La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Le orche continuano a stazionare nei pressi del porto di Prà Voltri. Abbiamo chiesto a Sabina Airoldi di Tethys cosa ci fanno ancora lì.
Lo scorso 1 dicembre un piccolo pod di orche (Orcinus orca), composto da quattro adulti e un piccolo, è stato avvistato nelle acque antistanti al porto di Prà Voltri, a Genova. A distanza di undici giorni le orche si trovano ancora lì. Inizialmente l’avvistamento, fenomeno raro nel Mediterraneo, è stato accolto con l’entusiasmo che queste creature carismatiche sono in grado di suscitare. Presto ci si è però resi conto che c’era qualcosa che non andava e che la loro permanenza nelle acque liguri non era una buona notizia.
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Fin dalle prime osservazioni, condotte dalla Guardia costiera e dai biologi dell’Istituto Tethys, onlus specializzata nella ricerca scientifica sull’ecologia dei cetacei, e dell’acquario di Genova, le condizioni del cucciolo sono infatti sembrate precarie e il 5 dicembre è arrivata la conferma della sua morte. Per diversi giorni la madre ha continuato a portare con sé il corpo senza vita del piccolo, come testimoniato dalle strazianti immagini riprese dall’elicottero della Guardia costiera, un comportamento che è stato osservato spesso in diverse specie di cetacei.
Le orche, proprio come noi, hanno consapevolezza della morte e, come noi, sembrano faticare ad accettarla. Uno studio pubblicato nel 2016 ha evidenziato che in simili occasioni tutti gli animali del gruppo sembrano risentire della morte di un compagno: il loro comportamento cambia e manifestano segni di stress. Il lutto è tuttavia un’azione dispendiosa per i cetacei, sottrae infatti loro tempo altrimenti dedicato alla ricerca di cibo.
Inizialmente si era pensato che le orche non lasciassero l’area del terminal container di Voltri, inadeguata a fornire il nutrimento necessario a questi grandi animali, proprio perché dovessero elaborare la morte del giovane. Dopo tre giorni la femmina ha abbandonato il corpo del piccolo, ma le orche non si sono ancora decise a rimettersi in viaggio e la spiegazione potrebbe dunque essere un’altra. Abbiamo chiesto a Sabina Airoldi, responsabile delle ricerche che l’Istituto Tethys conduce nel Santuario Pelagos, perché le orche non hanno ancora lasciato il porto genovese.
Dopo essersi confrontata con diversi ricercatori specializzati nello studio delle orche, Airoldi ipotizza che i mammiferi marini non abbiano ancora lasciato le acque liguri per via delle precarie condizioni di salute di uno degli esemplari. “Un individuo presenta condizioni di salute non ottimali, è magro ed emaciato – ha spiegato Airoldi – è possibile che le orche preferiscano attendere in un’area ritenuta sicura che l’animale si riprenda prima di rimettersi in viaggio”.
La notizia positiva è che da alcuni giorni le orche hanno iniziato a lasciare il porto per qualche ora, per dirigersi probabilmente verso zone più pescose e alimentarsi. Si teme comunque che l’area non sia in grado di fornire prede a sufficienza per gli animali, che necessitano di almeno 50 chili di pesce al giorno, anche se non è ancora possibile stabilire quale sia la loro alimentazione abituale.
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“I vari ecotipi di orche hanno differenti preferenze alimentari e strategie di caccia – ha affermato la ricercatrice di Tethys -. Quelle di Gibilterra, ad esempio, si nutrono prevalentemente di tonno rosso. Le orche che si trovano nelle acque liguri non provengono però da Gibilterra, confrontando le foto abbiamo escluso questa ipotesi. Ancora non sappiamo tuttavia da dove vengano, i dati relativi agli spostamenti di questi cetacei sono scarsi e frammentari, in particolare per quel che riguarda il Mediterraneo. Continuiamo a confrontare le immagini di queste orche con quelle delle varie popolazioni per capire la loro provenienza”.
Per cercare di raccogliere ulteriori informazioni su questa specie, così rara nelle nostre acque, il 7 dicembre i ricercatori hanno posizionato un idrofono, un microfono progettato per registrare i suoni provenienti dall’acustica sottomarina. “Da alcuni giorni, in collaborazione con Nauta scientific, abbiamo calato in acqua un idrofono per registrare le vocalizzazioni delle orche. Questi suoni possono fornirci importanti informazioni sui livelli di stress degli animali”, ha detto Airoldi.
La speranza continua ad essere quella che le orche escano dalla rada per non farvi più ritorno, visto che il mar Ligure non può sostenere le loro esigenze alimentari, e si dirigano verso il mare aperto e la loro zona di origine.
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