In occasione della presentazione della Fondazione osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, il cui comitato scientifico è guidato dal procuratore Gian Carlo Caselli, Coldiretti ha divulgato i risultati di un censimento da cui emerge che a livello internazionale la mafia e i termini che la evocano sono diventati una sorta di brand su
In occasione della presentazione della Fondazione osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, il cui comitato scientifico è guidato dal procuratore Gian Carlo Caselli, Coldiretti ha divulgato i risultati di un censimento da cui emerge che a livello internazionale la mafia e i termini che la evocano sono diventati una sorta di brand su cui le aziende puntano per vendere prodotti agroalimentari simil-italiani.
Su questa scia sono nate le spezie “Palermo mafia shooting”, gli snack “Chili mafia”, il sugo piccante “Wicked Cosa Nostra”, l’amaro “Il Padrino”, il caffè Mafiozzo, la pasta Mafia e il limoncello “Don Corleone”. A Bruxelles, sede della Commissione europea, le patatine fritte si intingono nella “SauceMaffia” mentre la pasta viene condita con la “SauceMaffioso”. Il fenomeno ha invaso anche la ristorazione mondiale, spiega Coldiretti, dove esiste la catena di ristoranti “La mafia”, diffusa in Spagna, i clienti mangiano seduti accanto ai murales dei gangster più sanguinari; i locali che si chiamano “Cosa Nostra” sono sparsi in ogni continente e a La Paz, in Perù, campeggia l’insegna “La camorra pasta pizza & grill”.
Anche sul web gli acquisti “in odore di clan” non mancano: si può ordinare il libro di ricette “The mafia cookbook” oppure comprare caramelle su ww.candymafia.com
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“La nostra ricerca ha consentito di scoprire nel mondo un vero mercato dell’orrore che fa affari su una delle piaghe più dolorose della nostra società”, sottolinea Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti e della neonata Fondazione. Questi prodotti “danneggiano l’immagine dell’Italia all’estero, ma soprattutto colpiscono profondamente i tanti italiani che sono stati o sono purtroppo vittima della criminalità organizzata”.
“L’agricoltura siciliana non è un set cinematografico”, commentano il presidente e il direttore della Coldiretti Sicilia, Alessandro Chiarelli e Giuseppe Campione, “ma è un settore produttivo che impiega migliaia di imprenditori onesti. Inneggiare o ricordare la mafia utilizzando vino, liquori, pasta e altro non contribuisce affatto all’economia siciliana. Bisogna dire basta a fenomeni di marketing che inneggiano al fenomeno mafioso e sfruttare invece quanto di meglio produce l’agricoltura siciliana. Ogni giorno furti di macchinari, abigeato, rapine, imposizione di pizzo, rendono lavorare in campagna sempre più pericoloso. Ogni agricoltore è un eroe visto che spesso lavora in zona abbandonate e dove, soprattutto a causa della crisi, il controllo del territorio non è adeguato. Di certo – concludono Chiarelli e Campione – basta la realtà a ricordare l’esistenza della mafia che non può essere considerata un marchio agroalimentare”.
L’indagine Coldiretti pone l’accento anche su altri aspetti legati alla mafia: dalle interviste è emerso che ben sei disoccupati su dieci sarebbero disposti ad accettare un posto di lavoro in un’attività dove la criminalità organizzata ha investito per riciclare denaro. Il 54 per cento di questi accetterebbe a patto che si trattasse di un lavoro onesto mentre il 6 per cento accetterebbe in ogni caso.
“Mafia, camorra, ‘ndrangheta e company possono contare su un esercito potenziale di quasi due milioni di persone che, spinti nella marginalità economica e sociale, si dicono disponibili a lavorare per loro e tra queste ben 230mila persone non avrebbero problemi a commettere consapevolmente azioni illegali pur di avere una occupazione”, ha concluso Coldiretti.
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