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40 anni di lotta per il mare di Sea Shepherd raccontati in un libro fotografico
In occasione del suo 40esimo anniversario, Sea Shepherd ha pubblicato un libro fotografico che racconta le battaglie, fatte di vittorie e sconfitte, in difesa degli oceani e degli animali che li abitano.
Nel 1977 nasceva a Vancouver, in Canada, un’organizzazione devota alla protezione dei mammiferi marini e alla lotta contro le attività illegali di caccia, la Earth force society, fondata da Paul Watson dopo l’allontanamento da Greenpeace, insieme a Starlet Lum, Ron Precious e Al Johnson. Nel primo anno di attività l’organizzazione riesce ad acquistare la sua prima nave, un peschereccio inglese chiamato Westella, grazie all’appoggio finanziario dal Fund for animals. Dopo mesi di riparazioni e messa a punto in vista della prima missione al largo delle coste del Canada orientale per contrastare la mattanza annuale dei piccoli di foca, Paul Watson rinomina la nave chiamandola Sea Shepherd.
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La Sea Shepherd è la prima nave dell’organizzazione a salpare nel 1979 tra i ghiacci con l’obiettivo preciso di proteggere le foche. In quella spedizione l’equipaggio salva più di mille cuccioli con una tattica che è stata successivamente replicata per il suo successo: spruzzare una tinta innocua sulla pelle degli animali, per renderla priva di valore commerciale. Inizia così la storia dell’organizzazione per la difesa degli oceani, dal 1981 rinominata Sea Shepherd conservation society.
Il libro e le foto dei 40 anni di Sea Shepherd
Dopo le prime campagne per salvare foche e balene, Sea Shepherd si è dichiarata a difesa di tutta la fauna marina e contro qualsiasi attività illegale in mare. Da allora, tra scontri, azioni controverse, controversie legali e arresti dei volontari, l’organizzazione ha intrapreso più di 200 viaggi in tutti gli oceani del mondo contribuendo alla tutela degli ecosistemi. I 40 anni di storia sono diventati un libro che ripercorre, grazie a spettacolari fotografie, le battaglie, le vittorie, le sconfitte e i protagonisti. Il volume, edito da Skira, è stato presentato a La Spezia il 22 giugno in occasione di Sea Future, la manifestazione dedicata alla blue economy, giornata in cui è stato possibile visitare la nave Sam Simon.
Le vecchie e le nuove battaglie di Sea Shepherd
Alcune delle campagne più famose portate avanti per anni da Sea Shepherd sono quelle contro le baleniere giapponesi. Il paese asiatico, infatti, ogni anno torna nel santuario dell’oceano Antartico per la caccia alle balene celata da ricerca scientifica. Dopo anni di battaglie che hanno portato a una significativa diminuzione delle quote di pesca giapponesi, però, Sea Shepherd non tornerà più in quelle acque per lottare per le balene. “Non siamo andati l’anno scorso né quest’anno e non andremo neanche l’anno prossimo”, ci racconta il capitano e ceo di Sea Shepherd global Alex Cornelissen dal ponte della Sam Simon ancorata nel porto di La Spezia.
“Il problema è che per andare in Antartide avremmo bisogno di tutta la nostra flotta e di tutto il nostro budget annuale, sarebbe l’unico modo per fare la differenza. Questo perché il Giappone si avvale ormai di tecnologie militari. Sanno esattamente dove siamo e se ci vedono arrivare scappano, facendosi rincorrere per farci finire il carburante. E così continuano ad uccidere le balene. Usando tutte le nostre risorse lì, non possiamo fare nient’altro. Un esempio sono le navi che in Africa uccidono 500mila squali ogni anno per produrre l’olio di fegato di squalo. Significherebbe salvare 500mila vite, contro le forse cinque balene salvate. Emotivamente, è una decisione difficile. La gente prende a cuore le balene, e anche noi. Ma si tratta di quanto possiamo essere efficaci. Quindi ci siamo trovati a decidere se andare avanti e dimenticarci del resto o provare a fare qualcosa di diverso. Abbiamo scelto l’ultima”.
La pesca illegale in Africa
La flotta dei pirati del mare ha così preso nuove rotte, in Africa, per combattere nuove illegalità in paesi che non hanno le risorse per difendersi e per prevenire questi reati. “Ormai normalmente abbiamo tre navi in Africa: la Ocean warrior al largo della costa orientale, la Bob Barker che al momento si trova in Gabon e la Sam Simon che ora è qui in Italia”, spiega Cornelissen.
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Dopo i lavori di mantenimento a La Spezia la Sam Simon, chiamata così in onore del coproduttore e sceneggiatore della serie animata dei Simpson che ha acquistato in incognito una nave proprio dalla flotta giapponese per donarla all’organizzazione, tornerà nelle acque liberiane dove è impegnata da tre anni con l’operazione Sola Stella contro la pesca illegale. Il nemico numero uno nelle acque africane è infatti la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, che causa lo svuotamento degli stock ittici, la distruzione degli habitat marini e l’impoverimento delle comunità costiere. A causa dei pescherecci illegali le popolazioni locali che vivono di pesca perdono la propria fonte di sostentamento principale, ritrovandosi costretti a ricomprare il pesce sul mercato, pescato illegalmente, a un prezzo maggiore. “In pratica, rubano il pesce e lo rivendono alla popolazione. È una follia”, continua Cornelissen.
Oltre alle conseguenze sull’ambiente, la pesca illegale ha un lato oscuro che coinvolge i diritti umani, dei lavoratori. “La maggior parte delle navi che arrestiamo hanno pessime condizioni a bordo, non per gli ufficiali ovviamente che hanno perfino l’aria condizionata nelle proprie cabine, ma per l’equipaggio costretto a lavorare sul ponte, senza acqua potabile, per moltissime ore e sottopagati. I lavoratori, spesso poveri e rimasti senza risorse a cause della pesca industriale, vengono attratti con promesse di denaro, ma una volta a bordo a volte gli viene tolto il passaporto e si ritrovano a lavorare in schiavitù. Alcuni non sanno neppure dove si trovano. Altri ritornano feriti, sempre se riescono a tornare”.
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Dopo tre anni di attività in Liberia, arrivano i primi risultati positivi: in mare l’equipaggio di Sea Shepherd trova meno pescherecci illegali e una quantità di pesce maggiore. “Le comunità locali non potevano più pescare perché le navi illegali arrivavano e portavano via tutto il pesce. In questi anni siamo riusciti a fare 30-40 arresti. È incredibile. E i pescatori locali ci raccontano che dopo 25 anni il pesce sta tornando. È naturale, perché illegalmente veniva preso troppo, delle specie sbagliate”. Questo, purtroppo, non significa che il problema sia risolto. I pescherecci in parte vengono sequestrati ma altri semplicemente vengono spostati altrove trasferendo il pesce illegale su “navi pulite”, che può arrivare anche nei nostri mercati, fino a noi. “È un pesce che sa di tristezza, schiavitù e illegalità”, aggiunge il capitano Roberto Dessena, primo ufficiale dell’operazione in Liberia e manager della Sam Simon.
È proprio per questo che ora altri paesi si interessano a Sea Shepherd chiedendo di fare operazioni insieme. “Il nostro obiettivo insieme alle autorità locali è fare arresti e multare le imbarcazioni illegali”, conclude Cornelissen. “In questo modo i paesi possono guadagnare per creare una propria guardia costiera e noi possiamo andare avanti e spostarci in altri luoghi”.
Se non vedremo più navi battere la bandiera di Sea Shepherd nelle gelide acque dell’Antartide, non ci stupiremo di vederle lottare in quelle calde dell’Africa e, chissà, negli oceani, e per gli oceani, di tutto il mondo.
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