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Da Parigi parte la rivolta dei fattorini a pedali della gig economy
Fare la spola in bicicletta fra ristoranti e abitazioni di clienti affamati con in spalla la loro cena. Da qualche ora nel weekend a diverse ore tutti i giorni, per compensi che possono superare i 1000 euro al mese. È questo il quotidiano delle migliaia di fattorini che lavorano in Europa per piattaforme internazionali come Deliveroo
Fare la spola in bicicletta fra ristoranti e abitazioni di clienti affamati con in spalla la loro cena. Da qualche ora nel weekend a diverse ore tutti i giorni, per compensi che possono superare i 1000 euro al mese. È questo il quotidiano delle migliaia di fattorini che lavorano in Europa per piattaforme internazionali come Deliveroo o Foodora. Un lavoro sempre più ambito da studenti e giovani adulti, ma anche il simbolo di una nuova logistica urbana.
Come funziona la gig economy
Dietro questa patina moderna e sostenibile si nasconderebbero però condizioni di lavoro che non lo sono. Come le più note Uber e AirBnB in altri campi, le Food Tech – la famiglia cui appartengono le piattaforme di consegne nel gergo degli investitori – fanno proprie le regole della cosiddetta “gig economy”, l’economia dei concertini. Rapporti di lavoro occasionali, fugaci, ripetuti nel tempo e pagati a prestazione che ricordano quelli dei musicisti che si esibiscono nei piccoli club. Nei fatti però, i ragazzi delle consegne in bici sottostanno a regole che tanto ricordano quelle di un dipendente a tutti gli effetti: pressione da parte della gerarchia, obbligo di portare l’uniforme, turni da rispettare, niente ferie o malattia, ancor meno sussidi di disoccupazione, assicurazioni infortuni o contributi per la pensione. Impossibile per giunta negoziare le tariffe, come ogni libero professionista dovrebbe poter fare. In sintesi, zero costi per la piattaforma, zero garanzie per chi fa le consegne.
La rivolta dei fattorini in bici parigini
I primi in Europa a provare sulla loro pelle le conseguenze di questo modello sono stati i “rider” parigini. Quando a fine luglio di quest’anno TakeEatEasy, importante piattaforma nata in Belgio nel 2013, ha chiuso i battenti, i 2.500 ragazzi delle consegne che lavoravano per lei in Francia si sono ritrovati appiedati dall’oggi al domani, senza la paga di luglio e senza nessuna garanzia. Alcuni di loro facevano parte del Collectif des coursiers franciliens nato a maggio di quest’anno e che oggi conta circa 1000 membri riuniti attorno a un gruppo Facebook. La sua prima battaglia sarà quella di far riconoscere, in sede legale, che fra piattaforme e ragazzi delle consegne esisteva un rapporto di subordinazione e che quindi questi ultimi devono poter beneficiare di tutte le garanzie che spettano a un dipendente.
Una cooperativa dei fattorini su due ruote
E domani? Piuttosto che attendere il fallimento della prossima piattaforma – a settembre è toccato a una francese, Tok Tok Tok, chiudere per farsi riassorbire da una piattaforma spagnola – c’è chi vorrebbe organizzarsi per unire le forze e reclamare migliori condizioni di lavoro. Ad esempio ispirandosi ai colleghi belgi che, assunti tramite una società di interim, hanno potuto se non altro farsi pagare fino all’ultima consegna nonostante il fallimento di Take Eat Easy. Un alleato di peso in questa mobilitazione si è già manifestato: a fine settembre, il consiglio comunale della capitale francese ha deciso di studiare la fattibilità di una cooperativa di fattorini su due ruote, sull’esempio di quelle che federano già alcuni tassisti della capitale. Simbolo della rivoluzione ecologica nella mobilità, la bicicletta si sta trasformando in strumento di emancipazione nel mondo del lavoro 2.0.
Foto in apertura: ERIC FEFERBERG/AFP/Getty Images
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