Dall’ecoansia a sensazioni positive di unione con la Terra. Conoscere le “ecoemozioni” ci aiuta a capire il nostro rapporto con ciò che ci circonda e come trasformarle in azione.
Perché la biodiversità del Parco nazionale del Pollino è unica
Una combinazione di caratteristiche africane e alpine rendono il Parco nazionale tanto vario quanto unico. Ed è anche geoparco mondiale dell’Unesco.
Se ci chiedessero dove si trova il parco nazionale più esteso d’Italia forse i primi luoghi a cui penseremmo sarebbero i parchi più antichi del nostro paese, con i loro territori sconfinati delle Alpi o degli Appennini centrali. Ma in realtà l’area protetta più estesa d’Italia si trova a cavallo tra Basilicata e Calabria, ed è stata istituita nel 1993: è il Parco nazionale del Pollino.
Con i suoi quasi duemila chilometri quadrati di estensione (1.960 km2), il Parco nazionale del Pollino si affaccia su due mari, il Tirreno e lo Ionio, dando vita a un’ampissima varietà di paesaggi e habitat: dalle valli solcate dai fiumi, ai calanchi, agli altopiani, le foreste di alberi secolari, fino alle rocce e le maestose cime delle montagne più alte degli Appennini meridionali.
“Uno degli aspetti qualificanti del Parco è proprio quello geografico“, ci racconta Pietro Serroni, responsabile dell’area conservazione del Parco nazionale del Pollino. “Essendo a cavallo tra due mari, ha due climi molto diversi. Da una parte il versante orientale è molto più caldo e secco d’estate, dall’altra parte il versante tirrenico invece ha un clima più continentale, più mitigato dall’influenza delle piogge anche estive. E questo introduce la diversità climatica, vegetazionale e faunistica del Parco”.
La biodiversità del Parco nazionale del Pollino
Territori così vasti e vari significano una estrema ricchezza di biodiversità. A ogni altitudine corrispondono paesaggi e numerose specie specifiche, influenzati dalle diverse condizioni climatiche e dagli sviluppi del territorio. “Abbiamo un’affinità sia con la parte africana della fauna, che con la parte più alpina e continentale dell’orizzonte faunistico e floristico del Mediterraneo”.
Il Pollino è la terra del pino loricato, dell’associazione abete-faggio, del lupo, del capriolo, dell’aquila reale, della lontra, delle rocce dolomitiche, della Serra Dolcedorme, delle gole, delle grotte, del bos primigenius e dell’elephas antiquus, delle civiltà lucana, magno-greca, bizantina, longobarda, normanna, delle minoranze arbereshe.
Basti pensare che il Parco ospita centinaia di specie animali che vanno dai più carismatici lupi, agli ungulati, a ben dodici specie di rapaci, al gatto selvatico europeo, fino alla salamandra o la testuggine palustre, solo per citarne alcune. “La presenza del lupo nel nostro parco è storica. Non se n’è mai andato, non c’è mai stata una ricolonizzazione dopo un periodo di assenza”, ci racconta Serroni.
“Il lupo nel nostro parco ha una purezza genetica che in altre parti del suo areale non ha, dove invece dimostra grossi problemi di ibridazioni con i canidi selvatici. Da noi invece aveva un’ibridazione intorno all’1 per cento fino a quattro anni fa, quando abbiamo fatto le ultime rilevazioni. Ci sono altre tre specie che ci hanno piacevolmente sorpreso. Una è il gatto selvatico, per cui abbiamo avuto un progetto di monitoraggio e in cui abbiamo riscontrato che tutti quelli con radiocollare erano puri dal punto di vista genetico, oltre all’abbondanza della specie nelle aree del Parco. La seconda è la trota mediterranea: anche questa con purezza genetica, mentre quasi in tutta Italia c’è stata ibridazione a causa principalmente di azioni di ripopolazione legate alla pesca. In ultimo, la lontra, che è presente in praticamente tutti i nostri bacini. Le popolazioni sono in buono stato di conservazione, con poche minacce in atto”.
Il Parco nazionale del Pollino è anche casa di oltre 1.700 specie vegetali, tra cui alberi secolari e monumentali, come il simbolo che accompagna il logo del Parco, il pino loricato. “Il pino loricato che è l’emblema del Parco vive oltre il limite degli alberi”, ci spiega Serroni. “Non forma vere e proprie foreste, ma ha una diffusione zonale, nel senso che cresce dove di solito gli alberi non crescono”.
A questo va aggiunto il valore geologico dell’area: la storia secolare di come e perché si è modellato il territorio, ovvero quello che c’è dietro ai “segni” e alle “forme” che vediamo oggi e che rendono unico ogni singolo paesaggio. Il Parco vanta infatti un grande patrimonio geologico, che è l’insieme di risorse naturali non rinnovabili che hanno un valore scientifico, culturale o educativo, e che permettono di conoscere l’evoluzione della storia geologica del Pianeta.
“Un altro aspetto caratterizzante del Parco è la presenza di fenomeni di glacialismo relitto. Il Pollino era una delle ultime roccaforti del ghiaccio e dei ghiacciai durante le ultime glaciazioni, quindi abbiamo delle morene terminali relitte, valli a U che sono tipiche delle valli glaciali scavate dai ghiacciai, diversi massi erratici che vengono lasciati dallo scioglimento del ghiaccio”.
Il Parco nazionale del Pollino è un Geoparco mondiale dell’Unesco
A testimoniare il valore di questa diversità e ricchezza dal 2015 il territorio del Parco nazionale del Pollino è entrato a far parte della rete europea e globale dei geoparchi promossa dall’Unesco. I geoparchi sono singole aree geografiche, con un solo confine continuo, “i cui siti e paesaggi di valore geologico internazionale vengono gestiti secondo un approccio integrato e olistico di tutela, educazione e sviluppo sostenibile”, come definisce l’Unesco. In tutto il mondo ci sono 177 geoparchi mondiali, di cui 11 sono in Italia.
Come ricorda il Parco, i geoparchi valorizzano il patrimonio geologico locale, insieme a quello naturale e culturale, con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza su temi su cui si “gioca” il futuro del nostro Pianeta: dall’uso sostenibile delle risorse della Terra fino alla lotta e la mitigazione dei cambiamenti climatici.
Le faggete vetuste
Sempre l’Unesco tra i suoi patrimoni mondiali dell’umanità ha inserito alcune foreste in Italia: le faggete vetuste, tra cui quella di Cozzo Ferriero nel cuore del Parco del Pollino. Qui ci sono faggi monumentali che hanno 600 anni, che vivono intorno ai 1.700 metri d’altitudine.
Proprio l’Italia, tra l’altro, ha i faggi più antichi d’Europa. Sono infatti tredici le faggete che fanno parte dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco, che ha identificato i Paesi europei dove esistono queste foreste: oltre all’Italia, Albania, Austria, Belgio, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Germania, Francia, Macedonia del Nord, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svizzera e Ucraina.
La presenza delle faggete vetuste testimonia come la specie di faggio europeo sia resistita fin dall’ultima era glaciale, adattandosi e resistendo a tutti i tipi di clima.
Il pino loricato: simbolo del parco, di resilienza e storia
Un’altra specie di albero che possiamo definire “resiliente” è il pino loricato (Pinus heldreichii), che è il simbolo del Parco. È infatti testimone della storia geologica dell’area e, vivendo al di sopra della fascia vegetazionale (intorno ai duemila metri), si adatta a qualsiasi condizione climatica. “Questa sua presenza è anche legata alla competizione con il faggio. Dove c’è il faggio il pino loricato non riesce a sopravvivere e a superarlo in altezza, quindi viene dominato”, spiega Serroni. “Oltre il limite degli alberi invece il faggio non arriva e quindi si riesce a insediare, anche perché le conifere in generale hanno uno spettro biologico molto ampio e sono specie molto resistenti che vivono con poco terreno e in terreni anche poveri di strato di humus”. Il suo nome indica proprio questa caratteristica: “loricato” fa riferimento alla corazza del guerriero.
È una specie definita unica e irripetibile che trova proprio casa nel Parco nazionale del Pollino, rendendolo un “giardino dei bonsai giganti“. E a noi non resta che andare a visitarlo perché è unico “come un’isola, con i suoi aspetti strani, da un lato africani e dall’altro alpini. Nel Parco del Pollino hai la percezione dalla lontananza dal resto del mondo, che chiaramente è una percezione di tipo culturale. Chi fa conservazione però vede che comunque la mano dell’uomo c’è, e anzi a volte la sua assenza è negativa per la conservazione di alcuni habitat”.
In molte aree del Parco si ha la percezione – solo la percezione – di essere lontano.
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