Ha 300 anni e può essere visto persino dallo spazio. È stato scoperto nel Triangolo dei Coralli grazie a una spedizione della National Geographic society.
Paul Lister, filantropo. Ringrazio la storia, ma nel mio futuro c’è solo natura
Dalla Scozia all’Abruzzo passando per la Romania. Il filantropo Paul Lister ha deciso di salvare la biodiversità cominciando da noi, dall’Europa.
Ringrazio la storia perché ci ha condotti fin qui, ma il futuro appartiene alla natura e l’essere umano deve imparare a conviverci. Solo così si può raggiungere una forma di sviluppo sostenibile. Questa, in sintesi, è la visione che Paul Lister, ambientalista e filantropo, ha davanti a sé e che ha condiviso con noi in questa intervista realizzata a margine del viaggio che la redazione di LifeGate ha compiuto nel parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e che potete ripercorrere in questo racconto.
Il turismo responsabile, in particolare, gioca un ruolo fondamentale perché dà la possibilità alle persone di scoprire luoghi incontaminati e, allo stesso tempo, di contribuire a proteggerli grazie al finanziamento di attività economiche legate al territorio. E così facendo sono un forte alleato di enti e istituzioni che, giorno dopo giorno, lavorano strenuamente per salvaguardare queste aree.
Lister ha fondato lo European nature trust (Tent) nel 2000 e all’Abruzzo e al suo principale protagonista, l’orso bruno marsicano, ha deciso di dedicare parte del suo lavoro sostenendo l’associazione italiana Salviamo l’orso impegnata nella salvaguardia del suo habitat.
Ci racconta com’è nata Tent e di cosa si occupa?
In Africa, Sudamerica e Sudest asiatico la fauna selvatica presente è molto ricca. Dopo aver viaggiato in questi posti, sono tornato in Europa e mi sono accorto come fosse un continente svuotato, impoverito dal punto di vista ambientale. Moltissimi paesaggi sono ormai privi della loro vegetazione originaria e degli animali che ne fanno parte. Quando è arrivato il momento giusto, ho deciso di concentrarmi sulle zone vicino a casa mia anziché essere uno di quegli europei che puntano il dito contro i brasiliani, i keniani e gli indonesiani e dicono loro cosa dovrebbero fare.
Penso che dovremmo mettere più energia nel riportare alla luce le terre selvagge che ci rimangono, incoraggiando le persone a fare “rewilding” (resistere alla pulsione di controllare la natura, permettere alla natura di trovare la propria strada attraverso la reintroduzione di animali e piante assenti, secondo la definizione di George Monbiot, ndr). Nel momento in cui alcuni territori, come i campi agricoli, vengono abbandonati perché non più economicamente rilevanti, è lì che si crea una grande opportunità per il rewilding. Con la natura arriva anche il turismo, una fonte di reddito per le comunità. E le persone iniziano a proteggere la natura anziché minacciarla o impoverirla. Per questo motivo ho scelto di agire in Europa.
Scozia, Romania e Abruzzo, sono i tre territori dove Tent è attiva. Con quali obiettivi?
Siamo attivi anche in altri due paesi, Spagna e Belize. Anche se il Belize è in realtà un paese tropicale fuori dai confini europei.
In Romania c’è la Foundation conservation Carpathia. La Romania è di gran lunga il paese più ricco di biodiversità in Europa, ospita il 50 per cento delle foreste più antiche d’Europa. Dopo la fine del comunismo, le foreste sono state minacciate dalla “ruralizzazione”, dalla mafia del legno e da molto altro. È quindi importante che gli abitanti della Romania riconoscano il valore del loro capitale naturale, così da comprendere davvero quanto sia speciale il loro paese. Qui stiamo cercando di creare un grande parco nazionale di circa 250mila ettari, che vada da Sibiu fino a Brasov, lungo le montagne di Făgăraș. L’obiettivo è acquisire diversi appezzamenti utilizzando i terreni per far poi leva sulle autorità e sul governo in modo da ottenere altri ettari. È un concetto che prende esempio da quanto fatto dalla fondazione Tompkins Conservation in Cile e Argentina. Il nostro è un progetto davvero ambizioso, lo stiamo portando avanti da 15 anni con progressi considerevoli, siamo molto soddisfatti.
In Gran Bretagna abbiamo perso il 99 per cento delle foreste. Il 99 per cento! In Scozia abbiamo piantato un milione di alberi, riportato gli scoiattoli rossi e ridotto il numero di cervi, abbiamo dato vita a programmi educativi con le comunità locali e abbiamo creato un progetto di turismo sostenibile. L’idea, nel lungo termine, è di riportare i lupi all’interno di una riserva di 20mila ettari controllati, come fanno ad esempio in Sudafrica dove mantengono gli animali all’interno di una certa area attraverso l’installazione di recinzioni. Questo perché non credo che in Scozia ci permetteranno mai di riportare i lupi in libertà. Penso sia una cosa che non accadrà per il numero di pecore presenti e la forte tradizione di pastori. In più ormai siamo pieni di autostrade, ferrovie e recinti. La scelta migliore per riportare i lupi in Scozia è all’interno di una grande area protetta.
In Spagna lavoriamo con due fondazioni: una si trova nel nord del paese, si occupa di orsi ed è la Fundación Oso Pardo. In 25 anni hanno riportato il numero di orsi presenti nel nord della Spagna da 25 a più di 300. È quindi una fondazione che sta avendo molto successo e siamo felici di supportarli. Nel sud invece c’è la fondazione Cbd Habitat che lavora con la lince pardina (Lynx pardinus). La lince pardina è diversa dalle altre specie presenti in Europa. Solo 25 anni fa ne erano rimasti un centinaio di esemplari, ora sono circa 800.
In Belize ci occupiamo dell’ara scarlatta (Ara macao), un grande pappagallo, su cui stiamo realizzando un documentario. Penso che i video siano un ottimo mezzo di comunicazione per mostrare alle persone cosa minaccia i paesaggi naturali. Siamo coinvolti anche in un progetto che riguarda i giaguari. Vogliamo creare una economia nuova, basata sul turismo di chi vuole scoprire i giaguari, come è successo con il gatto del Pantanal (Leopardus colocolo braccatus) in Brasile.
Durante il nostro viaggio, una delle frasi più ricorrenti è stata: “È venuto e si è innamorato del posto”. Ci può raccontare la sua storia d’amore con il parco nazionale d’Abruzzo?
Ho sentito parlare dell’Abruzzo per molti anni e per decenni l’ho sempre avuto in mente. Un luogo dove gli orsi sono presenti in natura deve essere un luogo dove c’è un ottimo ecosistema. Purtroppo i progetti in Scozia e in Romania mi hanno occupato molto tempo, stavamo girando dei documentari – ne abbiamo girati quattro in Romania – a cui ho dedicato molta energia. Poi il momento giusto è arrivato, ho incontrato Bruno De Amici e poi Umberto Esposito (la guida di Wildlife Adventures che ci ha accompagnato durante il nostro viaggio, ndr) e sono riuscito a scoprire l’Abruzzo.
E ovviamente è impossibile non innamorarsi di questa regione, dei paesaggi, delle foreste, della fauna e delle persone che vivono nel piccolo paese di Pescasseroli. Non è quindi difficile notare come l’Abruzzo sia un luogo davvero vivo. C’è una simbiosi tra la vita selvaggia, la natura e l’essere umano. È una realtà molto bella, una realtà di cui abbiamo sempre più bisogno, dove le persone permettono alla natura di crescere, perché senza di essa ci sarebbero grandi problemi. Abbiamo bisogno di paesaggi selvatici, delle api, abbiamo bisogno di tutto ciò. La mia storia d’amore con l’Abruzzo, e quindi con l’Italia, non ha niente a che vedere con l’andare a Roma o in altre città d’arte – dato il mio scarso interesse per la storia. Sono interessato al futuro. La storia ci ha permesso di arrivare fin qui, ora preferisco concentrarmi sul presente e sul futuro, utilizzando la storia come riferimento. Preferisco stare in mezzo alla foresta che in una città storica.
A breve il parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise compirà 100 anni. Secondo lei quali sono i prossimi obiettivi per un parco tra i più longevi d’Italia e d’Europa, ma che di fronte a sé ha ancora un sacco di sfide da affrontare?
Il futuro lo vedo come il momento per le persone di apprezzare, di valorizzare gli animali selvatici, in particolare l’orso può diventare una buona opportunità per fare turismo in modo sostenibile. Alcune persone ritengono che le aree protette non dovrebbero esistere. Ma in un paese con oltre 60 milioni di abitanti, come l’Italia, questo è impossibile. Le persone hanno bisogno di camminare ed esplorare la natura, e quando lo fanno penso che caspicano quanto tutto ciò sia giusto e avranno voglia di proteggere questi posti. Per i prossimi cento anni abbiamo bisogno di incoraggiare le persone a venire in Abruzzo, ovviamente in numero limitato, da gestire con i vari operatori del settore turistico. Quando si noterà che c’è una crescita economica grazie al parco, forse altri seguiranno. Diranno: “Wow! Mi piacerebbe far parte di un progetto così”.
Pensa che il binomio “turismo-conservazione” possa avere successo?
Sì, assolutamente. Sono un grande sostenitore di questo binomio e ritengo che la conservazione e il turismo naturalistico siano attività in piena crescita. Le persone sono curiose di vedere con i propri occhi gli animali selvatici e proteggerli. Per esempio, in Scozia c’era un esemplare molto grande di aquila di mare (Haliaeetus) che è stato reintrodotto nell’ovest del paese circa 20 anni fa. Ora è diventata una vera e propria attrazione per i turisti che viaggiano fin lì per vedere questi bellissimi esemplari che hanno un’apertura alare di oltre tre metri. La stessa cosa è successa a Yellowstone con la reintroduzione dei lupi. Da quando sono tornati, le entrate del parco sono aumentate di 40 milioni di dollari (circa 33 milioni di euro, ndr) l’anno.
Per quanto riguarda la conservazione, quanto è importante lavorare con le comunità e le organizzazioni locali?
Il nodo cruciale rimane la comunicazione. Se si vuole salvare una specie oppure un territorio e non si ottiene l’interesse della popolazione locale, non si avrà successo. La cosa importante è tenere aggiornate le persone e renderle partecipi della visione, dell’obiettivo. Quando le comunità locali capiscono ciò, allora diventano un supporto attivo. Da sempre lavoriamo in questo modo in Scozia, collaboriamo con le scuole locali. Ora, però, abbiamo deciso che tutti, anche gli adulti della nostra comunità, devono essere coinvolti.
Ogni persona che abbiamo conosciuto durante il nostro viaggio a Pescasseroli aveva una storia da raccontare sul proprio incontro con l’orso. Qual è la sua?
Era mattina, faceva piuttosto freddo, il sole iniziava a sorgere e Umberto ed io eravamo fuori da un rifugio a bere una tazza di caffè. Improvvisamente abbiamo visto un orso camminare verso di noi. È arrivato a circa 20 metri, si è fermato, ci ha guardato e poi si è allontanato. Sai, svegliarsi al mattino, bere un caffè e vedersi di fronte come prima cosa un orso marsicano nei prati è un’esperienza incredibile e indimenticabile. Ho avuto più incontri con gli orsi, ma questo è stato sicuramente quello che non mi dimenticherò mai.
Ha in programma di tornare in Abruzzo?
Sì, assolutamente. Dovevamo girare un documentario a giugno, quello era il piano originale. Ma date le restrizioni per la Covid-19, se ne riparlerà per maggio o giugno dell’anno prossimo. Amo stare a contatto con la natura, ho una casa a Londra e un piccolo appartamento a Miami, ma ho deciso di metterli entrambi in vendita. Sono stufo delle grandi città, preferisco stare fuori, tanto in città posso tornare quando voglio.
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