What can we learn from #nature?
22 leading experts examined these questions and many more.
— UN Environment Programme Europe (@UNEP_Europe) November 5, 2020
Covid-19: la sesta pandemia dopo l’influenza spagnola del 1918. Ma non sarà l’ultima
Secondo l’Ipbes, la pandemia originata dal coronavirus è la sesta a livello globale dopo l’influenza spagnola del 1918, ma non sarà un caso isolato. Anzi. Come per i cambiamenti climatici, occorre intervenire rapidamente, pena il raggiungimento di un punto di non ritorno. “Le stesse attività umane che guidano il climate change e la perdita di biodiversità determinano anche il rischio di pandemie, attraverso il loro impatto sul nostro ambiente“, ha dichiarato Peter Daszak, zoologo statunitense, uno dei massimi ricercatori del campo, a capo del gruppo di lavoro Ipbes. La cui attività di ricerca ha portato, tra le tante scoperte, all’identificazione dell’origine della Sars e alla scoperta del nuovo coronavirus Sads.
How can Govs reduce #pandemic emergence related to wildlife trade?
“Non ci sono grandi misteri sulla causa della pandemia attuale, o di qualsiasi pandemia moderna”, ha ribadito lo scienziato. “Tutto nasce da come utilizziamo la terra, dall’espansione e dell’intensificazione dell’agricoltura, dai consumi insostenibili, dagli allevamenti intensivi. Tutti fattori che oltre ad arrecare un danno agli ecosistemi, aumentano in modo innaturale il contatto tra la fauna selvatica, il bestiame, gli agenti patogeni e le persone. Aprendo la via prima alle zoonosi (le malattie che possono diffondersi tra gli animali e gli esseri umani, come l’influenza, la rabbia e la febbre della Rift Valley), e poi alle epidemie, fino alle pandemie”. Secondo lo zoologo sono almeno 1,7 milioni i virus attualmente “non scoperti” tra mammiferi e uccelli. Di essi, almeno 827mila potrebbero essere in grado di infettare le persone.
A causa della pandemia oltre un milione di morti e gigantesche perdite economiche
Con costi umani ed economici stratosferici. Oltre la perdita di più di un milione di persone, a oggi, secondo quanto indicato dall’Ipbes (i cui dati sono aggiornati al mese di luglio), la Covid-19 ha causato costi economici giganteschi a livello globale, compresi tra gli 8 e i 16mila miliardi di dollari. Eppure, affermano gli scienziati, fornire forti incentivi economici contro la devastazione degli ambienti naturali costerebbe 100 volte meno. Anche perché, si legge nel Pandemics report, non basta affidarsi alle misure di salute pubblica e le soluzioni tecnologiche dopo la comparsa di nuove malattie.
“There is no great mystery about the cause of #COVID19 – or any modern pandemic” @PeterDaszak
Che fare, quindi? Il rapporto fornisce raccomandazioni che dovrebbero essere recepite dalle politiche degli stati. Esattamente come dovrebbe avvenire per i cambiamenti climatici, attraverso le sollecitazioni e gli studi degli scienziati dell’Ipcc. Gli esperti concordano sul fatto che sfuggire all’era delle pandemie è possibile, ma che questo richiederà un cambiamento sistemico nell’approccio. Bisogna passare dalla reazione alla prevenzione. E all’approccio “one health”, che ha a cuore lo stato di salute degli uomini, degli animali e dell’ambiente, esattamente come già ribadito dall’Organizzazione mondiale della sanità. Per farlo, occorre lavorare su sicurezza alimentare, controllo della diffusione delle zoonosi e lotta alla resistenza agli antibiotici.
Serve l’approccio “one health” per uomo, animali, natura
Tra le proposte presentate dal Pandemics report figura anche il lancio di un “consiglio intergovernativo” di alto livello sulla prevenzione delle pandemie. In grado di fornire ai decisori le prove sulle malattie emergenti e di elaborare una mappatura delle aree ad alto rischio. Unita alla progettazione di un quadro di monitoraggio globale e alla valutazione dell’impatto economico di potenziali pandemie. Oltreché al miglioramento e all’aggiornamento dei programmi di prevenzione, i cosiddetti “piani pandemici” che andranno costantemente aggiornati.
Occorre poi, sempre secondo gli scienziati dell’Ipbes, istituzionalizzare l’approccio olistico dai governi nazionali. Il primo passo è proprio fermare l’espansione agricola globalizzata, anche attraverso tasse o imposte sul consumo di carne, sulla produzione zootecnica e sulle altre forme di attività a rischio pandemia. Come il commercio di animali selvatici e il consumo di fauna selvatica. E valorizzando invece chi, tra le popolazioni indigene e locali si impegna per ottenere una maggiore sicurezza alimentare. Sostenibile per l’intero ecosistema.
In Africa solo 15 stati hanno vaccinato il 10 per cento della popolazione entro settembre, centrando l’obiettivo dell’Organizzazione mondiale della sanità.
I cani sarebbero più affidabili e veloci dei test rapidi per individuare la Covid-19 nel nostro organismo. E il loro aiuto è decisamente più economico.
L’accesso ai vaccini in Africa resta difficile così come la distribuzione. Il continente rappresenta solo l’1 per cento delle dosi somministrate nel mondo.
La sospensione dei brevetti permetterebbe a tutte le industrie di produrre i vaccini, ma serve l’approvazione dell’Organizzazione mondiale del commercio.