L’attivista ugandese Patience Nabukalu è stata a Torino per il meeting europeo dei Fridays for future: “Il nord del mondo ci ascolti, perché dipende da noi”.
Siccità e fame hanno ucciso 900 persone nella regione di Karamoja, in Uganda. Si tratta di una notizia che, per l’attivista per il clima Patience Nabukalu, dimostra quanto la crisi climatica che stiamo vivendo sia diversa nel sud del mondo. Patience Nabukalu è un’attivista del movimento Fridays for future e una esponente dei Mapa, acronimo che sta per Most affected people and area, cioè le persone e le aree più colpite dal riscaldamento globale. Raggiunta durante il Climate social camp che si è tenuto dal 25 al 29 luglio a Torino, Nabukalu ci porta il suo punto di vista.
Chi e cosa sono i Mapa? Perché sono così importanti per la causa climatica? I Mapa sono concentrati nel sud del mondo e affrontano in prima linea i cambiamenti climatici. Quando si parla di siccità, inondazioni, fame, carestie, degrado del suolo… ecco, i Mapa provano tutto ciò sulla propria pelle. I Mapa come me soffrono questa crisi, io stessa ho vissuto queste esperienze. La differenza con chi vive nel nord del mondo sta tutta qui. Per questo è importante che il nord ascolti la nostra voce.
Quando negli incontri, nelle interviste spieghi tutto questo, per esempio qui a Torino, cosa pensi della reazione del pubblico? Io penso che il nord del mondo sia privilegiato e che abbia bisogno di conoscere più dettagli su quello che succede fuori. Ogni paese del mondo ha la sua storia, così come le persone che lo popolano. Il global north, però, non ha esperienza degli effetti della crisi climatica, soprattutto non hanno esperienza chi prende decisioni a livello politico. La sfida più grande è far capire a queste persone che cosa sono in concreto i cambiamenti climatici. Devono ascoltare la nostra voce perché non stiamo raccontando una storia. Noi dipendiamo dal nord? Sì, ma il nord dipende da noi, dal momento che è nel sud del mondo che le società vanno a estrarre le risorse per le loro economie.
A proposito di questo, tu da anni ti batti contro l’Eacop. Di cosa si tratta? Eacop sta per East African crude oil pipeline ed è un gigantesco oleodotto in costruzione nell’Africa orientale e destinato al trasporto di petrolio greggio dai giacimenti petroliferi dell’Uganda al porto di Tanga, in Tanzania, sull’oceano Indiano. Più di 1.400 chilometri nel cuore dell’Africa: immaginate quante risorse naturali verranno devastate da un progetto del genere. E quante famiglie: stiamo parlando, per la precisione, di 178 villaggi in Uganda e 231 in Tanzania, e i lavori dell’oleodotto impediranno ai bambini di andare a scuola, ai pescatori locali di pescare, ai contadini di lavorare i campi e impatterà anche sulle risorse idriche locali, sulle aree umide e sui laghi attraversati. Una volta in funzione, produrrà 34 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, sei volte le emissioni annuali dell’Uganda.
Chi c’è a capo di questo progetto? L’oleodotto è di proprietà per il 62 per cento di Total, 8 per cento della cinese Cnooc e vede anche la presenza al 15 per cento del governo ugandese e per il 15 del governo tanzaniano. La presenza preponderante di Total dimostra come il nord del mondo sfrutti le risorse del sud, stabilendo degli obiettivi che non potrà mai rispettare: come farà, infatti, l’Europa a mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi se poi altrove crea queste bombe climatiche, estraendo combustibili fossili solo per i propri profitti?
Qual è la tua valutazione della Cop26 di Glasgow. E quali speranze hai per il futuro? Come ho detto in più di un’intervista in quell’occasione, la Cop26 di Glasgow non è stata un successo, affatto. Prima di tutto, non siamo stati inclusi nel processo decisionale. In occasioni di questo tipo, l’Unione europea continua a pianificare come estrarre risorse e combustibili fossili dalla nostra terra. Spero che alla Cop27 in Egitto venga data sostanza alle parole e alle promesse vuote fatte finora. Staremo a vedere. Io non ripongo speranze nei leader politici, però ripongo speranze in me e nelle persone che dal basso stanno facendo sentire la loro voce. Se continueremo ad assistere a discorsi vuoti senza vedere dei fatti, dovremo alzarla ancora di più.
Finanza climatica, carbon credit, gender, mitigazione. La Cop29 si è chiusa risultati difficilmente catalogabili in maniera netta come positivi o negativi.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.