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Il viaggio triste di papa Francesco a Lesbo. 12 profughi tornano con lui in Vaticano
Dopo la visita di Papa Francesco a Lesbo, dodici profughi sono tornati con lui a Roma. L’appello agli europei: “Possano i nostri fratelli e le nostre sorelle venirvi in aiuto”.
Pontefice, ovvero “costruttore di ponti”, questo il significato del titolo ricoperto dal Papa: pontifex maximum, il più grande costruttore di ponti. Lo ha dimostrato agevolando la riconciliazione tra Cuba e Stati Uniti dopo oltre 50 anni di gelo, e lo conferma ogni volta che può. Anche sull’isola greca di Lesbo, proprio davanti alla costa turca, dove migliaia di profughi di guerra, richiedenti asilo, migranti, da settimane sono bloccati appena dopo aver messo piede sul suolo europeo. E da dove, fino a pochi giorni fa, venivano reimbarcati a forza verso la Turchia.
Un viaggio triste per papa Francesco
Papa Francesco a Lesbo non sorride come di consueto. “Questo è un viaggio triste. Vedremo tanta gente che soffre, che non sa dove andare, che è dovuta fuggire. E andremo anche in un cimitero, il mare: tanta gente lì è annegata. Lo dico non per amareggiare ma perché anche il vostro lavoro di oggi possa trasmettere nei vostri media lo stato d’animo con cui faccio questo viaggio”, ha detto Francesco ai giornalisti sul volo che lo ha porta a Lesbo. Una visita breve annunciata a sorpresa pochi giorni fa.
Accolto al suo arrivo dal primo ministro greco Alexis Tsipras, Francesco si è diretto al campo per rifugiati di Moria assieme ai leader ortodossi, il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e l’arcivescovo di Atene Hieronymos. Lì, Francesco ha salutato, uno per uno, alcuni dei rifugiati accolti nel campo dell’isola, ascoltando le loro storie.
“Voglio dirvi che non siete soli, non perdete la speranza”, ha detto ai profughi. “Ciò che costoro stanno vivendo oggi – ha detto ai giornalisti durante il volo da Roma – è la catastrofe più grande dopo la seconda guerra mondiale“. Il Papa ha ricordato anche che “alcuni, tra cui molti bambini, non sono riusciti nemmeno ad arrivare: hanno perso la vita in mare, vittime di viaggi disumani e sottoposti alle angherie di vili aguzzini”.
12 profughi tornano con lui in Vaticano
Dapprima si era parlato di dieci, poi sono diventati dodici. Sono i migranti in condizioni più vulnerabili, scelti a caso; tre famiglie musulmane con bambini che Francesco porterà con sé sul volo di rientro in Vaticano. Dovrebbero essere otto siriani, due afgani e due iracheni.
Lo scorso settembre Francesco aveva chiesto a tutte le 25mila parrocchie italiane di accogliere almeno una famiglia di profughi. Ed egli stesso ha deciso che le due parrocchie del Vaticano dessero il buon esempio accogliendo tre famiglie, cui si aggiungono queste tre, che saranno ospitate a Roma dalla comunità di Sant’Egidio.
Il grazie al popolo greco e alla Turchia
Di fronte agli abitanti di Lesbo, fa cui una piccola comunità cattolica, Francesco ha detto: “Esprimo ammirazione al popolo greco, che, nonostante le gravi difficoltà da affrontare, ha saputo tenere aperti i cuori e le porte. Tante persone semplici hanno messo a disposizione il poco che avevano per condividerlo con chi era privo di tutto. Dio saprà ricompensare questa generosità, come quella di altre nazioni circostanti, che fin dai primi momenti hanno accolto con grande disponibilità moltissimi migranti forzati”. E qui è evidente il riferimento alla Turchia che, nonostante tutto, sta accogliendo sul suo territorio migliaia di profughi siriani.
I profughi sono carne di Cristo
Eucaristia, anzi eucharisto, come ha detto in greco Francesco. Che letteralmente vuol dire “rendere grazie”, ma che per la Chiesa sta a significare la celebrazione del corpo e sangue di Cristo. E Papa Francesco ha detto: “Grazie a voi […], perché vi prendete teneramente cura della carne di Cristo, che soffre nel più piccolo fratello affamato e forestiero, e che voi avete accolto”.
I profughi non sono numeri, sono persone: sono volti, nomi, storie, e come tali vanno trattati.
— Papa Francesco (@Pontifex_it) 16 aprile 2016
Fermare il traffico d’armi
Il Papa poi ha parole dure: “bisogna contrastare con fermezza la proliferazione e il traffico delle armi e le loro trame spesso occulte; vanno privati di ogni sostegno quanti perseguono progetti di odio e di violenza. Va invece promossa senza stancarsi la collaborazione tra i paesi, le organizzazioni internazionali e le istituzioni umanitarie, non isolando ma sostenendo chi fronteggia l’emergenza”.
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