Roberta Redaelli, nel suo saggio Italy & Moda, raccoglie le voci del tessile. E invita il consumatore a fare scelte che lo spingano alla sostenibilità.
Pellicce: quali brand sono fur free e quali no
Sono sempre di più i brand del lusso che hanno deciso di abbandonare le pellicce grazie a un attivismo che affonda le sue radici negli anni Ottanta
- L’attivismo anti-fur è iniziato negli anni Ottanta, ma solo oggi i brand del lusso stanno disertando in massa il mondo delle pellicce.
- Gli ultimi brand in ordine temporale ad averci rinunciato sono Moncler e Dolce & Gabbana, ma la lista è lunghissima: da Gucci, a Prada a Giorgio Armani che ha rinunciato anche alla lana d’angora.
- Alcuni brand del gruppo Lvmh ancora la utilizzano, ma sono a lavoro per trovare delle alternative bio-based valide
L’ultima maison del lusso in ordine temporale ad aver abbandonato le pellicce è Moncler, che le avrà ancora in collezione per l’autunno-inverno 2023, ma dall’anno in corso smetterà di acquistarle e conseguentemente di inserirle nella propria proposta.
L’annuncio del brand guidato da Remo Ruffini è arrivato dopo quello di inizio 2022 di Dolce & Gabbana e in generale dopo il 2021, che verrà ricordato come l’anno in cui le maison del lusso hanno deciso di disertare in massa il mondo delle pellicce animali.
A dichiararsi fur-free nel 2021 sono stati infatti Valentino, Brunello Cucinelli e ben tre brand del gruppo Kering: Saint Laurent, Balenciaga e Alexander McQueen. Dopo che già Los Angeles e San Francisco individualmente l’avevano bandita, a ottobre è stata poi la California a votare una legge con cui è stata vietata, in tutto lo stato, sia la manifattura che la vendita di prodotti nuovi contenenti pelliccia.
Non solo, a marzo dello stesso anno moltissimi designer del Regno Unito tra cui Stella McCartney, Vivienne Westwood ed Erdem hanno scritto una lettera all’ex primo ministro Boris Johnson in cui domandavano a gran voce di vietare la vendita di pellicce in tutto il paese. #FurFreeBritain è stato l’hashtag con cui il fashion system britannico si è battuto contro l’utilizzo della pelliccia animale.
Battaglia che al momento non ha prodotto un esito ufficiale, ma fatto arrivare sul tavolo del governo la proposta di vietare l’importazione sia di pellicce (la produzione è fuorilegge già dal 2003) che di foie gras. D’altra parte già l’ex sovrana, la Regina Elisabetta, aveva bandito le pellicce dal suo guardaroba nel 2019 mentre la vocazione ambientalista e green di Re Carlo è nota e il British Fashion Council si è fatto promotore di una London Fashion Week senza pellicce a partire dal 2018.
Giorgio Armani dal canto suo, che è stato uno dei big della moda ad andare fur free già nel 2016, ha scelto da questa stagione, ovvero a partire dall’autunno-inverno 2023, di eliminare anche anche la lana d’angora, ricavata con il pelo del coniglio d’angora. La divisione asiatica della Peta, People for the ethical treatment of animals, l’associazione ambientalista che più impatto ha avuto sul mondo della moda, si batte infatti da anni per rendere noto al grande pubblico la crudeltà del metodo con cui viene raccolto questo tipo particolare di lana dai conigli.
Pellicce, moda e attivismo
A pensarci bene le pellicce sono il retaggio di indumenti più ancestrale che possediamo: per i nostri antenati erano qualcosa di necessario e per certe popolazioni nomadi della Siberia e del Canada lo sono ancora. Il calore e la durata sono fattori cruciali non solo per l’abbigliamento, ma per un’ampia gamma di utilizzi pratici: scarpe, borracce, bisacce.
Ancora oggi per popolazioni come i Nenet o gli Inuit i capi in pelliccia sono imprescindibili, li indossano per tutta la vita e li tramandano di generazione in generazione. È con il crescere e lo svilupparsi della società occidentale che le pellicce sono diventate superflue, perché abbiamo moltissimi altri tessuti grazie ai quali ci possiamo riparare dal freddo, ma anche perché questo tipo di indumenti è diventato indicativo di un certo status, in quanto costoso e quindi non accessibile a tutti e, soprattutto, perché realizzato a discapito della vita degli animali da cui il pelo viene ricavato.
Dal medioevo e fino agli anni Ottanta le pellicce sono state un forte indicatore dello status sociale: prima perché certi tipi di pelliccia, come lo zibellino e l’ermellino, erano destinati esclusivamente alla monarchia e al clero di alto rango, e poi perché identificativi del mondo del lusso.
È dagli Ottanta e dalle prime manifestazioni anti-fur della Peta che ha iniziato a farsi largo uno spirito critico tra i consumatori. È rimasta negli annali la puntata del 1996 de “La ruota della fortuna” in cui una concorrente rifiutò il premio che consisteva, appunto, in una pelliccia. Oggi nessun autore si sognerebbe mai di includere nel montepremi qualcosa di tanto divisivo, ma all’epoca in Italia delle campagne della Peta arrivava solo l’eco, e le pellicce erano considerate un simbolo imprescindibile di benessere.
Oltreoceano invece ci si dava da fare già da una quindicina d’anni: risalgono agli anni Ottanta le prime campagne firmate Peta in cui gli attivisti protestavano fuori dalle sfilate con metodi talvolta anche invasivi, ad esempio tirando addosso ai partecipanti del sangue finto.
Il mondo della moda ha infatti iniziato a interrogarsi veramente sulle pellicce intorno alla metà degli anni Novanta, quando furono le modelle a scendere in campo posando nude per la Peta allo slogan di “I’d rather go naked,than wear fur” (“Preferisco andare nuda, piuttosto che indossare una pelliccia”).
Nel 1994 lo ha fatto Christy Turlington e lo hanno fatto anche Emma Sjoberg, Tatjana Patitz, Heather Stewart Whyte, Fabienne Terwinghe e Naomi Campbell.
Questo tipo di operazioni, unito ad altre a opera di associazioni come Greenpeace, hanno creato un forte disamore nei confronti delle pellicce: rifiutarsi di indossarle era diventato un atto politico.
All’epoca però tra i big fu solo Calvin Klein ad annunciare pubblicamente che sarebbe diventato fur free uscendo da un mercato, come riportò all’epoca il quotidiano New York Times, da più di un miliardo di dollari.
Tra l’inizio del nuovo millennio e il 2007 fu poi la volta di Ralph Lauren, Betsey Johnson, Tommy Hilfiger, Comme des Garçons, Marc Bouwer, Michael Kors e Vivienne Westwood mentre nel 2001 Stella McCartney, figlia di Paul McCartney, lanciò la sua linea eponima che, fin dal primo giorno, non ha mai fatto uso di pelle, piume o pelliccia per nessuno dei suoi modelli. All’epoca fu qualcosa di insolito per il mondo del lusso, che sarebbe rimasto ancorato all’utilizzo delle pellicce e dei pellami più insoliti per ancora oltre vent’anni.
Quello delle pellicce è rimasto infatti un mercato difficile a cui dire addio per molte maison, anche perché a inizio millennio, in un mondo ancora non completamente globalizzato, le battaglie rimanevano perlopiù locali e, se nei paesi anglosassoni l’avversione per le pellicce era già abbastanza sviluppata, non lo era altrettanto in altre parti del mondo.
Questo, stando a Business Insider, ha comportato un risollevarsi del mercato delle pellicce fino a che l’attenzione per l’ambiente e per la biodiversità non ha iniziato a diventare un elemento decisionale cruciale per moltissimi consumatori.
Prada, Gucci, Versace, Chanel, Burberry, Canada Goose: l’elenco delle maison del lusso che hanno deciso di abbandonare l’utilizzo delle pellicce è fortunatamente molto lungo e lo trovate qui. La produzione di pellicce però globalmente è tutto tranne che rallentata e la Cina è oggi il maggior esportatore di pellicce al mondo.
Ma chi ancora utilizza pellicce nel mondo del lusso e come mai? Un brand come Fendi ad esempio, che è nato come pellicceria, difende il suo heritage dichiarando di osservare i più elevati standard di approvvigionamento etico e di operare nel pieno rispetto di tutte le normative internazionali, nazionali e regionali, supportando la tracciabilità come strumento di trasparenza e innovazione.
“La nostra missione è fornire eticamente pellicce di qualità per quei clienti che hanno scelto liberamente di indossare pellicce” si legge sul sito “E ci impegniamo fermamente a rispettare l’opinione e la libertà di scelta di tutti”. Lo stesso vale per Hermès, che ha reso noto il suo impegno a rispettare i principi fondamentali del benessere degli animali stabilito dal Farm Animal Welfare Council (FAWC). Altre maison che ancora utilizzano pellicce per i propri prodotti sono Dior e Louis Vuitton, entrambi appartenenti al gruppo Lvmh, come Fendi.
Faux-fur o vintage?
Lvmh è uno dei grandi gruppi del sistema moda che ancora include le pellicce nella sua offerta e sembrerebbe non avere intenzione, almeno per i brand che ne sono più caratterizzati, di farne a meno presto.
Pare però che il reparto ricerca e sviluppo sia al lavoro per arrivare alla definizioni di nuovi materiali per quanto riguarda la produzione di pellicce non animali. Le principali alternative in tema di faux fur oggi sono realizzate con fibre sintetiche, stando a quello che ha dichiarato a Vogue Business il vice direttore per lo sviluppo sostenibile Alexandre Capelli, Lvmh è al lavoro per creare una nuova opzione sostenibile a partire dalla cheratina, la principale proteina contenuta nei capelli.
Il dibattito infatti non è unanime, molte delle faux fur oggi in circolazione sono sintetiche e quindi impattanti se non sugli animali sicuramente sull’ambiente. La ricerca però sta facendo grossi passi avanti e in questo i brand del lusso, che possono contare su risorse maggiori, stanno trovando le soluzioni bio-based probabilmente più efficienti.
La biotecnologia oggi è in grado di creare versioni realistiche di prodotti animali a base vegetale: Hermès ha stretto una partnership con Mycoworks, una startup californiana che produce pelle a base di micelio, ovvero l’apparato vegetativo dei funghi, e lo scorso marzo ha lanciato la versione della sua iconica Victoria Bag in pelle vegana, mentre Stella McCartney sta sperimentando una pelliccia ecologica realizzata a partire dal mais.
Vintage sì o vintage no? E cosa dire di una pelliccia che è già sul mercato, magari da diverse decadi? Se è vero che oggi come oggi non abbiamo bisogno di una pelliccia per difenderci dal freddo, è altrettanto vero che questo tipo di cappotto fa parte di un immaginario estetico che non è detto scompaia mai del tutto.
Molte persone si sentono a disagio a indossare una pelliccia tout court, sia che si tratti di sintetico che di vintage, ma per chi invece non prova quel genere di fastidio? Qual è la scelta più ecologica? Nel caso delle faux fur è importante leggere bene l’etichetta e capire da dove proviene la fibra che si intende indossare; nel caso di una pelliccia degli anni Settanta ormai quel prodotto esiste nel mondo, a prescindere dal fatto che noi lo indossiamo o meno, sta alla sensibilità personale se sceglierla o meno. Anche se sarebbe meglio lasciarle al passato a cui appartengono.
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