Dal 17 al 23 giugno, Survival International mobilita l’opinione pubblica con una settimana dedicata ai diritti dei popoli incontattati.
Bracconaggio in Africa, chi dovrebbe proteggere gli animali accusato di violenze dagli indigeni
19 popolazioni pigmee dell’Africa centrale hanno chiesto alle organizzazioni che si occupano di conservazione di smettere di finanziare le squadre anti-bracconaggio colpevoli di soprusi.
L’obiettivo della conservazione è quello di preservare la biodiversità e proteggere le specie minacciate dall’estinzione. Eppure sembra che questo nobile fine sia talvolta perseguito con mezzi deprecabili. È quanto denunciato da diciannove comunità pigmee dell’Africa centrale, che hanno riferito di abusi e violenze ai loro danni da parte delle squadre anti-bracconaggio.
Il ruolo del Wwf e della Wcs
Undici delle comunità “insorte”, che abitano da tempo immemore le aree selvagge del Camerun, del Congo e della Repubblica Centrale Africana, hanno chiesto alle organizzazioni conservazioniste di smettere di finanziare le squadre anti-bracconaggio che hanno commesso abusi nei loro confronti. L’appello è rivolto a due delle principali organizzazioni per la conservazione, il Wwf e la Wildlife Conservation Society (Wcs), che hanno contribuito a istituire aree protette da cui i popoli indigeni sono stati sfrattati illegalmente.
L’appello degli indigeni
“Come potremo sopravvivere in questo mondo? Ai conservazionisti noi chiediamo: volete che ci uccidano? Noi non viviamo più bene”, si legge in una lettera di denuncia scritta dai Baka. “Nonostante il denaro che fornite per conservare la foresta, noi non ne beneficiamo in alcun modo. I nostri antenati vivevano benissimo in questa foresta… Non ne possiamo più del modo in cui il progetto ci ha tagliati fuori dalla foresta”, è l’appello lanciato dai Bayaka del villaggio di Socambo. “Soffriamo molto a causa della conservazione – si lamentano i Bayaka di Mossapoula – le guardie ci minacciano, ci picchiano, ci derubano, persino fuori dal parco. Prima di continuare a dare finanziamenti, vi chiediamo di venire a Mossapoula, così potrete ascoltare i nostri problemi e chiedere il nostro consenso”. “Quando il Wwf venne qui nel 1996 eravamo molto felici – ha raccontato detto il capo Bakwele di Ndongo – ma ora ci ritroviamo marginalizzati e perseguitati in ogni modo. Alle organizzazioni di conservazione diciamo: se avete qualche progetto, venite voi stessi sul campo. I vostri agenti non sono qui per lavoro ma per corruzione, le guardie sono diventate i veri bracconieri”.
La denuncia di Survival International
Da anni Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, denuncia gravi abusi nei confronti dei “pigmei” Baka nel Camerun sudorientale per mano di squadre anti-bracconaggio sostenute e finanziate dal Wwf. “Come dimostrano queste forti dichiarazioni dei nativi, i progetti di conservazione sono letali per i popoli indigeni nella regione del bacino del Congo – ha commentato Stephen Corry, direttore generale di Survival. – Dal loro punto di vista, il Wwf e la Wcs hanno sottratto la loro terra, ignorato i loro diritti e continuano a finanziare chi commette abusi nei loro confronti. Il Wwf e la Wcs hanno trasformato gli alleati naturali della conservazione nelle sue vittime”.
I nativi sono i veri custodi della natura
Voler insegnare la conservazione a popolazioni che vivono in un determinato ambiente da generazioni e da cui dipendono per la loro sopravvivenza può sembrare bizzarro. I popoli tribali sono infatti nella maggior parte dei casi i migliori custodi della loro terra, non è un caso che le aree del pianeta caratterizzate da una maggiore biodiversità siano abitate da comunità indigene. Proprio in virtù della loro conoscenza queste persone dovrebbero essere un punto di riferimento per le organizzazioni conservazioniste, non sfrattate con violenza dalle loro terre ancestrali.
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