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Si chiama peer learning (o peer education) e in Italia esiste da poco: la nuova frontiera della trasmissione delle conoscenze è lo scambio tra pari.
La classica lezione frontale, ormai, è demodé. E, dicono gli studi, in molti casi anche poco utile all’apprendimento. A prendere il suo posto non solo a scuola, ma anche nei progetti didattici realizzati in altri contesti, è arrivato il peer learning o peer education, che letteralmente significa educazione tra pari: un cambio di prospettiva che vede i più giovani al centro del sistema educativo.
Si tratta di un metodo di insegnamento nato negli anni ‘70 negli Stati Uniti d’America e che ha iniziato a prendere piede anche in Italia in tempi relativamente recenti. Gli obiettivi di questo sistema sono diversi: si va dal potenziamento delle abilità individuali degli studenti alla prevenzione di comportamenti socialmente negativi (come il bullismo) attraverso meccanismi di influenza sociale ed emozionale.
Il principio base del peer learning è che la conoscenza si trasmetta tra “pari grado”, cioè tra persone simili, per età, status e problematiche: il che le rende, agli occhi di chi impara, interlocutori credibili e affidabili, degni di rispetto. Il primo passo in un progetto di peer learning è dunque proprio quello di individuare questi peer, cioè questi pari grado, che non hanno ruolo di insegnanti nei confronti dei loro coetanei, bensì di tutor, persone con cui intraprendere uno scambio attivo di idee ed esperienze.
Spesso i peer sono adolescenti. Il motivo è molto semplice: anche se i progetti di peer education possono coinvolgere qualunque fascia d’età, quella adolescenziale è considerata la più problematica e dunque anche quella in cui iniziative di questo tipo possono offrire il massimo beneficio, sia in termini di trasmissione delle conoscenze, sia in termini di relazione tra coetanei.
Questo metodo non annulla in alcun modo l’autorità degli adulti (insegnanti, formatori, educatori), che anzi nella peer education hanno un ruolo di supervisori e di facilitatori dell’interazione tra giovani.
Formati i giovani peer, si passa al lavoro di gruppo con i coetanei. Il punto di forza dei peer educator è quello di utilizzare la comunicazione paritaria, cioè lo stesso linguaggio dei destinatari, che può essere perfettamente compreso e accettato. All’interno del gruppo, i peer sono agenti di cambiamento e, pur essendo protagonisti dell’azione di trasmissione della conoscenza, non instaurano un rapporto gerarchico con gli altri studenti, non giudicano, non tengono lezioni: continuano a stare sullo stesso piano.
Altra caratteristica del peer learning è quello di imparare attraverso l’azione: diversi studi scientifici hanno infatti dimostrato come la miglior tecnica per comprendere a fondo tematiche e concetti complessi sia proprio quella del «fare», attraverso l’operare e le azioni. I peer sono dunque chiamati ad aiutare e a supportare i coetanei durante i laboratori o le attività di gruppo organizzate dagli educatori in qualità di facilitatori.
Non solo: i peer facilitano anche la riflessione che segue l’azione, permettendo agli altri studenti di acquisire consapevolezza delle proprie azioni: si parla quindi di learning by doing accompagnato dal learning by thinking.
Questo sistema di trasmissione delle conoscenze ha diversi vantaggi, sia per i peer, sia per i coetanei. Migliora l’autostima dei peer, li mette alla prova, migliora le loro abilità relazionali e di comunicazione. I coetanei apprendono i concetti più facilmente, in un ambiente di lavoro in cui si sentono a proprio agio, senza voti o giudizi, sviluppando anch’essi competenze e risorse. La peer education, inoltre, proprio perché favorisce rispetto reciproco, fiducia e cooperazione tra pari, è da considerarsi anche un sistema di prevenzione verso fenomeni negativi, come il bullismo. Il principio di similarità, infine, permette specialmente agli adolescenti di affrontare argomenti e temi che difficilmente si discutono con gli adulti, come l’amicizia, l’amore, la sessualità, la diversità.
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