Perché le aziende americane stanno abolendo i programmi di diversità e inclusione

Molte aziende negli Stati Uniti hanno eliminato le politiche Dei, i programmi aziendali di diversità e inclusione. Una scelta che non sembra casuale.

Nel 2019 Mark Zuckerberg cambiò immagine di profilo della sua pagina Facebook, pubblicando una foto virata arcobaleno. L’intento era celebrare la decisione della Corte suprema degli Stati Uniti, che si era espressa contro i divieti ai matrimoni gay rendendoli legali nei 50 stati dell’unione. Per modificare il proprio avatar in supporto alla causa lgbtqia+, bastava visitare una pagina apposita, che fu promossa dallo stesso Zuckerberg.

A poco più di cinque anni di distanza da quel momento, molte cose sono cambiate, soprattutto nelle ultime settimane, nelle quali Zuckerberg si è espresso molto apertamente su alcune cause care ai repubblicani, come la moderazione dei contenuti online, avvicinandosi ai conservatori statunitensi. Ma soprattutto, a pochi giorni dall’inaugurazione del secondo mandato non consecutivo di Donald Trump, Meta ha posto fine ai suoi programmi Dei, una sigla che sta per diversità, equità e inclusione. Si tratta di una serie di pratiche aziendali pensate per favorire persone di ogni tipo e garantire pari opportunità al di là della razza, del genere, orientamento sessuale o disabilità.

Facebook lgbt
Facebook, ora Meta, festeggia nel 2019 la decisione della Corte suprema sui matrimoni gay © Facebook

Chi ha cambiato idea sui Dei

Meta si inserisce in realtà in una scia di aziende statunitensi che hanno fatto lo stesso nelle ultime settimane, probabilmente con l’intento di segnalare a Trump la loro disponibilità a partecipare al nuovo corso politico del paese, in cui la cultura “woke” non è più la benvenuta. Lo stesso Elon Musk, capo di Tesla e altre aziende, ma soprattutto delfino de facto del presidente eletto, critica da tempo i programmi Dei dal suo account X. Tra le aziende ad averli abbandonati, troviamo giganti a stelle e strisce come Ford, McDonald’s, Walmart, mentre Amazon ne ha annunciato una riduzione degli investimenti su questo fronte, insieme a Toyota e Lululemon. Aziende molto diverse tra di loro, che in passato avevano espresso vicinanza a temi politici come i movimenti lgbtqia+ o il movimento “Black lives matter”.

Secondo dati raccolti dal sito Axios, già nei mesi precedenti alle ultime elezioni statunitensi il vento era cambiato e la sigla “Dei” era sparita dalle presentazioni dei risultati finanziari delle aziende. L’assestamento era in corso da mesi, visto che l’esito dello scontro tra Trump e Kamala Harris era dato da tutti come in bilico, e le corporation hanno preferito non rischiare: prima di gesti pubblici – come quello di Zuckerberg –, hanno preferito ridurre il tono della voce su temi sensibili, per poi remare nella direzione opposta dopo la vittoria di Trump.

La posizione di Trump

Del resto una delle ultime decisioni di Trump da presidente fu proprio una messa al bando della formazione per ridurre le discriminazioni razziali a livello governativo, poi annullata da Joe Biden una volta arrivato alla Casa Bianca. Tra i fedelissimi del gabinetto Trump II ci sarà Stephen Miller, fondatore di America First Legal, organizzazione che nel giro di pochi mesi ha avviato più di cento azioni legali contro aziende accusate di “wokismo” – e di discriminare contro una fascia di popolazione in particolare, quella dei maschi bianchi etero. Come scritto dal New York Times, l’intento di America First Legal spesso non sembra tanto quello di vincere le cause, quanto di fare rumore e intimorire le aziende.

La rivolta contro le pratiche Dei ha riguardato anche molti stati a guida repubblicana (Idaho, Kansas, Indiana, Utah, Alabama, Iowa e Texas), che hanno di fatto vietato ai college pubblici di seguire queste pratiche e tra pochi giorni avranno la protezione diretta del governo federale nel proseguire questa battaglia.

Programmi Dei
I programmi Dei garantiscono diversità, equità e inclusione all’interno delle aziende © Facebook

Abbandonare i Dei è una strategia?

Negli ultimi anni i critici dei programmi Dei – e in generale i circoli vicino alla destra trumpiana – hanno utilizzato l’espressione virtue signaling per criticare persone o entità che sfruttano temi progressisti per posizionarsi, fare bella figura o addirittura guadagnarci in qualche modo. Per virtue signaling si intende letteralmente la “segnalazione delle virtù”, che viene intesa come forzata e ipocrita. Molti osservatori hanno notato come i retrofront pubblici di Meta e altre aziende che hanno rinnegato le campagne Dei ricordino una forma di virtue signaling, però al contrario.

In questo caso l’intento è farsi notare dal presidente eletto e dal suo cerchio magico, nella speranza di ottenere favori – o evitare le sue ire. La stessa Kamala Harris fu accusata dalla destra di essere una “Dei hire”, cioè una di quelle persone che viene assunta soltanto perché di colore e di sesso femminile, un modo di sminuire il peso politico della candidata, e dei programmi stessi.

Le pressioni su Apple

La conversione verso posizioni più vicine al movimento Maga non sarà facile per aziende con migliaia di dipendenti e un passato progressista come quelle della Silicon Valley. Secondo il sito 404 Media, ad esempio, l’annuncio di Zuckerberg ha creato “caos totale interno all’azienda”. E anche il board di Apple è alle prese con pressioni in questo periodo: questa settimana ha rifiutato la richiesta di eliminare i Dei da parte del think tank nazionalista ‘National center for public policy research’. In particolare, il board di Apple ha risposto alle richieste esterne definendole un tentativo “inappropriato” di “microgestire” l’azienda e le sue politiche interne, e ricordato quanto il successo della società si basi anche sulle pratiche di inclusione.

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