Il governo della Tanzania vuole diminuire il numero di Masai che abitano nel parco nazionale Ngorongoro. Ma i leader della tribù sono pronti a lottare.
I passi degli esseri umani solcano le pianure della Tanzania da milioni di anni. Nella gola Olduvai, all’interno del parco nazionale tanzaniano Ngorongoro, sono stati ritrovati i resti di ominidi vissuti circa 2 milioni di anni fa. Oggi, però, a percorrere questo incantevole paesaggio africano sono soprattutto le automobili dei turisti impegnati nei safari. Ciò rappresenta un problema per la popolazione dei Masai che da secoli abita nel parco Ngorongoro. Nonostante la loro presenza in queste zona preceda l’esistenza dello stato della Tanzania, i portavoce della tribù affermano che i funzionari governativi stanno facendo tutto il possibile per cacciarli da Ngorongoro al fine di liberare spazio per i turisti.
Amplify the calls of #Maasai communities resisting eviction in #Ngoronogo!
Essere allontanati dalla loro casa non sarebbe una novità per i Masai. Durante gli anni ’50, gli amministratori britannici che avevano il potere in quest’area africana costrinsero la tribù a un esilio dal parco Serengeti a Ngorongoro per far sì che flora e fauna potessero crescere liberamente nel primo e più famoso territorio. Ora la storia potrebbe ripetersi: in questo caso sembra che la volontà di aumentare gli introiti del turismo sia la motivazione dei politici locali. Il governo della Tanzania ha proposto un piano di riqualificazione delle zone di Ngorongoro che secondo alcuni attivisti potrebbe portare allo sfollamento di 80mila persone, soprattutto Masai. All’inizio di quest’anno, l’organo di governo responsabile del parco ha emesso avvisi di sfratto a 45 persone e ha ordinato la distruzione di 100 edifici in quello che secondo i ricercatori è stato un primo passo verso l’attuazione del piano.
“Le restrizioni stanno diventando sempre più dure”, ha detto al sito Mongabay un leader Masai che ha chiesto l’anonimato per paura di rappresaglie. “Vogliono ridurre il numero di persone che soggiornano nella zona”. La minaccia di trasferimento è stata al momento ridimensionata a seguito di proteste pubbliche avvenute in Tanzania e grazie all’interesse dell’associazione statunitense Oakland Institute. L’organizzazione californiana ha inoltre lanciato una raccolta firme, che ha già superato le 95mila unità, diretta al governo tanzaniano e all’Unesco, responsabile di Ngorongoro da quanto l’area è stata dichiarata patrimonio dell’umanità nel 1979.
Negli ultimi anni, le autorità hanno imposto dure restrizioni alle attività consentite ai Masai, culminate nel divieto di coltivare nel 2009. I Masai di Ngorongoro affermano che le regole hanno portato a fame e povertà diffuse, aggravando la situazione della già povera tribù. “Guidati dalla fame e dalla povertà, donne e giovani stanno lasciando Ngorongoro perché la fame non è più sopportabile. Alcune donne sono morte di fame. È un genocidio contro i pastori di Ngorongoro” ha raccontato una donna Masai.
La decisione del governo potrebbe essere stata influenzata da un report del 2009 prodotto dall’Unesco nel quale si afferma che, pur se la popolazione di gnu e altri animali è stabile, l’area di Ngorgongoro ha subìto eccessivi impatti negativi dal turismo, dalla presenza di specie vegetali invasive e da un aumento del numero di persone che vivono nella zona. Il governo della Tanzania ha pubblicato il proprio piano per affrontare la sovrappopolazione nella riserva: se attuata, la proposta limiterebbe ulteriormente la quantità di terreno in cui i Masai possono pascolare o vivere; ai migranti non indigeni verrebbe chiesto di partire e verrebbero offerti incentivi ai Masai per trasferirsi altrove. Mentre diminuiscono gli abitanti, aumentano di pari passo i turisti.
L’aumento del turismo a Ngorongoro
Negli ultimi decenni, il numero di turisti che visitano Ngorongoro è salito vertiginosamente: nel 1984 circa 55mila persone hanno visitato il parco; nel 2018 il numero era di 650mila, generando circa 55 milioni di dollari di entrate dovute al turismo. Eppure di questi introiti ben pochi giungono ai Masai: nel 2014, il 12,6% dei guadagni arrivati grazie al turismo è stato speso per lo sviluppo della comunità. Nel 2018 è stato solo il 4,8%. Con il rischio di dover fare spazio ai turisti e la paura di abbandonare le proprie case, i leader della tribù si oppongono fortemente alla proposta di legge: “Non andiamo da nessuna parte – ha detto uno dei leader Masai – non sapremmo dove andare”.
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