La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Il lupo italiano è in pericolo, minacciato da un fenomeno subdolo e ancora poco studiato, l’ibridazione con i cani. Abbiamo partecipato all’Educational tour del Progetto Life M.I.R.Co-lupo per capirne di più.
Le faggete stanno gradualmente virando verso i caldi colori autunnali, conferendo un’atmosfera magica alle foreste, le castagne ormai mature cadono al suolo con rumori sordi e in lontananza lo struggente bramito dei cervi in amore preannuncia l’avanzare della notte. Ci troviamo nella riserva naturale dell’Orecchiella, in provincia di Lucca, nel cuore del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano. Qui, dal 28 al 30 settembre, abbiamo partecipato all’Educational tour del Progetto Life M.I.R.Co-lupo (acronimo che sta per Minimizzare l’Impatto del Randagismo canino sulla COnservazione del lupo), workshop dedicato ai giornalisti con l’obiettivo di favorire la corretta informazione sul lupo (Canis lupus italicus) e in particolare sull’ibridazione tra lupo e cane, temi molto attuali e troppo spesso distorti e strumentalizzati dai media.
Nel Parco dell’Appennino tosco-emiliano è in corso un progetto pionieristico che in qualche modo ricorda l’impresa di tre giovani studiosi, Luigi Boitani, Erik Zimen e David Mech, autori nel 1972 del primo censimento del lupo italiano mai effettuato. In quest’area un piccolo gruppo di studiosi, Willy Reggioni, Francesca Moretti, Luigi Molinari, Francesca Orsoni e Mia Canestrini, sta cercando di salvare il lupo appenninico da una minaccia subdola e attualmente sottovalutata, ovvero l’ibridazione con il cane.
Quando si parla di lupo, senza dubbio l’animale più discusso d’Italia, incapace di creare posizioni neutrali, è bene sgomberare subito il campo da un errore frequente, talmente frequente da essere ormai largamente accettato come verità. Riguarda la presunta reintroduzione dei lupi ed è una notizia assolutamente falsa, nessun lupo è mai stato reintrodotto in Italia, semplicemente non se ne sono mai andati, nonostante ce l’abbiamo messa tutta per farli sparire. Negli anni Settanta infatti il lupo era stato quasi completamente sterminato e sopravvivevano solo pochi branchi residui tra l’Abruzzo, la Sila e i Sibillini (nel 1972 esistevano in natura appena un centinaio di esemplari). Fino al 1971 la caccia al lupo era non solo legale ma perfino incentivata e questi animali erano classificati come specie nociva e uccisi con ogni mezzo, tra cui i bocconi avvelenati (la protezione integrale della specie è sancita nel 1976 dal Decreto Marcora), e in ogni luogo, anche nelle aree protette dagli stessi guardiaparco. Il lupo era ancora considerato una belva feroce e perfino alcuni importanti zoologi ne auspicavano l’estinzione. L’entrata in vigore di leggi nazionali ed europee di tutela del lupo, unita al progressivo spopolamento delle aree montane e pedemontane e all’aumento delle sue prede naturali, ha permesso alla specie di crescere e tornare lentamente ad occupare gli antichi territori, spostandosi dalle foreste dell’Appennino alle Alpi occidentali. Il lupo ha dimostrato un’incredibile capacità di recupero e di adattamento ai nuovi ambienti che nel frattempo, durate la sua assenza, erano stati alterati dagli sviluppi socioeconomici.
Il fenomeno dell’ibridazione avviene quando lupi e cani si accoppiano. L’accoppiamento più frequente in natura e, in termini di conservazione della specie selvatica più negativo, è tra il cane e la lupa. L’ibridazione antropogenica, ovvero non naturale ma determinata o facilitata dall’azione dell’uomo, è considerata attualmente in Italia la principale minaccia alla conservazione della specie, in quanto rischia di comprometterne l’integrità genetica. Gli ibridi vengono generalmente descritti come maggiormente confidenti e quindi potenzialmente più pericolosi per il bestiame e l’uomo. In realtà non esistono prove che i comportamenti di ibridi e lupi puri siano differenti, “per poter rilevare una differenza di comportamento occorrerebbe una descrizione robusta del comportamento dei lupi puri che, per diversi motivi, è molto difficile da effettuare, anche e soprattutto perché il lupo è un animale molto adattabile ed ha uno spettro ecologico e comportamentale tremendamente ampio”, ha spiegato il responsabile del progetto, Willy Reggioni.
La causa principale di questo fenomeno è la scorretta gestione dei cani domestici, siano essi cani padronali occasionalmente liberi di vagare, cani da pastore o cani randagi.
Ibridando una specie selvatica come il lupo con una domestica come il cane si rischia di modificare le caratteristiche dei lupi rendendoli probabilmente meno adatti alla vita in natura. In questo modo potremmo perdere una forma di vita plasmata dalla natura che ne ha fatto il principale predatore dell’emisfero boreale, una vera e propria opera d’arte naturale perché, come sottolinea la dottoressa Mia Canestrini, uno dei tecnici del progetto, “la biodiversità è il patrimonio artistico della natura”.
Al momento non è possibile rispondere a questa domanda, il fenomeno dell’ibridazione tra lupo e cane è infatti un argomento scientificamente recente e non esistono attualmente studi esaustivi. Nel territorio preso in esame dai ricercatori circa il 20 per cento degli animali analizzati era composto da esemplari ibridi. Questa percentuale non è però estendibile ad altre aree italiane.
Il progetto, iniziato nel 2015 e che terminerà nel 2020, è cofinanziato dall’Unione europea e coinvolge cinque partner, il parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, il Parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, i Carabinieri forestali, la società Carsa Edizioni e Comunicazione di Pescara e l’associazione non profit Istituto di Ecologia Applicata di Roma. La finalità ultima del progetto, naturalmente, è la conservazione del lupo, per raggiungere questo obiettivo si cerca di agire sulla perdita dell’identità genetica della specie dovuta al fenomeno dell’ibridazione attraverso la neutralizzazione del potenziale riproduttivo degli individui ibridi lupo-cane e riducendo l’impatto del randagismo canino.
Le azioni principali dei tecnici del progetto Life M.I.R.Co-lupo consistono nella sterilizzazione degli ibridi catturati, che vengono poi rilasciati in natura (differenziandosi così dalla poco sostenibile soluzione adottata in altre aree d’Italia che prevede la captivazione definitiva degli animali), e nella promozione delle corrette prassi di gestione demografica e sanitaria dei cani utilizzati in zootecnia, offrendo gratuitamente agli allevatori la possibilità di inserirli in anagrafe canina, sterilizzarli e praticare la vaccinazione di base. Il progetto si propone inoltre di sviluppare una definizione operativa di ibrido lupo-cane e di sperimentare strategie gestionali sostenibili da tutti i punti di vista che possano essere esportate.
Durante la permanenza nella riserva dell’Orecchiella abbiamo avuto il privilegio di ascoltare l’ululato di un lupo libero nel suo ambiente naturale, stimolato dalla tecnica di wolf-howling. È durato solo pochi secondi, ma sentire in una tiepida notte di fine settembre quel verso primigenio, forte e malinconico al tempo stesso, che sembrava venire da un tempo antico, ci ha fatto desiderare con ancora più forza che questo pionieristico progetto per la conservazione della specie abbia successo e che l’ululato del lupo appenninico possa risuonare ancora a lungo.
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